giovedì 16 aprile 2009

Crotone&Immigrazione 3

Una passione che inizia da bambini: la musica e la danza dei rom


di Romano Pesavento ed Eliseo Pantisano

Uno dei nodi più problematici, soprattutto riguardo ai rom slavi, è rappresentato dai bambini, poiché molti di essi non amano andare a scuola, e spesso sono gli stessi genitori a non occuparsi dell’istruzione dei loro figli. Sono gli stessi operatori sociali, che si occupano del campo nomadi, ad ammettere la difficoltà nel far sì che i ragazzi frequentino con assiduità le scuole dell’obbligo. I bambini rom sono collocati nella scuola elementare “ISES” di Crotone, e anche al plesso “Fondo Gesù”, che dipende dall’“ISES”. Questo attualmente avviene a causa della vicinanza delle scuole al campo, facilmente raggiungibili tramite i pullman forniti dal comune. Uno dei primi problemi che il personale educativo e i rom hanno dovuto affrontare a scuola è stata la comunicazione, poiché i bambini non parlavano e non comprendevano l’italiano e neppure le maestre erano capaci di esprimersi nelle lingue slave parlate nei territori d’origine dei bambini. Dai dati emersi, su un totale di 497 alunni, ci sarebbero trentadue rom slavi iscritti all’“ISES” e ventitre al plesso “Fondo Gesù”.
Sui trentadue bambini iscritti all’“ISES”, due non frequentano. Per quanto riguarda le scuole medie, i ragazzi rom sono iscritti all’Istituto comprensivo “Vittorio Alfieri”, dove, su un totale di 532 alunni, ci sono ventisette rom, di cui sette alloggiati al campo nomadi di località Cipolla. Questi sono concentrati fra la prima e la seconda classe: nella prima media ce ne sono diciotto; nella seconda nove. Sui diciotto della prima media, dieci non frequentano con assiduità le lezioni; nella seconda classe, i non frequentanti sono due. Si può facilmente notare come, passando dalla scuola elementare alla scuola media, il numero dei ragazzi che non va a scuola tende ad aumentare. Parlando con gli insegnanti della scuola media “V. Alfieri”, si scopre che i rom slavi denotano una forte inclinazione verso la musica.

Graf. 1 – Rom slavi nella scuola elementare “ISES”

Fonte: nostra elaborazione su dati ufficio amministrativo della scuola elementare “ISES” di Crotone, 2004


Graf. 2 – Rom slavi nel plesso “Fondo Gesù”


Fonte: nostra elaborazione su dati ufficio amministrativo della scuola elementare “ISES” di Crotone, 2004.

