domenica 12 aprile 2009

Luoghi di culto musulmani nella provincia di Crotone 2

Alla scoperta di Allah nella moschea di Torre Melissa (2 parte)

di Romano Pesavento ed Eliseo Pantisano

Il 29 ottobre 2005 è la data più importante del mese di Ramadan, perché rappresenta il momento in cui ai fedeli di Allah è stato donato il testo sacro, il Corano. Per tal motivo, abbiamo accolto l’invito della comunità musulmana di Torre Melissa a partecipare ad alcune fasi della preghiera serale. A nostro avviso, tale gesto è simbolo di fiducia e rispetto che queste persone sentono nei nostri confronti, atteggiamento che non nasce certo dall’oggi al domani, ma è piuttosto il frutto di un costante interesse verso i problemi dell’integrazione degli immigrati nel territorio crotonese.
A dimostrazione di tale stima è anche il fatto che ci hanno consentito di entrare nel luogo di culto attrezzati di telecamera e macchina fotografica. Tutto ciò perché forse anche loro sanno bene che nella società in cui viviamo spesso le “prove” contano più delle parole, ciò che si può verificare con i propri occhi ha più valore di mille testimonianze orali.
Per queste ragioni, l’invito ha per noi un valore inestimabile. Esso rappresenta un traguardo raggiunto insieme agli immigrati: è la testimonianza del fatto che l’unica “strategia” per stare vicini a questi cittadini stranieri è quella che sta agli antipodi dell’indifferenza.
È l’interesse nei confronti della loro vita, è l’interesse nei confronti degli immigrati in quanto persone con un background tutto da scoprire: questa è la chiave interpretativa di quelle “grandi” parole, il cui significato è ancora poco conosciuto, come multiculturalismo e integrazione.
Sono circa le 20.30 quando arriviamo davanti la moschea di Melissa. Sentiamo dal di fuori l’eco delle preghiere. Nell’attesa che Abdul, nostra guida, ci accolga intratteniamo discorsi con i marocchini del luogo. Tra questi c’è persino un giovane marocchino che gioca nel Cutro nel ruolo di centrocampista, venuto appositamente per pregare. Sono circa le nove di sera, quando incontriamo Abdul. Occorre ricordare a questo punto che la comunità nel porgere l’invito aveva comunicato un’unica richiesta: adeguarci ad alcune loro condizioni.
Quali erano i loro vincoli, certo non potevamo saperlo. Scopriamo così che chiunque entra nel luogo di culto, è obbligato a sottoporsi ad un rituale purificatorio, che ha lo scopo di liberare l’uomo dalle impurità del mondo in cui vive. Guidati da Abdul, ci avviciniamo ad una fontanella che si trova nell’ingresso della moschea. Una volta giunti ci viene detto di lavarci: tre volte il viso, per tutto l’orrore che gli occhi hanno visto; tre volte la bocca, per tutti i peccati che essa ha pronunciato; tre volte il naso, per tutte le impurità che esso ha odorato; tre volte le orecchie, per tutte le oscenità che esse hanno udito. Inoltre, dopo aver lavato il volto per l’ultima volta, occorre passare le mani bagnate sui capelli. Infine, è necessario lavarsi e strofinarsi i piedi per quanto di peccaminoso essi hanno calpestato, perché è vietato camminare nella casa di Dio con i piedi impuri.
A tal proposito, vogliamo ricordare che è usanza per tutti i musulmani accedere a tale luogo scalzi, o al massimo indossando le tradizionali ciabatte a punta. Dopo aver eseguito tale rituale entriamo nella moschea. Lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi non ha nulla del tradizionale sfarzo che caratterizza quasi tutte le chiese, di ogni religione. Si tratta, infatti, di una grande stanza, di forma rettangolare, il cui pavimento è completamente tappezzato da variopinti tappeti. Qui, seduti a terra, disposti in cerchio, con le gambe incrociate, si trovano i fedeli riuniti per la preghiera: tutti uomini, di ogni età, dai bambini agli anziani. È ovviamente presente l’imàm, il capo spirituale, silenzioso e concentrato. L’attenzione viene subito catturata dalla parete verso la quale i musulmani si rivolgono durante la preghiera. Qui si trovano un disegno ed alcune scritte. La nostra guida ci ha spiegato che si tratta dei novantanove nomi di Allah, la parte più interessante del Corano, i novantanove nomi che il fedele deve conoscere se vuole aspirare alla salvezza. Per quanto riguarda il disegno, esso rappresenta la lista degli orari della preghiera. Infatti, raffigura i cinque momenti della giornata, durante i quali il musulmano deve pregare Allah: prima della nascita del sole, a mezzogiorno, dopo mezzogiorno (verso le 15:30, 16:00), col tramonto, dopo il tramonto.
