giovedì 2 aprile 2009

I viaggiatori a Crotone 10



Cesare Malpica il dotto romantico che s’innamorò di Crotone


“Oh! trovami una marina pari a questa di Cotrone, che è la prima del mondo!”


di Romano Pesavento

A questo punto del nostro percorso, ci sembra opportuno fare qualche riflessione sugli argomenti affrontati nelle settimane precedenti. Infatti, non si può indubbiamente affermare che la nostra città sia stata descritta in modo benevolo da gran parte dei viaggiatori che tra il ‘700 e l’ ‘800 la visitarono. Certamente, la situazione ambientale, economica e sociale allora non era delle migliori; ma d’altronde i passi che abbiamo analizzato, ahimé, ci inducono a pensare come ancora oggi le cose non vadano poi così meglio. Tutto ciò significa, naturalmente, che, malgrado il tempo trascorso, molti problemi sono rimasti. Di chi la colpa? Degli amministratori, dei cittadini. Certo, a questo punto, sarebbe inutile e prolisso addentrarci nei meandri della nostra società alla ricerca del “peccatore”, dal momento che, in linea di massima, la situazione non cambierebbe nemmeno di una virgola. Dato che ormai la nostra realtà si sta sempre più omologando alla famosa canzone degli anni ’70, intitolata “Jonny il bassotto” in cui ci si chiede ossessivamente: “Chi ha rubato la marmellata? Chi sarà?”. Naturalmente, anche la risposta della citata canzoncina è adattabilissima ai nostri tempi: “Io non c’ero, io non sono stato, non sono mai venuto lì, a quell’ora faccio sempre la pipì!”.
Detto ciò, risulta importante introdurre subito il personaggio della settimana: Cesare Malpica. Questo viaggiatore fu tra i pochi che apprezzarono la bellezza estetica della nostra cittadina. A differenza di molti dei suoi precursori, il nostro coraggioso pioniere era italiano. Infatti, nato a Capua il 2 aprile 1801 dal nobile calabrese Ignazio, ufficiale dei Cacciatori Campani, e dalla capuana Maria Atonia Turino, frequentò il liceo a Salerno per poi seguire gi studi di giurisprudenza a Napoli col Lauria. Nel 1836 fondò a Napoli una scuola privata. Morì a Napoli il 12 dicembre del 1848, lasciando la moglie Annunziata Cottin di agiata famiglia francese e cinque figlie. Per quanto riguarda le sue credenziali, possiamo affermare che il letterato Malpica fu nel decennio 1840-50 l’esponente più in vista di quel romanticismo meridionale d’ispirazione sentimentaleggiante che ha un posto non trascurabile nella storia del romanticismo italiano. Un romanticismo, quindi, deteriore, niente affatto originale, che accoglieva nel suo repertorio il patetico e il sentimentale, il tetro e il mostruoso, lo straordinario e l’esagerato, e che riusciva ad esprimere l’irrequietezza sociale del tempo soltanto attraverso immagini stereotipate, non meno convenzionali di quelle usate dai classicisti, anche se più temperate dall’esperienza della tradizione.
La descrizione del viaggio è contenuta nell’opera “” scritta nel 1846. Sempre nello stesso anno, il Nostro arriva nel mese di maggio a Crotone.
“È piccola ma graziosa, e ricca Città di Crotone. È cinta di forti mura, e però di fuora, e da lungi ha un’aspetto imponente e grandioso. A darle n tale aspetto concorre benanco la lunga, dritta, ed ampia via, frammentato di quella che dovea menare a Catanzaro. Chi viene da Cariati sboccando su questa via vede in fondo la porta della Città, e l sue mura, i suoi palazzi, e i bastioni del forte e munito castello, con nel centro la conica, e antichissima torre feudale di Corella Ruffo, detto per questa la Castellana. Questo pane di zucchero troncato, che con lodevole proponimento rispettarono, domina tutti gli edifizi, e imprime al panorama locale una certa area poetica, che piace, specialmente a chi lo vede per la prima volta. –È bella la piazza, pittoresco il giro de’ baluardi, bella la parte superiore ove s’alza il castello, che a poca distanza ha il vasto palazzo del Barone Barracco. Di lato alla piazza, che ha in fondo il Duomo, presso all’episcopio e al Seminario, v’ha una vasta spianata adorna di vaghi edifizi. Infine si scerne che Cotrone, comecchè impicciolita, ha sdegnato di assumere l’aria de’ piccioli paesi, e ha serbato qualche cosa della sua sembianza d’un tempo.
