giovedì 16 aprile 2009

Crotone&Immigrazione 2

Il ruolo delle donne nella comunità rom crotonese


di Romano Pesavento ed Eliseo Pantisano

La città di Crotone offre agli studiosi la possibilità di poter effettuare un valido raffronto fra due gruppi rom, che come già spiegato in precedenza, differiscono per provenienza, e livello d’integrazione, nonché per stili di vita e tradizioni. Ciò che determina un tratto comune è la posizione che occupa la donna all’interno di queste comunità. La cultura dei rom slavi vuole che le ragazze contraggano il matrimonio molto giovani: per una ragazza di vent’anni, non essere sposata è una “vergogna”. Inoltre durante la fase prematrimoniale, la donna viene comprata dal futuro sposo, secondo una tradizione in uso presso molti popoli rom. Questi soldi vengono però spesi dalla famiglia della sposa per la festa del matrimonio, matrimonio che viene celebrato con il rito musulmano, di solito nel campo della sposa. I festeggiamenti possono durare anche fino a tre giorni, durante i quali si mangia, si beve e si balla. Alla donna viene affidato la cura dei figli, essendoli lavoro una sfera riservata soltanto agli uomini. Il corpo della donna è però sottoposto ad un processo d’invecchiamento accelerato, a tal punto che s’incontrano donne di trenta anni che ne dimostrano il doppio. Con una riflessione non troppa profonda, si arriva alla causa di ciò: essendo le famiglie rom molto numerose, la donna porta avanti nel corso della sua vita numerose gravidanze, cui segue inevitabilmente il deterioramento del fisico. La figura femminile rimane ancora marginale rispetto al gruppo anche nella visione della famiglia che appartiene ai Rom Calabresi che risiedono a Crotone. A lei viene riconosciuta l’importante funzione di badare alla casa e alla crescita dei figli. Rispetto al passato, si registra però la lenta inversione di tendenza, poiché anche a Crotone ci sono ragazze rom che proseguono gli studi, a volte fino all’università, con prospettive d’inserimento nella vita lavorativa.
Gli zingari che vivono all’interno della città, hanno tutti un’occupazione più o meno stabile. Anche loro, come quasi tutti i gruppi rom presenti in Italia, hanno dovuto abbandonare le loro tradizionali attività adeguandosi all’evoluzione della vita lavorativa conseguente allo sviluppo economico e sociale della civiltà. Un tempo quando ancora si trascorreva una vita nomade, ci si spostava da un paese all’altro, inseguendo le fiere per vendere le proprie lavorazioni in ferro e i propri cavalli. Questi erano, infatti, le principali fonti di guadagno per gli zingari calabresi: l’arte di lavorare il ferro, l’allevamento dei cavalli. I viaggi si affrontavano con il carro, il famoso “sciaraballo”, un carro a due ruote e due lunghe leve dette “stanghe”, che servivano per legare (“impajare”) il cavallo. Questo carro, oltre ad essere utilizzato come mezzo di trasporto per gli oggetti e le persone adulte visto che i bambini si spostavano a piedi, aveva anche la funzione di offrire un riparo per la notte. Infatti, durante la sosta serale, il carro veniva staccato dal cavallo, poggiato a terra con la parte posteriore, mentre le stanghe puntavano verso il cielo. Alle estremità delle lunghe leve, venivano appese delle coperte, in modo da creare una tenda in grado da riparare dalle intemperie. Nelle notti umide, quando il terreno era particolarmente bagnato e diventava impossibile dormirci sopra, veniva escogitata un’intelligente soluzione: sul terreno veniva sistemata della paglia, la stessa che in seguito veniva bruciata e utilizzata come fonte di riscaldamento, mentre come caldo materasso su cui dormire se ne sceglieva dell’altra più fresca. Un tempo dunque gli zingari Calabresi vivevano in stretto contatto con la natura; a testimonianza ulteriore di ciò c’è l’abitudine rom di piantare un albero in ogni posto in cui si sostava. Questa tradizione si conserva tuttora e si mantiene anche negli ornamenti interni alle case, sempre ricche di tappeti e tende che rievocano la natura. Oggi, i lunghi viaggi con lo “sciaraballo” sono diventati un ricordo e per molti giovani rom sono il simbolo di un passato e di un nomadismo che essi non hanno condiviso. Certo il nomadismo non è una caratteristica esclusiva della cultura zingara. Quella che contraddistingue il rom, in quanto componente di una comunità minoritaria che da secoli vive a stretto contatto con altre comunità, e il modo in cui egli si rapporta alla società dei gagè (i non zingari) con i quali convive, il modo in cui assimila i loro elementi culturali e li reinterpreta allo scopo di assicurare la propria sopravvivenza culturale. Il processo di sedentarizzazione ha innescato dunque una serie di cambiamenti, provocando anche l’abbandono delle vecchie attività lavorative, le quali continuano però ad essere parte integrante della vita dei rom Calabresi, almeno come hobby. I cavalli,infatti, continuano ad essere allevati e si continua a portarli alle fiere paesane, non per venderli, ma solo per rendere manifesta un’arte che, pur con il trascorrere del tempo, rimane ancora un privilegio degli zingari.
-------------------------------------------------------------------------------------------------
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 30 del 30/07/2005;

Nessun commento:

Posta un commento