giovedì 26 febbraio 2009

Memorie dal confine 8


Crotone: realtà “selvaggia”, abbandonata, piena di contraddizioni sociali

Inno alla legalità svenduta


“Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana”


di Romano Pesavento

“Quando un popolo divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, son dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo, che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi e questi, per non parere troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo, né rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.” (Platone, La Repubblica, IV sec. A.C.)
Questa settimana iniziamo il nostro articolo riportando il pensiero di un illustre filosofo greco: Platone. Certamente, le parole usate in questo brano descrivono un modo di concepire i rapporti sociali molto diffuso e condiviso nella società meridionale, ed ancor più in quella crotonese, in cui l’onestà intellettuale ed il rispetto per le istituzioni e la legalità vengono, spesso, confusi con la debolezza o, peggio, con la dabbenaggine. L’arbitrio non deve essere eletto a “norma comune” o ad inevitabile, comodo e sistematico modus operandi sia da parte dei cittadini privati che degli uomini di potere. Il rischio è l’imbarbarimento della civiltà, con lo smantellamento dell’intero apparato statale, che, per quanto troppo spesso esecrabile e costantemente vituperato, rappresenta, comunque, l’unico baluardo contro il ritorno alla “ brutalità” primitiva, al disordine, alla soprafazione reciproca, insomma al “Kaos”.
In molti vorrebbero svilire e privare di dignità il concetto di Stato, che, nel suo significato e ruolo istituzionale più alti, dovrebbe, invece, essere tutelato, difeso e rispettato con scrupolo, quasi religioso, da ciascuno di noi. Per quanto la disaffezione e la sfiducia siano -a causa del cattivo operato di tanti- largamente manifesti nei confronti degli ordinamenti pubblici, bisogna, invece, compattamente, organicamente e con tensione morale adoperarsi per consolidarne le fondamenta.
Come? Pagando le tasse, evitando di frodare gli enti presso i quali si lavora, o di truccare i concorsi pubblici; ancora, rinunciando ai favoritismi, ai personalismi; condannando fieramente l’italica e -meridionale- prassi consolidata del nepotismo.
In definitiva, è prioritario recuperare realmente tutti quei valori, che, quotidianamente, vengono esautorati.
Invece, oggi Crotone è una realtà “selvaggia”, abbandonata, piena di contraddizioni sociali. Una città, purtroppo, in cui si respira troppo spesso un’aria molto pesante: un luogo quindi dove la criminalità ha terreno molto fertile. Dentro questo quadro a tinte fosche trovano, inoltre, posto i numerosi paladini della legalità e della trasparenza amministrativa che in questi anni si sono susseguiti, la cui integrità è stata certificata, a quanto pare, in diverse circostanze: proiettili in buste da lettera, auto bruciate, porte bruciate….. Naturalmente, a tutto questo, i politici di turno hanno risposto il più delle volte con ricchi, noiosi e sontuosi convegni. Che tristezza! L’insieme acquista una dimensione ancor più malinconica se, per un attimo, volgiamo il pensiero alle morti silenziose (oggi ormai dimenticate) per mafia (Placido Rizzotto, Pio La Torre, Peppino Impastato, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino etc.). Una citazione di J. F. Kennedy, amata da Giovanni Falcone, attira la mia attenzione, dice: "Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana."