La preghiera, il digiuno, l’elemosina, il viaggio almeno una volta alla Mecca e la guerra santa sono i cinque capisaldi su cui si fonda il Corano.
Per quanto riguarda l’elemosina, i marocchini ci spiegano che ogni fedele deve donare ogni anno ai poveri una percentuale, corrispondente al 2,5%, del proprio guadagno annuale. Inoltre, per essere veri musulmani, occorre essere testimoni di Dio e del fatto che Maometto è il suo profeta.
Uno dei marocchini azzarda anche la definizione di una di quelle che secondo loro rappresenta una delle differenze fondamentali che esisterebbero fra la religione musulmana e quella cristiana: il cristiano crede in Gesù come figlio di Dio; il musulmano sa che Allah non ha figli, Maometto non è figlio di Dio, ma è solo il suo profeta.
Al di là di queste considerazioni, forse del tutto soggettive, la serata prosegue con la recita a memoria di alcuni versi del Corano. Essi sono memorizzati da tutti i musulmani, da bambini, ed è necessario ricordarli sempre perché tutti, uomini, donne, bambini, sono veri musulmani solo se conoscono queste parole a memoria. In questi versi, dei quali la nostra guida (non spirituale ovviamente) ci traduce il significato, si loda Dio, perché solo a lui spetta ogni lode, per la sua misericordia e la sua compassione, e ci si rimette nelle sue mani, poiché è lui il “padrone” dei giorni del giudizio.
Nelle spiegazioni dei marocchini, c’è un continuo riferimento al vero musulmano, quasi come se queste persone avessero desiderio di fare delle distinzioni, di distinguere se stessi, veri fedeli di Allah, da coloro che, in nome dello stesso Dio, commettono poi le più atroci bestialità.
Come ogni padrone di casa che si rispetti offre sempre qualcosa al proprio ospite, così anche con noi questa tradizione è stata rispettata: ci è stato offerto un bicchiere di the. La bevanda è stata preparata sul momento. Un’enorme ed elegante teiera è stata portata ad un marocchino che si trovava di fronte a noi su un vassoio con dentro otto bicchierini curiosamente decorati. Una volta presa per il manico tale oggetto il musulmano ha cominciato a versare con estrema abilità il the. A questo punto, è opportuno descrivere il modo così curioso ed elegante con cui venivano riempiti le tazze. Il marocchino mentre versava la sostanza teneva la teiera ad un’elevata altezza e colpiva i bicchieri con una precisione millimetrica, senza far fuoriuscire neppure una goccia di liquido.
Inoltre, ogni bicchiere doveva contenere la stessa quantità di the. Questo momento ha rappresentato la distensione definitiva dei rapporti, nel senso che è stato come il suggello di una serata in amicizia.
Questo è stato il momento per esprimere una perplessità di una banalità estrema: infatti, abbiamo chiesto perché portassero quasi tutti i baffi. La risposta è stata semplice: è la moda. La nostra curiosità indagatrice ci ha indotti all’errore, perché abbiamo immaginato chissà quale strana spiegazione dietro un fatto in realtà del tutto normale ed usuale. In questo, abbiamo manifestato uno dei tanti difetti che possiede chi pensa allo straniero come sinonimo di strano, vale a dire il desiderio di vedere sempre qualcos’altro al di là del normale.
Dopo essersi fatti una bella risata, i marocchini ci hanno salutato ed hanno incominciato i loro canti di preghiera, invitandoci a rimanere, se lo desideravamo, però in silenzio e senza interrompere le celebrazioni.
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 44 del 05/11/05

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