mercoledì 1 aprile 2009

I viaggiatori a Crotone 5

Abate Saint Non: purtroppo nulla è cambiato dai tempi del suo soggiorno a Crotone



di Romano Pesavento

Giunti, ormai, quasi alla fine di questo nostro piccolo “excursus” inerente ai viaggiatori europei approdati a Crotone, possiamo trarre una sorta di bilancio e affermare, senza tema di smentita e non con particolare entusiasmo, che, chiunque, con un trascorso di studi o più semplicemente di consuetudine alla “socialità civilizzata”, sia giunto nei nostri luoghi, ha vissuto tale esperienza in modo profondamente negativo. Attenzione, lungi da noi il sospetto del compiacimento sadico nell’affermare questa sgradevole ma inconfutabile verità: anzi, la pena, il dispiacere, la frustrazione accompagnano puntualmente la rilettura delle pagine “crudeli” su Crotone. Indubbiamente, c’è da rilevare in alcuni crotonesi, per fortuna pochi, un inspiegabile comportamento, roba da interpellare Piero Angela per ottenerne, se possibile, lumi in merito: la tendenza a denigrare, per il semplice gusto di farlo con enorme soddisfazione e appagamento, tutto ciò che riguarda la propria città, come se non ne facessero parte o fossero estranei ad una realtà, che, nolenti o volenti, invece ci appartiene e ci segna. Ovviamente, non rientriamo in tale categoria semplicemente perchè chi rinnega il proprio paese d’origine, in parte rifiuta se stesso. Il senso di attaccamento alle proprie origini, però, non deve rendere ciechi e ridicoli, spingendo ad “espungere” ed a rimuovere quanto di triste, squallido e sbagliato sussiste in città e a ripetere in modo tanto meccanico quanto infondato che Crotone “è una città europea” o altre simili, amabili, dabbenaggini in stile “delirium tremens”, perchè anche in questo caso non si rende un gran servizio alla propria “patria”. Dopo queste “pillole” di psicologia di cui, probabilmente, i lettori potevano fare a meno, ma che ci sembravano necessarie al fine di stornare da noi l’eventuale, immeritata, accusa di “fetenteria anticrotonese”, torniamo alla nostra breve indagine senza pretese.
Questa volta proponiamo due studiosi grosso modo contemporanei, il cui punto di vista combacia perfettamente: Johann Hermann von Riedesel (Brandeburgo 1746-1809) e Jean Claude Richard abate di Saint Non (Parigi 1727 – 1791).
Il primo, diplomatico e ambasciatore, nonché molto amico del celeberrimo Winckellmann, si era recato in Calabria, spinto dai propri interessi di archeologia, pur consapevole del fatto che, come già testimoniava Cicerone: Magna Graecia nunc non est . Tuttavia, la delusione dello studioso, fu, anche in questo caso superiore ad ogni fosca previsione, al punto da indurlo a non trattenersi oltre in Calabria e a non dedicare troppo spazio alla regione nella sua relazione di viaggio. Ad ogni modo, nonostante la velocità del proprio ritorno in patria Riedesel ebbe modo di visitare anche Crotone e di stendere qualche osservazione: “E’verosimile che la città di Crotone fosse sita in questo stesso luogo, a giudicare solo dalla congerie di reliquie di sepolcreti e di case che vi si trovano, ma tutto è in uno stato di deperimento così grave da non poter riconoscere alcunché (…) L’attuale Cotrone, sita sul seno, sei miglia distante da questo capo (Colonna,ndr) è la città più infelice dell’Italia e forse del mondo intero. La malaria che vi regna, decima la popolazione di modo che essa non conta più che cinquemila anime, il suo promontorio è appena conosciuto e rassomiglia all’agro romano. Il re vi fa costruire un porto e sono ormai parecchi anni che si lavora, la spesa ascende circa a centottantamila ducati napoletani, e intanto le navi non trovano sicurezza per gettare l’ancora né per difendersi dai venti, sicché è evidente che il re è stato tratto in inganno”.
Come commentare? Ancora una volta si conferma l’atavico, quasi genetico e apocalittico primato di Crotone nella graduatoria delle città più disgraziate del pianeta: anche oggi si parla di classifiche annuali circa il reddito delle province e noi rappresentiamo, puntualmente, immancabilmente, inesorabilmente il fanalino di coda. Verrebbe proprio da dire “ Da qui all’eternità”o “Fedeli nei secoli”, altro che l’Arma!!! Per non parlare poi del solito governatore/amministratore/sovrano gonzo o in malafede -è difficile capire quale delle due possibilità sia peggio- di turno: non capisce o conosce mai nulla delle terre che ha in consegna e mentre il denaro destinato alle “Opere pubbliche” viene dilapidato in modo inspiegabile, ma ipotizzabile, mentre la popolazione continua a patire i disagi di sempre, rimane impassibilmente inerte. Come scriverebbero sulla “Settimana Enigmistica”: “Cosa ci ricorda”? Ad ognuno, le proprie, personali, analogie: tanto abbiamo, purtroppo, un ampio e ben rappresentato repertorio di strade, edifici, ammodernamenti e interventi infrastrutturali vari, mai conclusi o mai iniziati, o, peggio ancora, mal condotti.
Quanto al secondo personaggio, Jean Claude Richard abate di Saint Non , invece, sappiamo che, francese di nascita, fu un archeologo, disegnatore ed incisore; abate fu esiliato a Poitiers per la sua opposizione alla bolla Unigenitus. Viaggiò poi in Inghilterra e in Italia ed eseguì numerose incisioni da H. Robert, Fragonard, ecc. e da molti artisti Italiani. Egli giunse in Calabria nel 1778 e visitò Crotone in poco più di una giornata. A tal proposito scrive: “Ci riposammo un giorno a Crotone; quantunque muniti di molte lettere di raccomandazione, non avremmo saputo ove passare la notte,se un onesto negoziante che non conoscevamo, e che non potemmo vedere che un momento,non ci avesse fatto condurre ad una casa che non era occupata, ebbe anche la garbatezza di farci portare tutto ciò che poteva esserci necessario”.