Bisogna avere il coraggio di essere se stessi. Non occorre, quindi, solo apparire ma agire, cioè, essere autenticamente onesti. “Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno…La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni” amava ripetere Falcone.
Per tal motivo, mi domando quanti politici nostrani, possano vantarsi in tutta coscienza d’aver perseguito simili ideali di giustizia e rispetto dei ruoli istituzionali ricoperti?
Forse la risposta implicita, ma ben chiara nel pensiero di ciascuno di noi, ad un simile interrogativo, per analogia, potrebbe far richiamare alla memoria una frase contenuta in una canzone dei Nomadi, anch’essa piuttosto emblematica: “La politica che solo fa carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione mai con il torto..”
Dunque, guardandoci intorno, “respiriamo” sempre più la “mefitica” presenza di buffoni di corte, giullari e menestrelli. Quindi pochissimi uomini di cultura, ma tante, tantissime, “primedonne” in cerca di primi…?
Dove è finito l’entusiasmo propositivo che ha animato il ’68? la gente d’allora è, per lo più, la stessa che oggi dirige l’orchestra del potere. E allora, ancora, rispolveriamo vecchi ricordi, perché siamo forse inguaribilmente nostalgici o perché quando il futuro si profila incerto e di basso profilo è bene confortarsi con il ricordo di un passato terribile, ma di certo più “coraggioso”dell’attuale presente. Da qui, le parole di un altro “martire”: Peppino Impastato.
“È stato forse quello il periodo più straziante e al tempo stesso più esaltante della mia esistenza e della mia storia politica. Passavo con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano li a dimostrarlo. Ma io mi allontanavo sempre più dalla realtà, diventava sempre più difficile stabilire un rapporto lineare col mondo esterno, mi racchiudevo sempre più in me stesso. Mi caratterizzava una grande paura di tutto e di tutti e al tempo stesso una voglia quasi incontrollabile di aprirmi e costruire. Da un mese all’altro, da una settimana all’altra, diventava sempre più difficile riconoscermi. Per giorni e giorni non parlavo con nessuno, poi ritornavo a gioire, a proporre, a riproporre: vivevo in uno stato di incontrollabile schizofrenia.” (Peppino Impastato, Appunti)
Eppure, se fossimo in un mondo giusto e pienamente legale, non si dovrebbe guardare a personaggi come Borsellino, Impastato o Falcone come ad eroi o a poveri folli….adempiere al proprio dovere e maturare una solida coscienza civica dovrebbe costituire l’unica forma comportamentale ammessa e riconosciuta.
Peccato che nel DNA dei nobili crotoniati sia endemicamente e geneticamente iscritto ben altro !!!
Al di là, di ogni amara considerazione, anche oggi siamo giunti al termine della nostra storia. E così, mentre il tramonto consegna alla notte l’inizio di un nuovo giorno, i sogni bianchi dei bambini avvolgono in una dolce melodia il pianto triste del cuculo e qualche nostro politico festeggia patriotticamente con tarallucci e vino, noi ci consegniamo alle energiche parole del generale Dalla Chiesa.
“Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato” (Carlo Alberto Dalla Chiesa, Intervista del 10/08/1982)
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Foto: 1) Falcone e Borsellino; 2) Platone; 3) Placido Rizzotto; Peppino Impastato
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 04 del 26/01/2007