Gli Zingari utilizzano con grande passione e capacità il linguaggio musicale, basando la costruzione dei brani musicali su due elementi di fondo: l’apprendimento, come per la lingua parlata, di arie e melodie popolari unito all’estro individuale particolarmente esaltato dalla pratica molto frequente dell’improvvisazione. La musica dei rom ha la sua origine nella musica indiana. La musica serve spesso per celebrare rituali o particolari festività, come la festa di San Giorgio del sei maggio per i rom slavi. Questi popoli trovano nella musica un significato particolare, poiché essa non è solo un elemento imprescindibile della loro tradizione, ma anche della loro vita quotidiana. Per rendere l’importanza che la musica riveste nella vita dei popoli rom, si può citare una frase dello studioso Rajko Djuriè, secondo la quale musica e danza accompagnano il singolo individuo rom «dalla culla alla bara», segnando dunque ogni momento fondamentale nella vita di un uomo. La musica è anche un mezzo di “liberazione” dalle oppressioni psicologiche che la società ospitante, e spesso inospitale, esercita su questi uomini. La danza maggiormente praticata dagli Zingari è la tarantella, con una versione del tutto particolare, chiamata “Scherma”, che mima un duello fra due o più contendenti. La danza Scherma, o danza delle spade, è un antico rito che ancora oggi conserva tutto il suo misterioso fascino. Infatti, ancora oggi nessuno sa dire come e quando questa danza sia nata; tutto quello che si sa, è frutto di ipotesi elaborate da diversi studiosi che hanno dato via via diverse versioni. Sicuramente questa danza aveva una sua antenata già in epoca medievale. Importante risulta l’edificazione del santuario di San Rocco a Torrepaduli, in provincia di Lecce, nell’anno 1531, luogo in cui la notte tra il quindici e il sedici agosto vedeva riunirsi tutti i ballerini e i suonatori di tamburello del Salento. Qui si eseguiva dunque la Danza della Scherma. Questo ballo oggi si esegue con l’indice e il medio delle mani protese, che mimano il duello, duello che una volta avveniva veramente tramite le spade o i coltelli. Ci troviamo sicuramente di fronte ad uno dei pochissimi e rari casi di questo tipo di danza in tutta Europa: intorno ai due ballerini si forma un grande cerchio chiamato “Rota” o “Ronda”; il perimetro interno di questo cerchio è costituito dai suonatori di tamburello e di altri strumenti (per lo più armonica a bocca), che ritmano il tempo e che fanno scoccare la scintilla. Durante questa danza, ai margini del cerchio si collocano i ballerini, che aspettano di entrare nel cerchio: questi erano costituiti un tempo per la maggioranza da Zingari. Durante la danza, i due ballerini iniziano la scherma preceduta da veri e propri inviti e, attraverso un movimento rotatorio da parte dei due, s’instaura da subito un vero e proprio duello con dei passi e delle sequenze ben precise, senza peraltro mai farsi male, dimostrando l’uno verso l’altro grande rispetto. Si giunge poi al momento del contatto vero e proprio, che mima l’accoltellamento; si continua finché non si fa avanti un altro spadaccino che, entrando nel cerchio, capitalizza subito l’attenzione delle persone che vogliono ammirare la sua tecnica i suoi passi, e via così fino alle prime luci dell’alba ed anche o volte crudele, ma straordinariamente elegante. La danza delle spade è stata ed è un punto d’incontro tra l’etnia zingara, presente da centinaia di anni sul territorio Salentino, e quella Salentina. Le due etnie riescono ad incontrarsi e a fondersi al ritmo del tamburello, proprio in un momento di sfida dove ognuno mette in mostra la sua abilità. La danza e la musica rappresentano quindi una forma di aggregazione e di unità tra i popoli e forse anche un modo per gli Zingari di riaffermare la propria appartenenza e le proprie radici. Il mistero di questo ballo non è stato esente da varie citazioni, tra cui quella di Gramsci nel libro Lettere dal carcere, dove appunto l’autore descrive “un’accademia di scherma col coltello” alla quale partecipavano calabresi, napoletani, pugliesi e siciliani. I pugliesi erano giudicati accoltellatori insuperabili per la tecnica micidiale piena di segreti, capace di superare tutte le altre. Questa “versione Scherma” della tarantella viene praticata dagli Zingari di Crotone, ma anche da quelli di Reggio Calabria e Catanzaro; accanto ad essa, esiste la tarantella silana, che è una simulazione di corteggiamento fra l’uomo e la donna.
Fra i rom slavi, sono soprattutto i bambini che parlano delle loro canzoni preferite, fra le quali una particolarmente amata, di cui riportiamo il testo tradotto:

Ke le la mi šuzibori (Balla la donna di mio figlio)
I famiglia zevco (La famiglia che è calda)
Ma šalasarine melena (Mamma mia come ballano bene)
Me borìà sona roviceva (La donna di mio figlio l’hanno fatta piangere)
Sčunee ma sa (Ascoltatemi tutti)
Lelle sona rovigema (Mio figlio mi ha fatto piangere)
Acche o gemeìli (Adesso Gemail)
Gilapol e romennge (Canta per gli uomini)
Heme e romnnge (Adesso anche per le donne)
Acche o Gemail (Adesso Gemail)
Cagidapol cretenege (Canta per tutti)
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 31 del 06/08/05

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