martedì 31 marzo 2009

I viaggiatori a Crotone 2

Il romanziere rivolto al sindaco Berligeri:“Dunque c’era sempre un dubbio in fondo alla mente del dignitario”





La “maledizione” di Gissing: che ne è di Kroton!



di Romano Pesavento

George Gissing romanziere di luminoso talento e di “romanzesca” biografia, uno di quegli artisti anarcoidi fuori dalle regole ed in perenne dissidio interiore, anticonformista per vocazione e forse “metodo”, si ritrovò come Douglas, Swinburne, Stolberg, Duret de Travel dalle nostre parti, a Crotone, alla fine dell’Ottocento, precisamente nel Dicembre del 1897, sempre a causa del solito viaggio teso alla scoperta di quello che l’attore Montesano, nella celebre gag della romantica donna inglese, definiva “pittoresco”. Lungi da noi il sospetto di voler dissacrare la portata formativa –romanzo autentico, perché reale, biografico, di formazione, per uno scrittore di romanzi!- e l’intento/fine nobile che, molto spesso, si accompagnava a questi spostamenti in direzione Sud-Est, esperienze di forte connotazione umana, culturale e metafisica, quasi; ma la tentazione del sorriso, seppur amaro, è troppo forte pensando alle fantasie, alle aspettative, alle speranze proiettate sui luoghi della Magna Grecia da questi inguaribili cultori di un mondo classico, levigato e sublime, lontano anni luce dalle povertà e dalle ristrettezze del Meridione del primo Novecento. Praticamente si partiva dalla gelida Inghilterra imbevuti ed “ubriachi d’arte”, dei versi di Teocrito, della filosofia di Pitagora,delle statuette esposte in qualche grande museo cittadino e si approdava in una terra che dell’antico splendore conservava ben poco. Anche la celebrata mitezza del nostro clima, a volte, si traduceva in un formidabile viatico per contrarre la malaria, malattia -spauracchio particolarmente feroce a Crotone in quegli anni e che provocò non pochi disagi anche allo stesso Gissing. Con questo non vogliamo dire che tali intellettuali “itineranti” fossero del tutto ignari dei tempi e delle situazioni contingenti,sarebbe inverosimile; tuttavia, dagli appunti di viaggio traspare una così appassionata rievocazione dei fasti del passato, una così cocente delusione per il confronto con il presente, da rendere palese il disappunto- choc per una realtà, evidentemente, più sgradevole di qualsiasi ragionevole previsione. Per fortuna, gli scrittori inglesi sono, di solito, portatori sani di quel tanto decantato patrio “ sense of humor”, per cui ogni pagina, anche la più indignata per la denuncia o la più nostalgica- lirica, conosce quella misura e quel taglio brioso che solo un sapiente dosaggio dell’ironia può conferire.
Anche Gissing era un autentico maestro in quest’arte, come avremo modo di sperimentare, ma vediamo in che modo descrive la città di Crotone al suo primo impatto: “Come la città vecchia di Taranto, Cotrone sorge nel luogo dell’antica acropoli,su un piccolo promontorio sporgente sul mare; in alto, e di fronte alla città, si erge il castello costruito da Carlo V, con immensi spalti, che domina il porto. Da una strada che costeggia la riva intorno alla base della fortezza,si vede una larga baia, limitata a nord dai cupi fianchi della Sila (ero di nuovo in vista del Monte Nero), e a sud da un promontorio lungo e basso, che lentamente degrada fino alla punta remota in cui finisce tra le onde…. Allora ricorsi al cannocchiale, e subito quell’incerto puntino una prominenza chiaramente visibile,qualcosa di molto simile a un faro. E’ una colonna dorica, alta una decina di metri; l’unico sostegno che sia rimasto del grande tempio di Era, famoso in tutto il mondo ellenico, e ancora sacro quando la dea portava ormai da secoli un nome latino. Colonna è il nome più frequente di questo capo, ma esso è noto anche come capo di Naù (tempio).”