È la matrona in picciol treno. Mirandola ti accorgi che la nacque per solenni pompe.(…) Ho visitato il castello, non perché io m’intenda di fortificazioni, ma per mirare dall’alto de’ suoi bastioni il mare, il porto, e la marina. Ho scorto finalmente una vela biancheggiare all’orizzonte! Fo questa esclamazione perché dal dì che percorro questa parte di Calabria, è la prima nave che io abbia veduta; e m’è sembrata un viatore che solo percorra la silente vastità del deserto – Il porto! È interrato. Può camminarvi per entro a piedi asciutti. – La marina! Oh! trovami una marina pari a questa di Cotrone, che è la prima del mondo! –Perché?- Vedi quel Capo fino a cui si stende per sei miglia? Quello è il Capo Colonna. E – su quel capo vedi tu elevarsi quel cilindro allungato, ritto, isolato a modo di faro? Quel cilindro è una Colonna. – E bene? – Ah! tu non sai che cosa dicano al cuore e al pensiero quel Capo e quella Colonna. Ascolta adunque; e arrossisci perché sei più barbaro d’uno scita: Quel capo è il Lacinio degli antichi.”
Che dire? Forse il nostro viaggiatore stava davvero vaneggiando, considerando che le più numerose testimonianze fin qui esaminate affermano il contrario di quanto afferma in modo estasiato Malpica. Tuttavia, per dovere di cronaca, noi ci impegniamo a riportare anche questo punto di vista, anche se, maliziosamente, ci domandiamo se l’ospitalità goduta presso il barone Barracco abbia avuto una seppur minima (!) influenza su tali generose parole spese per la nostra, comunque, amena città.
“Lasciati gli abiti da viaggio, coll’opite mio dolcissimo vado al solito a inchinare la Baronessa, e la Baronessina Barracco.
È grandissima la ricchezza di questa famiglia, ma è pur grandissima la sua affabilità. La è una di quelle poche famiglie a cui volentieri perdoni l’esser ricche. L’ospite è sempre il ben venuto nel magnifico palazzo.(…) Vuole giustizia che io paghi un tributo di riconoscenza all’egregio Cavalier Buonafede, Sottintendente del Distretto: Egli fu per me affabilissimo, e generoso. Gratissimo a’ suoi modi gentili, dirò con piacere aver egli con forti premure ottenuto che si difenda la famosa Colonna dalla rovina di cui è minacciata. Lode a si bella cura. E – al pari degli altri siti ho qui trovato uomini di cuore, e di sapere; giovani cortesi, e sveltissimi. I Signori Costantino Lopez, precettore in casa Barracco; D. Pasquale Viola, precettore in casa Lucifero; Antonio Lucifero; Giovanni Morghen; Carlo Calmieri; Raffaele Sansone; ed altri giovani e uomini di pregio, m’han fatto lietissimo, il mio soggiorno.-"
Senza dubbio sulla bellezza dei luoghi e sulla gloria del passato non abbiamo nulla da eccepire; è quella esaltazione dell’urbanizzazione crotonese a lasciarci un po’ perplessi, dal momento che, allo stato attuale, Crotone non gode di infrastrutture e vie di comunicazioni accettabili. In verità, nel passo che segue, ritorniamo anche se in modo “soft” alla domanda di sempre: Or che resta? “Intanto pochi lumi scintillanti qua e là i indicavan Cotrone. Quale grandezza non rammenta questa or si picciola città. Divisa in due dall’Esaro avea dodici miglia di circuito; ponea 100.000 uomini in campo; avea un senato di 1000 senatori; un foro capace di 3.000 persone; l’adornavano i templi di Cerere, di Apollo, di Marte, di Ercole, della Vittoria, delle Muse,e di Giove fulmineo; fu detta chiarissima, ricca, beata, salubre, fortissima, sapiente; eran famose per la bellezza le sue donne, per la forza i suoi atleti; debellò i Siriti, i Locresi, i Sibariti, i Siracusani, i Brezi,; soccorse Grecia assalita da’Persiani; una sua nave era tra quelle che vinsero a Salamina; alla sua fiera concorreano l’Italia, la Sicilia, Grecia e Cartagine; fu la cuna della Scuola Italica - Ma! Venne Pirro e abbattè le sue mura; giunse Dionigi e vinse la sua rocca; sorse Aristomaco è la vende a’Brezi e a’ Cartaginesi; s’alzò Meneremo, e si fece despota; sorse Agatocle, e ribadì le sue catene; vennero i Campani, e la posero a sacco; tornarono i Brezi e i Cataginesi, e la domarono affatto. Era il 539. Pochi cittadini aborrendo lo straniero esularono, lacrimando la perduta patria… e Cotrone fu! – Or che resta? La gloria del nome, e quella delle rimembranze.-


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 38 del 29/09/2006

Nessun commento:

Posta un commento