martedì 30 settembre 2014

I Viaggi di Gulliver: la Russia degli Zar, della Rivoluzione e del folclore ortodosso

I “giorni bianchi” di Mosca e San Pietroburgo


 

di Romano Pesavento


“Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita”. Jack Kerouac 
“Buon pomeriggio, sono il vostro capitano, siamo appena atterrati nell’aeroporto internazionale di Sheremetyevo a Mosca, la temperatura è di 35 gradi e il sole splende. Vi auguro un piacevole soggiorno nella capitale russa.” Domenica 25 luglio 2010, dopo un volo di circa cinque ore, abbiamo sentito queste parole straordinariamente sorprendenti per una nazione, che non sa che cosa sia il vero caldo. Potenza dei cambiamenti climatici! In realtà per tutta la nostra permanenza la colonnina di mercurio ha segnato valori degni del Nord Arfrica (35°; 38°, 42°); e questo ha comportato una serie di problematiche logistiche (cattivo funzionamento dell’aria condizionata, disagi vari) ma anche una visione inedita della Russia: una terra luminosa e monumentale in tutti i suoi aspetti e manifestazioni. Dopo aver preso i nostri bagagli e passato il vaglio, scrupoloso, della dogana siamo saliti su un taxi malconcio, guidato da un autentico “cosaccoide” in tenuta d’autista. Burbero e gioviale, per omaggiare la nostra italianità, ha pensato bene di far rimbombare a tutto volume la nota canzone popolare Marina di Rocco Granata all’interno dell’autovettura.
Il viaggio fino al nostro albergo è stato purtroppo molto lungo e il repertorio musicale piuttosto monotono. L’hotel, esteriormente imponente secondo l’estetica sovietica, ci ha accolti accaldati e decisamente sfiniti.
La moquette onnipresente  di un colore verdastro, con nostro sommo disappunto, era popolata da miriadi di moscerini festosi e frenetici, in piena attività riproduttiva, secondo quanto ci hanno spiegato nella hall. Impreparato com’era il personale ad impennate termiche così violente non riusciva a fronteggiare il dilagare di questi innocui, ma fastidiosi, insetti, se non con trasferimenti di stanza relativamente risolutivi.
Il giorno dopo siamo giunti nell’altamente evocativa Piazza Rossa, topos polisemantico per tutti quelli che hanno abbracciato l’ideale comunista e anche per tutti coloro che lo hanno accanitamente osteggiato. Prima però di oltrepassare la Porta della Resurrezione abbiamo fatto una passeggiata nei giardini Alexandrovsky, sul lato occidentale del Cremlino.
Qui lungo il canale decorativo si ritrovano ad affiorare, tra le iridescenze delle fontane, i personaggi delle favole russe e la tomba del milite ignoto, morto per mano dei nazisti a 41 km dalla capitale. Oggi questo posto è diventato parte della tradizione russa: i giovani sposi depongono un mazzo di fiori sul marmo roseo posto di fronte al sepolcro dell’eroico, sconosciuto, caduto. Proprio mentre stavamo per lasciare tale luogo, una guardia con un fazzoletto bianco asciugava le gocce di sudore che grondavano sul viso dei giovani soldati posti fermi davanti all’altare.
Dopo aver brevemente visitato la Cappella della Madonna di Iver, entriamo nella piazza più famosa della Russia; qui a terra si trova la struttura in bronzo coi punti cardinali indicante il Chilometro zero, da cui misurano tutte le distanze rispetto alla capitale.
Non si può rimanere insensibili davanti a tanta bellezza: la Piazza Rossa, con la sua grandiosa spazialità; il Cremlino, con le sue lucenti cupole dorate; il mausoleo di Lenin, con la sua gravità austera; le tombe dei notabili comunisti da cui si staglia il busto di Stalin.
Il momento di estasi si conclude con i Grandi Magazzini di Stato (GUM) nella loro modernità Art déco, la Cattedrale di San Basilio, un tripudio di colori, una fantasmagoria di cupole a forma di cipolla, secondo la tradizione slava, di dimensioni svariate e fantasia sfrenata giusto adiacente al monumento a Minin e Pogiarskij e al Lobnoe mesto (pedana rotonda in pietra ).
Di notte lo scenario s’illumina di tante luci variegate, conferendo all’ambiente una seducente atmosfera stregata.
Dopo una breve sosta alla collina dei passeri, ci dirigiamo al monastero di Novodevicij o meglio conosciuto come monastero delle Vergini.
La denominazione affonda le sue origini nel passato: forse legata al traffico di schiave dei tartari oppure al fatto che era un complesso monastico femminile.
La struttura appare circondata da una cinta muraria, da 12 torri e al suo interno le pareti sono adornate da affreschi di ottima fattura.
Durante il pomeriggio, transito dal ponte sulla Moldova e ingresso al Cremlino. Meticolosamente i nostri occhi fotografano quei luoghi costellati da minuscole chiesette ortodosse, dai tetti a forma di piccole gocce color d’oro e internamente decorate con orli e icone raffiguranti i santi ortodossi; il Palazzo dei Diamanti, struttura del Quattrocento, opera dell’ingegno di due architetti italiani, Ruffo e Solari, e il Gran Palazzo del Cremlino restituiscono per intero la percezione della storicità del luogo. Dopo una bella bistecca georgiana, andiamo a zonzo in una serata piacevole e ricca di vivacità. 
La mattinata successiva si apre con la sveglia all’alba per percorrere gli 80 km che ci separano dal monastero della Trinità di San Sergiev Posad: il luogo di culto d’incomparabile bellezza e imponenza sbalordisce il visitatore anche per l’estrema religiosità dei fedeli ortodossi.
