giovedì 2 aprile 2009

I viaggiatori a Crotone 11

Marion Francis Crawford: di Crotone scrisse che era un angolo deserto d’Italia!






“Una terra di contadini che ignorano tutto tranne l’agricoltura. Una terra dove risulta veramente difficile sentire il cuore dell’antica Grecia battere ancora”


di Romano Pesavento

Tra i molti viaggiatori che si avventurarono alla scoperta delle rovine della nostra città, c’è anche un noto romanziere statunitense di nome Marion Francis Crawford. A questo punto qualcuno potrebbe malignamente pensare: “E così dopo i viaggiatori francesi, inglesi, tedeschi arrivano, pure, i nostri beneamati americani”. Certamente, non potevano mancare! Anche perché, come tutti sappiamo, il loro parere, non dimentichiamolo, è sempre stato fondamentale per la conoscenza esatta e reale di ogni storia, momento o fatto temporale. In barba quindi ai “soliti vecchi comunisti” continuiamo il nostro articolo! La prima domanda che, di consueto, ci poniamo prima di iniziare a discorrere sui passi dedicati a Crotone è: Chi fu Crawford? Dalla ricerca biografica è possibile ricostruire alcune tappe della sua vita. Infatti, nato il 2 agosto del 1854 ai Bagni di Lucca, in Italia, era figlio di Thomas Crawford, noto scultore americano, e di Louisa Cutler Ward, sorella della poetessa americana Julia Ward Howe. Studiò alla St Pauls school di Concord, nel New Hampshire e all'università di Cambridge, oltre che a Roma e all'università di Heidelberg. Contemporaneo, quindi, del famoso narratore e saggista statunitense Henry James, si può dire che ne rappresentasse l’esatto contrario in fatto di teoria e prassi letteraria, proponendo storie d’avventura e di evasione, rifuggendo da innovazioni tecniche e unendo un certo tono didascalico all’etica cattolica e a motivi esotici, decadenti e tardoromantici. Nel 1879 andò in India per perfezionare la conoscenza del sanscrito e divenne editore del quotidiano Allahabad Indian Herald. Fu proprio qui che si convertì alla religione cattolica. Al suo ritorno in America continuò gli studi di sanscrito all'università di Harvard per un anno, collaborò con varie riviste e nel 1882 scrisse il suo primo romanzo, Mr Isaacs, un brillante ritratto della vita di un inglese in India mescolato con elementi di mistero e di orientalismo romantico. Il libro ebbe un immediato successo così come il successivo, Dr Claudius (1883). Dopo un breve soggiorno a New York e a Boston, nel 1883 tornò in Italia e si stabilì in penisola, a Sant'Agnello, dove rimase per sempre a godersi l’incommensurabile vista del Golfo di Napoli che si poteva catturare dalla sua splendida casa a strapiombo sul mare. Era appassionato collezionista di reperti antichi ed appassionato navigatore: era solito spostarsi a bordo del suo veliero di cui era abilitato al comando ed aveva una discreta flotta attraccata nel suo porticciolo di Sant’Agnello collegato alla sua villa da una discesa a mare. Morì il 9 aprile del 1909 e per suo espresso desiderio riposa nel cimitero di Sant’Agnello, in una tomba posta a destra del viale d’ingresso. L’opera in cui sono raccolte tutte le impressioni avute da Crawford durante il suo viaggio nella nostra Crotone si intitola: “The Rulers of the South: Sicily, Calabria, Malta (I padroni del Sud: Sicilia, Calabria, Malta) e fu pubblicata a Londra da Macmillan nel 1900. Detto ciò passiamo adesso con l’esaminare le frasi scritte dal nostro sulla nostra città. “Oggi non resta nemmeno una pietra di ciò che era l’antica città di Crotone. Ciò che rimane è solo una piccola soddisfazione per ciò che un tempo la città ha rappresentato. Le pietre delle antiche rovine sono state usate per costruire il molo di un porto sicuro. Crotone non scomparve mai. Dove su una ardita roccia che costeggia il mare sorgeva la roccaforte di Milone, nel Medioevo Carlo V costruì una nuova fortezza che ancora oggi riflette la sua tenebrosa sagoma sul mare.”
