martedì 14 aprile 2009

Crotone&Economia 2

Mezzoggiorno, sviluppo e politiche di coesione 2007/2013: ne parliamo con parliamo con Domenico Cersosimo docente UNICAL


Programmazione 2007/2013 e sviluppo agro-industriale dell’area crotonese -metapontina: quale futuro per un grande progetto interregionale pilota?


di Romano Pesavento

Mezzogiorno, sviluppo e politiche di coesione 2007/20013 costituiscono temi molto attuali nelle discussioni e nei dibattiti economici di questi mesi. In particolare, crediamo che, alla luce del POR 2000/2006 (piano operativo regionale), occorra operare una seria riflessione su ciò che è stato fatto nelle politiche economiche regionali e ciò che si potrà fare d’ora in avanti con le politiche di coesione 2007/2013. Per tal motivo, ne discutiamo con Domenico Cersosimo, docente di Economia Regionale presso l’UNICAL.
D: Alla luce delle politiche di coesione 2007/20013, può fare un bilancio sulla passata programmazione 2000/2006?
R: Per quanto riguarda i giudizi sul passato e quindi sulla programmazione 2000/2006, penso si possa parlare di un vero e proprio fallimento. La parola è dura ma bisogna adoperarla. La partenza è stata incoraggiante ma l’implementazione disastrosa. Naturalmente, faccio riferimento all’implementazione dell’intera architettura del POR, quindi sto parlando di tutti gli attori del POR. Abbiamo assistito a quattro principali fallimenti. Il primo è evidente a tutti. Faccio riferimento allo scarso impatto dei fondi europei sull’economia regionale. Infatti, prendendo in considerazione i dati dal 1999 al 2004 si rileva una situazione economica statica. Ulteriore prova si ha quando si confronta nello stesso periodo la Calabria con la Campania; anche quest’ultima è riuscita ad utilizzare meglio tali fondi.
Il secondo fallimento è stato la bassa o impercettibile capacità di costruire architetture istituzionali sia di carattere verticale centro-regione, regione-enti locali, sia orizzontale regione-regioni, regioni-parti sociali. Voglio ricordare che il metodo che stava alla base dei fondi europei 2000/2006 era quello di condurre i soggetti istituzionali e sociali proprio verso un potenziamento e sviluppo della cooperazione e delle reti istituzionali.
Il terzo fallimento è stato la scarsa qualità e integrazione degli investimenti. Si è, inoltre, assistito ad un numero elevatissimo di progetti sponda che disimpegnavano le parti istituzionali e sociali e non creavano quindi i presupposti per una programmazione dello sviluppo. Tutto ciò a portato verso progetti puntiformi e non integrati come il POR si prefiggeva. Ultimo fallimento è la bassissima capacità di spesa. Attualmente siamo, infatti, alla metà degli impegni ed intorno ad 1/3 dei pagamenti.
D: Di contratti d’area, patti territoriali e nuova programmazione delle politiche di coesione 2007/2013 se n’è parlato tanto e se ne continua a parlare. Quale è il suo giudizio?
R: Penso che il contratto d’area sia stato l’ultimo strumento centralista dell’intervento straordinario. La logica che, infatti, sta alla base è quella di utilizzare le risorse esterne per finanziare indifferenziati progetti territoriali, tutto ciò senza avere nessun disegno organico d’integrazione con la realtà socio-economica del territorio. La nuova programmazione parte, invece, da un nuovo approccio che ha come caposaldo fondamentale la creazione di un grande progetto interregionale. Tutto ciò, significa pensare a scenari più ampi. Nel nostro caso, si potrebbe ipotizzare una cooperazione tra Calabria e Basilicata. A tal proposito, credo che il disegno di politica socio-economica, che più si presterebbe ad un tale progetto pilota, può essere quello di uno sviluppo agro-industriale della fascia ionica ed in particolare dell’area crotonese/metapontina. E’ proprio in questa area che ci sono realtà produttive dotate di esperienza e competenza tali da poter, a mio avviso, competere sui mercati.
Oggi l’agricoltura calabrese, ma anche meridionale, soffre di scarsi effetti d’agglomerazione. Tutto ciò significa che in tale realtà economica, fatta principalmente di micro-imprese, si verificano e sono presenti effetti di scarsa diversificazione nella produzione, bassa interconnessione e grado d’innovazione. Questo conduce al fatto che molte delle imprese non riescono a reggere la competizione sul mercato.
In tale situazione è importante ed attuale programmare lunghe filiere produttive territoriali, magari più articolate, in grado di conquistare una forza contrattuale sia in termini di produzione sia in termini istituzionale.
D: Crede realmente che solo potenziando o costruendo nuove infrastrutture si possa sviluppare una realtà?
R: Innanzitutto, bisogna considerare le infrastrutture come un ampio sistema e non come singole realtà. In questi anni, le classi politiche regionali e locali hanno lavorato molto sulle infrastrutture puntuali senza ragionare sulle interconnessioni logistiche e di rete. L’infrastruttura in sé non risolve il problema dello sviluppo. A Crotone, come in altre realtà regionali, si è pensato molto alle singole infrastrutture senza pensare al sistema. Quindi è necessario da una parte, sì, guardare all’accessibilità del territorio, dei mercati regionali e nazionali, ma dall’altra è opportuno anche sapere quale sviluppo vogliamo e quali infrastrutture ci servono realmente.
D: Quale è il consiglio che allora si sente di dare ai rappresentanti istituzionali della città di Crotone?
R: Credo che in questo scenario i crotonesi e le istituzioni di Crotone fanno bene se continuano a pensare allo sviluppo come ad una cosa di poliedrico o di complesso, che contempli lo sviluppo di attività ricreative, turistiche e architettoniche; ma faranno altrettanto bene se si occuperanno delle industrie in crisi e delle piccole e medie imprese, che nella zona crotonese nascono. Spesso molte di queste imprese sono imprese invisibili o che non hanno forza contrattuale. Di tali imprenditori non si occupa nessuno. Bisogna aiutare tali realtà creando un riferimento istituzionale. Allo stesso modo farebbero benissimo ad occuparsi dell’agricoltura. Bisogna considerare lo sviluppo come una interconnessione intersettoriale tra le varie realtà. Penso che l’abilità dei popoli maturi o “sviluppati” sia proprio quello di interconnettere, cioè far fare tessuto all’insieme delle attività economiche. Naturalmente, laddove esistono delle vocazioni specifiche, delle risorse idiosincratiche forti, conviene puntarci sopra.
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 37 del 17/09/2005;

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