In questo passo, vediamo, viene riconosciuta,come anche in altri casi, una buona disposizione d’animo nei crotonesi, che, in qualche modo, proietta una luce positiva sulla città; purtroppo, però, la natura delle considerazioni sugli altri aspetti cittadini è ben diversa: “Prima di arrivare alla Cotrone moderna, si passa sulle rovine dell’antica, che era edificata in semicerchio al fondo del golfo e sul fiume Escarus o Esaro che la traversava. Questo non è più che un miserabile ruscello melmoso, fuori del tempo d’ inondazioni, questo debole ruscello si perde nella sabbia e non arriva al mare che per filtrazione. La natura delle montagne tra le quali affonda essendo di u un’arenaria fine e mobile,può assorbire una parte delle sue acque. Questa famosa città, di cui le muraglia avevano dodici miglia di circuito, è ristretta, oggi e racchiusa in una piccola punta di terra, ove era senza dubbio altra volta una fortezza, e questa stessa città, che aveva potuto mettere cento mila uomini sul piede nella guerra dei Sibariti, non ha ora più che centomila abitanti. Ed è anche assai verosimile ch’essi non tengono nulla di quella virtù atletica che rese Crotone sì famosa nell’antichità. I Romani s’impossessarono di Crotone per sorpresa l’anno di Roma 475. Essa fu distrutta in seguito dai rivoltosi di Reggio, che sgozzarono la guarnigione romana. Le rovine dell’antica città si erano conservate fino al tempo di Carlo V. Questo Principe pensò di edificare un castello, e di elevarvi mura d’una altezza altrettanto più inutile per essere costruite dopo l’uso dell’artiglieria, e in nessun modo appropriate a resisterle, demolì tutto ciò che restava di preziose vestigia del suo antico splendore: perciò non si ritrova assolutamente nulla dell’antica Crotone, ed il suo suolo non è ora coperto che di magazzini di grani e di formaggi, di cui si fa gran caricamento e che formano tutto il commercio del paese. (…) L’indomani, andammo a vedere il porto, cominciato con grande spesa dal re di Spagna, porto che non sarà tuttavia praticabile che quando si sarà trovato il modo d’impedire che le sabbie mobili di questi paraggi non lo riempiano a misura che si scava. Non si può ancora farvi abbordare che, feluche, quantunque duecento uomini vi lavorino senza allentare, e tuttavia, se mai si lascia di continuare questo lavoro, il porto sì vantaggiosamente situato, d’una perfetta sicurezza diventerà una palude pestifera e produrrà cattiva aria nella città, altra volta conosciuta per la sua salubrità. Nil Crotone salubrius dice stradone; Plinio ne parla anche con grandi elogi…”
Oddio, siamo alle solite: anche in questo caso, dopo l’ennesima descrizione geo-sociale delle brutture di Crotone, con generoso indugiare sulla tristezza del fiumiciattolo “tisico” e malaticcio Esaro, una volta imponente e superbo, degna metafora di una città agonizzante, si passa alla ricapitolazione degli episodi storici più significativi e deprimenti, come quello relativo alla storia del castello di Carlo V. Già, “lo storico” monumento di Crotone, uno dei simboli per eccellenza della città, ultimamente rilanciato dal programma Pic Urban 2, ma negli effetti oggetto del nostro reportage proprio dalle colonne di questo giornale sul recente stato di abbandono, non rappresenta altro che l’ennesimo “parassita” saprofita, creato sfruttando quanto di grande e bello in termini di materiali edilizi si era conservato nel tempo. Chissà quanti Crotonesi ne sono al corrente e cosa direbbero tutti quei bimbi delle scuole elementari ai quali viene “inflitta” o prima o poi la visita al castello, sapendo che tale opera, in genere citata con un certo orgoglio almeno per l’imponenza, non solo è il frutto di furti e rapine ai danni del passato più glorioso di Crotone, ma che era, anche ai tempi, una struttura completamente inutile, in considerazione di una ampiezza e solidità delle mura, in epoca post polvere da sparo, del tutto superflue. Perfino un personaggio come Carlo V, definito più o meno nei libri di storia come un uomo avveduto, a Crotone subisce una sorta di metamorfosi e si trasforma in un uno scriteriato.
Dunque ricapitoliamo: a Crotone non si è mai realizzato nulla di utile, dai tempi di Pitagora o giù di lì, e se mai un simile portentoso e inatteso evento si è verificato, è avvenuto solo mediante il feroce e impietoso sfruttamento delle estreme risorse territoriali della zona. Certo, non si deve essere pessimisti, qualche volta è anche capitato che si stanziassero enormi cifre per approntare migliorie nella provincia; tuttavia, in quel caso lì, non si sa bene che tipo di sorte fosse toccata al denaro in questione o, più schiettamente, in quali tasche fosse finito.
Sia come sia, in questo caldo di fine estate, si comincia, forse, a sragionare e un dubbio attraversa la testa come un lampo violetto: non è che per costruire la SS 106, si sta aspettando che qualche lastrone di pietra o altro “residuato bellico” venga fuori dagli scavi archeologici per contenere i costi di un’opera, diversamente, rinviata a data da destinarsi? Chissà, forse, può esser ancora utilizzabile, in qualche forma, la superstite colonna!?! …
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 33 del 25/08/2006

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