Circa la colonna,chiodo fisso di tutti i “turisti”, anche perchè unica, eroica, testimone di una remota grandezza, Gissing nutriva il progetto quasi ossessivo di visitarla da vicino: il suo voleva esser un omaggio, un atto dovuto, una specie di compensazione della scellerata devastazione, definita “saccheggio”, cui fu sottoposto il tempio da parte del vescovo di Crotone, Antonio Lucifero, nel Cinquecento, per costruire il proprio palazzo vescovile. Su questo comportamento scriteriato e deprecabile si è espresso anche Douglas, come ricorderemo. D’altra parte nessuno stupore in merito: la continua rievocazione di tale episodio costituirà un motivo ricorrente per tutti coloro che,a conoscenza della vicenda storica, non possono contenere la proprio ferma condanna per un assurdo e dannosissimo arbitrio, senza il quale -terremoti permettendo –ora, probabilmente, avremmo avuto la possibilità di ammirare un ben più maestoso spettacolo del profilo sconsolato di una colonna solitaria .
“…Un buon porto; l’unico, in realtà che sia buono, tra Taranto e reggi, ma dispiace ricordare che i poderosi blocchi di cui è costruita la barriera contro il mare vengono tutti da quel tempio distrutto. Ci è stato tramandato che fino al Cinquecento l’edificio rimase pressochè intatto, con quarantotto colonne, erette là sopra lo Ionio, una guida per i naviganti, come quando Enea lo aveva scorto dalla sua nave sbattuta dalla tempesta. Poi fu assalito,abbattuto e saccheggiato da un vescovo di Cotrone, tale Antonio Lucifero, per costruirsi il palazzo vescovile. Quasi trecento anni dopo, in seguito al terribile terremoto del 1783, Cotrone rafforzò il suo porto con i grandi massi del basamento del tempio. Questo fu un saccheggio più legittimo”.
Per Gissing lo scempio del furto sarebbe stato in una qualche maniera più accettabile, se teso a creare migliori condizioni di vita per la popolazione: la costruzione del porto, di un buon porto cittadino, grazie al materiale proveniente da Capo Colonna risulta ai suoi occhi di gran lunga più tollerabile. Il trionfo dei fini personali del singolo,invece, come nel caso di A.Lucifero, a detrimento di quello che è patrimonio culturale di inestimabile valore per l’intera collettività, lo amareggia e ne accende lo sdegno.
Il pensiero dello scrittore si volge con compassione e slancio al ricordo della passata gloria di Crotone :
“Che ne è stato delle rovine di Crotone? Nella squallida cittadina di oggi non resta traccia dell’antichità. Eppure una città cintata da mura della circonferenza di dodici miglia non doveva sparire facilmente dalla faccia della terra. Il vescovo Lucifero, quando ebbe bisogno di pietre per il suo palazzo,dovette andare fino a capo Colonna. Il luogo fu abbandonato quasi duecento anni prima di Cristo.Roma lo colonizzò nuovamente, ed esso riebbe un’oscura vita come punto d’embargo per la Grecia,con le case che occupavano solo la rocca dell’antica cittadella . A quell’epoca vi erano resti della grande città greca? Della città che era stata ancor grande due secoli prima? Andò tutto adoprato nella costruzione delle case, dei templi e delle mura romane, che poi sono anche loro crollate o rimaste sepolte?
Sappiamo che il fiume Esaro scorreva nel centro della città nel suo fiorire. Guardai la pianura e là, verso la lontana stazione ferroviaria, vidi un solco verde, il corso di quell’acqua quasi stagnante e assolutamente pestilenziale che ancora si chiama Esaro…Poter contemplare in una visione il porto, le strade,il grande muro di cinta!
Dall’altura dov’ero, quanti amici e nemici di crotone hanno posato lo sguardo sulle splendide vie, popolate di forza, di bellezza e di sapienza! Vi è forse passato Pitagora, guardando il santuario Lacinio,allora appena finito di costruire