Memorie dal confine 7

A Crotone, si è in attesa di un Cristoforo Colombo che scoprirà una nuova America dell’arte, della civiltà, del costume

Uomini “buoni” e no!

Intanto, con assoluta nonchalance, le stesse persone ricoprono più spazi dirigenziali/occupazionali, incassando ricchi stipendi, diventando “uni e trini” per gestire più mansioni contemporaneamente, alla faccia dei caritatevoli pistolotti sui mali della disoccupazione


di Romano Pesavento

“Avanza: sentiamo dire/che sei un uomo buono./ Non sei venale, ma il fulmine/ che si abbatte sulla casa non è neanch’esso venale./ Quel che hai detto una volta, lo mantieni./ Che cosa hai detto?/ Sei sincero, dici la tua opinione? Quale opinione?/ Sei coraggioso./ Contro chi?/ Sei saggio./ A favore di chi?/ Non badi al tuo vantaggio./ Al vantaggio di chi, allora?/ Sei un buon amico./ Amico di gente buona?/ Ascolta: Sappiamo che sei nostro nemico. Perciò ora ti vogliamo/ mettere al muro. Ma in considerazione dei tuoi meriti e buone qualità/ il muro sarà buono, e ti fucileremo con/ buone pallottole di buoni fucili e ti seppelliremo con/ una pala in terra buona.” (Bertolt Brecht, l’uomo buono).
Mafiosi, banditi, ladri, briganti, sfruttatori…. Chi più ne ha, più ne metta. Questa è la realtà, l’immagine che giorno dopo giorno trasmettiamo da Tele-Crotone all’Italia, cioè, all’Estero. Abbiamo voluto iniziare il nostro articolo con la poesia di Bertolt Brecht, non a caso, perché essa può benissimo adattarsi ad un immaginario, ipotetico, dialogo tra due distinte persone: il potente di turno ed uno dei pochi personaggi di felliniana memoria, in quanto endemicamente sognatore, residente in città. Vogliamo sottolineare quanto le ipocrite celebrazioni dei cosiddetti “buoni costumi” siano esecrabili: nella realtà, quella crotonese in particolare, difficilmente una condotta morale, onesta, seria e ligia premia. A parole, pare che la città sia popolata da autentici filantropi: illuminati, disinteressati, incorruttibili notabili. Quale immensa fortuna, per una provincia così strapazzata e in affanno, essere sorretta e guidata da simili menti. Eppure, nonostante gli incommensurabili sforzi di chi regge le sorti dei cittadini, si verificano continuamente episodi, a dir poco, disgustosi per chi ha sempre creduto con slancio in certi valori morali e politici: concorsi poco pubblici e molto privati, ammanchi inspiegabili per svariati zeri nei vari settori della vita cittadina, posti di lavoro elargiti in modo poco chiaro e via discorrendo. Intanto, dai più disparati poli si chiedono, sempre con maggiore insistenza, al Governo e a Bruxelles, cospicue risorse comunitarie per mega-progetti Walt Disney, il cui esito sarà quello di provvedere, il più delle volte, ad una più comoda sistemazione per i congiunti in perfetto stile “Parentopoli del Sud”. Si sa che il ben noto principio: “Tengo famiglia” diventa il pretesto per favorire tutti i propri “cari”, in ogni senso, fino alla settima generazione; tuttavia, un minimo di decenza, decoro, di, paradossalmente, savoire faire dovrebbero essere osservati. Con questa ironica affermazione, non si vuole assolutamente invitare a comportamenti pur sempre illegali, ma sapientemente occultati, ma solo richiamare l’attenzione sul fatto che, per il punto tragico in cui siamo arrivati, non si sente neanche il bisogno di celare, in qualche modo, i propri loschi maneggi, perchè tanto la rassegnazione e la depressione dei cittadini sono talmente radicate e forti, da non far sospettare mai alcuna reazione di sdegno o ribellione. Tanto mai nulla cambia e “farsi il sangue amaro” non produce alcun effetto positivo.
Intanto, con assolta nonchalance, le stesse persone ricoprono più spazi dirigenziali/occupazionali, incassando ricchi stipendi, diventando “uni e trini” per gestire più mansioni contemporaneamente, alla faccia dei caritatevoli pistolotti sui mali della disoccupazione. Eppure, la cronaca, spesso, riporta di figure professionali super pagate, nella concretezza dei fatti, non solo non all’altezza del proprio ruolo, ma anzi dolosamente perniciosa per la comunità.
Al di là, di ogni amara considerazione, per spiegare uno stato d’animo condiviso da più persone a Crotone, intendiamo proporre un estratto di Gramsci contenuto nell’opera Passato e presente: “L’attuale generazione ha una strana forma di autocoscienza ed esercita su di sé una strana forma di autocritica.

Ha la coscienza di essere una generazione di transizione, o meglio ancora, crede di sé di essere qualcosa come una donna incinta: crede di stare per partorire e aspetta che nasca un grande figliuolo. Si legge spesso che “si è in attesa di un Cristoforo Colombo che scoprirà una nuova America dell’arte, della civiltà, del costume”. Si è detto che noi viviamo in un’epoca predantesca: si aspetta il Dante novello che sintetizzi potentemente il vecchio e dia al nuovo slancio vitale….” (Gramsci, Passato e presente).
Meditate gente, meditate.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 03 del 19/01/2007

Memorie dal confine 6

Nella nostra terra gli sconfitti sono sempre gli stessi: i deboli, i sognatori, chi non si adegua e, naturalmente, la Virtù, l’Onore, l’Onestà e l’Ideale


Un ritratto al vetriolo della nostra realtà firmato Trilussa




“Te ricordi de Checco er communista che voleva ammazzà de prepotenza tutta la borghesia capitalista? Invece mò, la pensa all’incontrario: e dopo qualche crisi di coscenza s’è comprato un villino a Monte Mario”