Certo, sin da queste prime righe, “viene a galla”, ancora una volta, la nostra triste e desolata realtà. Infatti, è proprio l’inizio del pezzo “Oggi non resta nemmeno una pietra di ciò che era l’antica città di Crotone” ad offrirci l’immagine di un’opprimente realtà; in quanto la città, nel corso degli anni, ha cancellato completamente la sua antica gloria. Certo nel nostro caso, parlando di amministratori, potrebbero calzare a pennello le parole che Dante Alighieri scrisse nel canto XXVI dell’Inferno, quando affronta i consiglieri fraudolenti cioè coloro che il prossimo hanno ingannato per la grandezza propria o del loro partito. E allora come Dante dovremmo oggi recitare: “Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, e più l ‘ngegno affieno ch’io non soglio, perché non corra che vitù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m’ha dato ‘l ben,ch’io stessi nol m’invidi.” Naturalmente, l’opinione di Crawford, malgrado le sue rimembranze per l’antico fascino della Magna Grecia, diventa sempre più tetra e cupa sia nei confronti dell’attualità crotonese che sul comportamento di alcune classi sociali. Infatti, nel brano successivo leggiamo: “Crotone oggi è un angolo deserto dell’Italia. Una terra di contadini che ignorano tutto tranne l’agricoltura. Una terra dove risulta veramente difficile sentire il cuore dell’antica Grecia battere ancora. Di ciò che era più bello e più civile in tutto l’occidente, oggi resta solo una colonna di un’ammirevole bellezza eretta a due passi dal mare, a Capo Colonna, dove il grande filosofo indugiava all’ombra del tempio di Hera Lacinia. Rimane poco anche del dipinto raffigurante Elena, sul muro all’interno, opera di Zeusi, e dei greci di tutto il sud Italia che salivano ogni anno dalla città al tempio in una splendida processione portando doni e offerte alla dea e al suo santuario. Ciò che è rimasto è il nome di Pitagora, la sua influenza che ha dominato la terraferma e che ha lasciato tracce di sé anche dopo la catastrofe dove i discepoli e il loro mastro trovarono la morte.”
In merito all’antico splendore magno greco, il nostro romanziere rimane affascinato sia dalla “colonna” di Capo Colonna sia dalla “divina figura di Pitagora”. In merito al primo caso, siamo dell’idea che come la vera poesia è fuori del tempo e della storia perché riposa nei momenti essenziali e universali dell’uomo, superando le motivazioni contingenti che magari hanno contribuito a determinarli, così il significato della “Colonna di Capo Colonna”, nelle sue geometriche venature, è al di là del tempo e della storia perché, riposando nell’intimo dello spirito umano, diventa matrice di sensazioni eterne che non conoscono la polvere dei documenti d’archivio. Per quanto riguarda, invece, Pitagora ci asteniamo dal commento e passiamo la parola a Crawford: “La divina figura di Pitagora vive tra i personaggi insigni del Sud così come la leggenda dei oi prodigi, la saggezza dimostrata con i suoi profondi insegnamenti e la sua salda credenza nella futura vita dell’anima. Con il suo amore di uomo, il suo amore per la bellezza, la sua fede, la sua speranza e la sua grande carità cristiana egli rappresenta nel modo migliore il caratteristico uomo ariano o indo-germanico. Se gli eruditi hanno in passato deriso la sua teoria sui numeri, nessuno potrebbe negare la sua schiavitù in babilonia o la sua lunga residenza in Egitto. Solo Bentley e Ritter hanno condotto u lodevole ma inefficace tentativo di trovare il giusto mezzo che potesse riunire i suoi viaggi con le sue teorie. Rimane in ogni caso, però, il fatto che egli visse e lavorò, sognò di un mondo di fratellanza nel quale ogni bene era in comune e dove tutti i mali non avevano accesso. Pitagora lasciò dietro di sé una filosofia senza la quale sarebbe difficile immaginare un Aristotele, un Socrate o un Platone. Per i suoi seguaci, come per quelli che vennero dopo di lui, il suo nome significava tutto ciò che era giusto, possibile o irraggiungibile nella lotta per la civiltà contro le tenebre (…). Ma nonostante tutto Crotone fiorì, fiorì molto, e i suoi possedimenti si estendevano d mare a mare. Essa lasciò nella storia il nome di innumerevoli vincitori di giochi olimpici e la reputazione per l’impareggiabile forza dei suoi uomini e la bellezza delle sue donne.”In conclusione, ci viene spontaneo pensare che i crotonesi non abbiano ereditato proprio niente della sapienza e dello spirito di fratellanza pitagorici; anzi, giorno dopo giorno, con le loro scelte quotidiane, pare si dilettino parecchio nello sfruttarsi, raggirarsi, insultarsi (quando non accoltellarsi) vicendevolmente in ogni momento della propria vita.

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