Veramente, di fronte a tali interrogativi anche il crotonese più incolto non può evitare di chiedersi quale fine abbiano mai fatto i resti di una civiltà così potente, florida e celebrata; in pratica, se ben interpretiamo le affermazioni di Gissing, supportati da analoghe testimonianze di Petronio, la ricca e decantata Crotone già in epoca romana si riduceva ad un pugno misero di case. Dei ricchi materiali di costruzione, delle statue, degli sfarzosi edifici non rimaneva, già allora, traccia alcuna.
In compenso, in perfetta continuità con una certa tipologia di esponenti politici nostrani piuttosto diffusi, “ecumenicamente”, a destra e a sinistra, anche ai nostri giorni, il nostro Gisssing ci tratteggia un sapido ritratto del sindaco di Crotone di allora e di un suo amico, evidenziandone l’amore per la cultura e la fiduciosa ed entusiastica accoglienza nei confronti dello straniero,giudicato sempre ,paradossalmente, o troppo furbo o troppo idiota: “In un ufficio ben arredato sedevano due signori robusti, che fumavano il sigaro perfettamente a loro agio; il sindaco mi pregò di accomodarmi e mi scrutò con una perplessa curiosità mentre gli esponevo il motivo della mia venuta. Sì, certo, poteva permettermi di visitare il suo aranceto, ma perché volevo vederlo? La risposta che ogni mio interesse era per le bellezze naturali non lo persuase; pensava che fossi qualche speculatore. Era un pensiero abbastanza naturale. In tutto il mezzogiorno d’Italia il denaro è l’unico argomento a cui gli uomini pensino. Quelli che hanno le ricchezze vi stanno ferocemente attaccati; e la massa non ha tempo né desiderio di occuparsi d’altro che dei mezzi di sussistenza, il che significa, per le masse, poter placare la fame.
Vedendo l’imbarazzo del sindaco, il suo imponente amico cominciò ad interrogarmi: bonariamente, ma con voce così grossa gorgogliante (resa ancora più indistinta dal sigaro che non si era levato dalla bocca) che lo capivo a stento. Che facevo a Cotrone? Cercai di spiegargli che Cotrone mi interessava molto. Ah, Cotrone mi interessava? Davvero? E che ci trovavo d’interessante a Cotrone? Gli parlai dei ricordi storici. Il sindaco e l’amico si scambiarono delle occhiate perplesse, ebbero un sorriso perplesso, tollerante, quasi compassionevole e decisero che quanto chiedevo poteva essermi accordato…un minuto dopo uscivo con in mano mezzo foglio di carta da lettera su cui erano scarabocchiate a lapis poche parole, seguite dalla firma “Berlinghieri”. Quando decifrai lo scarabocchio, capii che era l’ordine di lasciarmi visitare una certa proprietà “senza nulla toccare”. Dunque c’era sempre un dubbio in fondo alla mente del dignitario!”
In maniera ironica ma impietosa Gissing “ruba” un’istantanea di vita quotidiana crotonese, che, per la sua vivace naturalezza, potrebbe essere avvenuta non più di qualche giorno fa in un qualsiasi ufficio della città: i potenti pinguemente imponenti, fintamente bonari e paternalistici, sono in realtà già pronti a prevenire eventuali danni, da chi, ai loro occhi, pur presentandosi di sicuro come un irrimediabile imbecille, imbevuto di stolte farneticazioni (storia, arte), potrebbe, dietro una stolta,innocua, apparenza, nascondere chissà quali frodi. Meglio non rischiare.Anche il “permesso”, formulato con poca cura e steso su un mezzo foglio di carta con grafia illeggibile può diventare un netto indizio del pressappochismo e del lassismo di un certo approccio politico crotonese. “Ci sono cose che il tempo non cambia” recitava una vecchia pubblicità.




Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 30 del 28/07/2006;

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