mercoledì 1 aprile 2009

I viaggiatori a Crotone 3


Henry Swinburne: il “Nostradamus” dei crotonesi



di Romano Pesavento


Tra i diversi scrittori itineranti che si sono occupati della Calabria, Henry Swinburne occupa uno spazio del tutto particolare: innanzitutto, fu il primo ad avere quasi completamente visitato la fascia costiera della Calabria in un periodo storico, il Settecento, in cui varcare il confine immaginario collocato lungo la provincia di Napoli significava andare incontro a morte certa o giù di lì.
Inoltre, la scientificità e lo scrupolo dell’obiettività, anche a discapito del quadretto “di colore” decisamente più avvincente per il lettore meno fine, sono caratteristiche, perseguite con impegno e onestà intellettuale dallo scrittore, assai apprezzabili. A tal proposito, nella Prefazione all’opera Viaggio in Calabria, alle cui pagine attingeremo per proporre ai lettori un’ulteriore immagine della nostra città, troviamo: “Seguendo la monotona e piana traccia della verità, senza dubbio correrò il rischio di non piacere a qualcuno dei miei lettori; ma confesso che non posso accondiscendere a tenere viva la loro attenzione con la finzione non importa quanto piacevole. Secondo il mio proposito l’abbondanza d’immaginazione è esclusa completamente dall’opera, mi precludo l’abituale privilegio di trasformare una storia insignificante in una avventura sentimentale o amena”
Dunque, lo scopo dell’intellettuale è quello di raccontare la realtà in modo veritiero senza indulgere ad inutili preziosismi letterari o, peggio ancora, al folcloristico, al caricaturale, per appagare la sete inestinguibile di “bizzarrie” esotiche del ceto medio alfabetizzato .
Egli si preparò all’incontro con la nostra regione con serietà metodica: ogni aspetto linguistico, storico, letterario e scientifico venne considerato, anzi studiato, in ogni minimo dettaglio, al fine di comprendere e meglio registrare quanto si sarebbe proposto alla sua attenzione durante l’intero percorso. D’altra parte, una condotta così meticolosa e aperta a nuovi orizzonti culturali era una diretta conseguenza dell’Illuminismo, corrente in cui Swinburne pienamente si riconosceva e del cosmopolitismo in cui credeva fervidamente: la curiosità e l’autentico interesse per l’umanità e per tutte le forme di civiltà, seppur diversissime da quella propria, ne fecero non solo un libero pensatore ma anche un indefesso viaggiatore, tanto che il Nostro morì a Trinidad per un colpo di sole, dopo aver condotto una vita intensa e frenetica, spesa tra mille viaggi e spedizioni verso i più disparati paesi, all’insegna della scoperta, della irrequietezza, del gusto per la divulgazione e il reportage.
Tornando più direttamente all’argomento, egli si recò in Calabria in due riprese: in un primo momento, nel maggio del 1777, percorse tutta la costa ionica; nel 1778, invece, visitò la regione procedendo da Messina a Tropea via mare e da Tropea a Morano lungo la via Popilia .
In merito a queste sue esperienze scrisse diverse pagine che, se non sono memorabili dal punto di vista letterario, risultano, tuttavia, molto equilibrate e scorrevoli: di certo non mancano le citazioni più appropriate, né le argomentazioni dell’autore si presentano deboli o carenti di testimonianze autorevoli. Per sintetizzare, Swinburne possiede il raro pregio di non inventarsi niente e di riportare soltanto ciò di cui è assolutamente certo, tramite verifica de visu o confronto con più fonti attendibili: in un certo senso egli si percepisce e si propone come una sorta di storico, il cui compito non è quello di ritrarre una realtà socio-politica depressa per solleticare il senso di superiorità del benestante europeo ma, dietro un’analitica registrazione/denuncia dei mali di uno stato in crisi, il Regno delle due Sicilie, invitare alla riflessione e all’azione risolutiva.
Ad ogni modo, vediamo come descrive la Crotone del 1777: “Crotone è l’erede della città di Croton, ma non ne occupa lo stesso sito… essa è fortificata da una sola cinta di mura e da un castello eretto da Carlo V, le case private sono povere e sordide, le vie tetre e strette: il malcontento, la miseria e lo sconforto erano profondamente dipinte nel volto di tutti gli abitanti che incontrai. C’è poca animazione, poca attività commerciale, formaggio e grano sono i principali prodotti. Per lo stivaggio del grano ci sono due file di granai nei dintorni; l’esportazione annuale é di duecentomila tomoli. Il formaggio è abbastanza buono, ma ha il sapore troppo piccante ed acre comune a tutti i formaggi di capra. Il vino non è cattivo e sembra suscettibile di miglioramento se lavorato e conservato con migliore cura. (…) Importanti lavori sono stati fatti dal governo attuale per creare un porto a questa città. Il tempo dimostrerà se l’opera è stata diretta con intelligenza e giudizio… io certamente avrei giudicato più favorevolmente un’opera che, come la mano di Dio, costruisce un porto sicuro dove gli antichi marinai disperavano di poter trovare un ancoraggio valido, se non fossi stato informato che venerande rovine della città antica, dei suoi sobborghi e dei suoi templi sono stati saccheggiati per fornire materiale ai moli ed ai suoi contrafforti. Fu un risparmio trascurabile in un’impresa così costosa ed un atto di grande inciviltà da parte dei ministri che pur si sono vantati degli scavi fatti eseguire da loro ad Ercolano e della cura con cui hanno preservato i monumenti antichi….”
Anche in questo caso,seppur in pochi tratti, si profila efficacemente un ritratto della città, desolante, piuttosto tetro e orribilmente in linea con le pessime condizioni economico-sociali della Crotone odierna.