All’ombra delle cupole azzurre stellate, una messa dura tre ore, donne e uomini si prostrano per tutta la durata della funzione, il vestiario è spartano e sobrio, la religiosità piuttosto intensa e partecipativa, con buona pace del materialismo marxista.
I pope, figure enigmatiche e inquietanti, celebrano la messa dietro l’iconostasi (parete divisoria intarsiata); il loro abbigliamento, le lunghe, ispide, barbe e i ventri spesso, spaventosamente, prominenti incutono, più che reverenza, sospetto nel turista occidentale.
Il pomeriggio, dopo un simile tuffo nel passato di una Russia antica e contadina, ci immergiamo nell’epoca staliniana, il cui frutto più emblematico sono i famosi grattacieli noti come le sette sorelle e la celeberrima metropolitana.
Passare di stazione in stazione permette di spaziare tra stili decorativi e narrativi a dir poco epici: l’epopea dei lavoratori e la celebrazione delle figure carismatiche del comunismo, qui, diventano sostanza d’Arte. Mosaici, statue, rosoni, specchi, lampadari sontuosi, marmi pregiati esaltano il trionfo sovietico e l’ideale della modernità in un’URSS che doveva imporsi come modello di riferimento per il mondo intero.
Un veloce flash sulla colorata, vivace e bizzarra via pedonale Vecchia Arabat e l’indomani partenza in treno per San Pietroburgo.
Il treno superveloce si snoda attraverso paesaggi desolati, costellati da baraccopoli: “l’odore” della miseria si sente da lontano.
La via sovietica al capitalismo imboccata da Putin ha messo in ginocchio la periferia e le zone rurali.
Ci hanno raccontato che qui anche gli agricoltori, quelli superstiti all’epurazione di Stalin, conoscevano a memoria i versi dei grandi poeti russi, in maniera particolare Puskin, Tolstoj e le gesta dei padri del socialismo reale.
La scuola in passato era molto rigorosa e l’esaltazione delle tradizioni e della cultura sovietica era un dovere morale per il giovane patriota comunista. Scesi dal treno e saliti sul pullman, ci siamo ritrovati di colpo immersi nel traffico e nella vitalità della famosa Prospekt Nevskij.
San Pietroburgo si  è presentata  da subito al  nostro sguardo come una metropoli straordinariamente civettuola, brillante ed europea. Lo zar Pietro il Grande, l’imperatrice Elisabetta e la zarina Caterina II, grandi stimatori dell’arte e dell’architettura, chiamarono a raccolta gli architetti più ingegnosi del tempo (Bartolomeo Rastrelli, Antonio Rinaldi, Giacomo Trombara, Giacomo Quarenghi ecc.) per impreziosire la loro città come una bomboniera parigina, veneziana o viennese.
Così, le strade, spaziose e luminose, i giardini all’italiana disseminati all’esterno degli edifici più significativi e i palazzi sontuosi, vagamente leziosi nell’azzurro, verde e oro (colori preferiti dalla famiglia reale) degli stucchi, conferiscono un’atmosfera aristocratica e sognante, da Gran Soirèe, alla capitale culturale russa.
L’indomani un giro panoramico alla scoperta dei luoghi più significativi: il piazzale delle Colonne Rostrate, il lungo Neva con i suoi palazzi, il campo di Marte, la prospettiva Nevskij, la piazza del palazzo con la Colonna Alessandrina, la piazza e Cattedrale di St. Isacco e l’Ammiraglio.
Nel pomeriggio, dopo una visita al cimitero monumentali di Tikhvin, l’escursione in battello lungo i canali ci regala un’ulteriore angolazione affascinante della Venezia dell’Est. 
Sorge il sole e siamo già per strada per recarci al rinomato museo Ermitage, in cui trovano ospitalità collezioni d’arte di notevole importanza: dalla scuola italiana alla spagnola; dalla francese alla fiamminga.
Solo qui è possibile ammirare estasiati un gran numero di opere del Canova. Pomeriggio tra gli ori della fortezza di SS Pietro e Paolo dell’architetto italiano Domenico Trezzini, luogo dove sono sepolti gli zar; all’esterno, presso le mura, c’è sempre qualcuno che fa il bagno nelle acque gelide del mar del Nord o cerca di abbronzarsi leggendo un libro.
Il tramonto romantico lascia spazio a una notte scintillante di piccole luci, che rendono l’atmosfera magica e frizzante, mentre i ponti, dai colori cangianti, allo scoccare della mezzanotte, si alzano facendo transitare le grosse navi verso le loro lontane destinazioni.
Il nostro ultimo giorno lo passiamo presso la residenza estiva di Caterina II, a Tsarskoye Selo, il villaggio degli zar, oggi chiamato Pushkin.
L’ingresso della magnifica struttura è folgorante:  numerose statue dorate con fattezze neoclassiche ad altezza naturale si susseguono lungo le scalinate marmoree in successione pressoché infinita, tra giochi e fiotti di acqua elevatissimi, scagliati fino al cielo da fontane di tutte le fogge e grandezze. Probabilmente neanche Versailles dispone di una simile, abbagliante, opulenza.
Gli interni, riccamente istoriati ed elegantemente arredati, denotano tutta la raffinatezza rococò cui era saputa arrivare la dinastia Romanov.
La sala d’ambra costituisce il momento più esaltante della visita: pareti intere, costellate da grani della pietra dura di ogni formato e gradazione color del miele, sembrano proiettare  una soffusa luce dorata sui volti incantati e increduli dei presenti.
L’ultima fotografia del nostro soggiorno l’abbiamo voluta scattare ai bambini, che giocavano festosi tra lo zampillare pirotecnico dell’acqua nel parco della residenza di Petrodvorets: l’etichetta di corte cede finalmente il posto alla gioia pura.   


Qualche scatto