Swinburne aveva colto nel segno: il cittadino crotonese di ogni epoca, a parte i lontani fasti “magno-greci” -della cui esistenza cominciamo paradossalmente a dubitare, considerando il millenario degrado in cui ci ritroviamo e siamo abituati a pensarci- non conoscendo, né riuscendo ad immaginare per la propria città e per il proprio futuro prospettive, si immalinconisce, si deprime e porta sul viso i segni di un infinito malessere.
D’altra parte, la povertà e l’abbandono da parte delle istituzioni non contribuiscono certo a far piroettare euforici i nostri concittadini sul corso o sul mitico (?) lungomare, ora come allora. Anzi, lo sconforto diviene ancora più irrimediabilmente opprimente quando si verifica, volta per volta, che in fondo Crotone è sempre stata considerata terra di conquista da sfruttare, da tradire, da violare più che da amministrare o sostenere. Anche dietro quello che dovrebbe costituire un fattore di miglioramento per la popolazione, l’edificazione di un porto più funzionale, si ritrova la consueta indifferenza delle Autorità (di ogni governo o momento storico) per lo strazio, lo scempio -non accusateci di essere patetici- delle risorse territoriali.
Di fronte alle miserie incontrate, Swinburne, un po’ per dovere di cronaca, un po’ per autentica reazione contro una decadenza impietosa e forse immeritata, ripercorre alcune fasi della storia di Crotone: “Non farò alcuna congettura su Ercole o Miscello, i supposti fondatori di Crotone la quale fu certo occupata da navigatori provenienti dall’Acaia e i cui discendenti salirono per virtù e valore in altissima fama tra i Greci.
Questo valore e questa virtù derivarono, presumibilmente, dai sani precetti e dalle severe istituzioni della scuola pitagorica. Questo incomparabile saggio ( Pitagora) trascorse gli ultimi anni della sua vita allenando i Crotoniati nella vera arte del governo che sola può assicurare felicità,gloria ed indipendenza. Sotto l’influenza di questa filosofia i Crotoniati abituarono il corpo alla frugalità ed alle privazioni e la mente all’abnegazione ed al sacrificio per la patria.
Le loro virtù venivano ammirate in tutta la Grecia dove vi era un proverbio che diceva che l’ultimo dei Crotoniati era il primo dei Greci.
In una sola olimpiade ben sette cittadini di Crotone risultarono vittoriosi, ed il nome di Milone è tanto famoso quanto quello di Ercole (….) La prestanza degli uomini e la bellezza delle donne erano attribuite al clima che si credeva possedesse qualità favorevoli allo sviluppo del corpo. I loro medici avevano una grande reputazione; e tra questi Alcmeone e Democide divennero molto famosi (…) In quegli anni fortunati lo stato di Crotone era molto fiorente. Le sue mura avevano un perimetro di dodici miglia. Di tutte le colonie fondate dai greci questa solo recò soccorso alla madrepatria quando fu invasa dai Persiani.
Il profilo della Crotone antica è di sicuro esaltante e riempie di orgoglio: uomini valorosi e virtuosi, menti profonde e ingegnose (Pitagora, Alcmeone) al servizio della collettività e del Sapere, donne belle e pie. Ancora: potenza, forza, prosperità, senso dell’onore. Insomma, era noto a tutti che la provincia avesse un illustre passato alle spalle, ma qui si delinea l’idea di un vero e proprio primato, in quanto c’è di più nobile, per la nostra città. Cosa ha determinato il tramonto di tutto questo? A tale legittimo interrogativo è lo stesso Swinburne a fornire una risposta: la decadenza dei costumi e l’abbandono della consueta e seria condotta di vita. Secondo lo scrittore, i Crotoniati piegarono la corrotta Sibari forti della loro disciplina morale e fisica; tuttavia dall’ incontro-scontro con una simile civiltà riportarono una ferita mortale: la contaminazione della propria purezza, evento che segnerà la fine di un intera epoca. Quando i Locresi, assai meno avvezzi ai lussi, attaccheranno i Crotoniati sulle rive del Sagra, sarà la catastrofe. Già al tempo di Annibale (durante la seconda guerra punica), la città che contava pochi abitanti, successivamente trasferiti a Locri, fu interamente occupata dai Cartaginesi e nel 200 a.C. i Romani vi realizzarono una colonia. Il seguito della storia di Crotone inanella una serie paurosa di sciagure e sfortunate vicende socio –politiche che, in questa sede, non riproponiamo nel dettaglio sia per mancanza di spazio che per scongiurare il penoso e patetico effetto “autoflagellazione”.
Tuttavia una domanda è lecito porcela: si può spiegare la fine di un mondo così solido e civile con la frusta motivazione della perdita dell’innocenza? Certamente sì, semplicemente perché è assolutamente impossibile sostenere il contrario. Non solo tale causa, insieme ad altri fattori, da sempre è addotta per comprendere la fine dell’ Impero Romano; ma ragionando con serenità e attenzione essa si può, senza ombra di dubbio, identificare con quel motore mostruoso alla base di ogni meccanismo finalizzato a svellere dalle fondamenta, abbattere ed ingoiare nel nulla, da sempre, popoli e civiltà. Accidenti, quanto siamo apocalittici in queste spensierate (?) giornate di “canicola”! Eppure non si tratta di moralismo gratuito o di vestire gli sgradevoli e fuori moda panni del bacchettone giusto per darsi un tono, per rendersi “originali” a tutti i costi: senza onestà, senza valori e senza impegno non esiste alcuna possibilità di sviluppo o di progresso. Prima lo capiamo, meglio sarà. Amen.
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 31 del 04/08/2006

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