di Romano Pesavento

“Una bella matina er direttore/ d’un Giardino Zoologico vestì/ le scimmie, le scimmiette e gli scimmioni/ co’ li carzoni de tela cachi./ Una vecchietta disse: - Meno male!/ Che ar meno nun vedremo certe scene…/ Er direttore l’ha pensata bene: se vede che je preme la morale…./Una Scimmia che stava ne la gabbia/ tutta occupata a rosicà una mela,/ intese e disse: Ammenochè nun ciabbia un parente che fabbrica la tela….”
Attuali, anzi attualissimi, questi versi scritti dal poeta Trilussa. Molti di noi, chissà quante volte in questi giorni, avranno solo pensato, di fronte alle molteplici truffe pubbliche che si sono verificate nella nostra regione, a quanta poca moralità si annidi sotto i cappelli dei politici nostrani.
Pertanto, questa settimana vogliamo proporre alcune considerazioni sul nostro “contesto”, utilizzando come spunto di riflessione alcune poesie di Trilussa, autore, per il contenuto a tratti corrosivo dei suoi scritti, piuttosto “moderno”. Egli, di certo, non è mai stato considerato dalla critica, da annoverare tra i poeti sommi, probabilmente, perché non lo era: da qualcuno (Pier Paolo Pasolini) la sua ideologia è stata definita piccolo-borghese, non di ampio respiro. Eppure, rileggendolo, ci si accorge che la cronaca da cui sono nati i suoi sfoghi è un fatto permanente, contemporaneo, molto vicino al nostro agire sociale: la vita degli uomini, l’immutabilità delle leggi che segnano le vicende umane sono sempre le stesse. Si tratta di un mondo cupo, con, scarsa, fioca luce dove i bisogni primitivi sbeffeggiano e dileggiano ogni ideale, ogni principio, ogni slancio di generosa solidarietà.
A questa logica, terribile, “primordiale” non sfugge nessuno; anzi le categorie che, per ricchezza e prestigio conseguiti, potrebbero districarsi dai ferrei meccanismi della bestialità insita nell’uomo sono proprio le più disgustosamente schiave di impulsi, soprafazioni e meschinità completamente estranee a qualunque forma di nobiltà di pensiero o azione.
La legge della giungla, quella del più forte, retaggio del nostro passato, opera segretamente nell’istinto di ogni uomo e si unisce ai trabocchetti, alle ipocrisie, alle astuzie meschine, sviluppati in secoli di presunta civiltà.
Gli sconfitti sono sempre quelli: i deboli, i sognatori, chi non si adegua e, naturalmente, la Virtù, l’Onore, l’Onestà e l’Ideale.
“Raji e grugniti: Quanno er somaro canta arza l’orecchio,/ slarga le froce ride e guarda er sole./ Tutti sanno la musica, che è vecchia/ ma nessuno conosce le parole./ Che ce sarà anniscosto in quer motivo?/ Un ritornello de rassegnazione/ o un inno sovversivo? Ringrazia forse Iddio che l’ha creato/ per esser bastonato/ o se la pija co’ la Providenza/ perché nun glje fa perde la pazzienza?/ certo, che quando rajia/ se vede che se stacca e s’allontana/ da le miserie de la vita umana: e nun guarda nemmeno ne la paja ne er fieno.
Ner porco, invece, quando fa il grugnito/ ce e se sente lo sfogo materiale:/ perché rifà quel verso sempre eguale/ come un’affermazione de partito./ Ma non pensa e non crede/ che a la roba che vede aricca pezza/ fra mezzo a la monnezza./ Quando ha ficcato er muso/ drento lo scudellone della bobba/ lo scopo della vita è bell’è chiuso./ Chi sarà più felice e più contento? Quello che vive a stento,/ ma c’ha in core una fede e una speranza,/ o quello che ragiona co’ la panza e se ne frega d’ogni sentimento.”
Ebbene, questa breve poesia andrebbe letta ogni mattina a tutti coloro, che, senza nessun titolo o esperienza, si affollano dietro porte, finestre e portoni in cerca di raccomandazioni, favoritismi e via discorrendo.
Lo sferzante sarcasmo di Trilussa colpisce con virulenza comportamenti e fisionomie nauseanti: il porco, privo d’ideali e di sogni, che vive chiuso in un’ottica angusta e materiale, di certo è l’emblema di grettezza mentale e pochezza di spirito: anche il grugnito che, sonoramente, per potenza e “autorevolezza”, ricorda certe affermazioni di partito, testimonia, ulteriormente, la limitatezza di tale, misera, visuale.
L’asino, dolente ma libero, rappresenta una scelta di vita solitaria, ma fiera. In questo caso, si adombra il concetto positivo che sia migliore la vita di chi, affrancato da ogni compromesso, (“pur vivendo a stento, c’ha in core una fede e una speranza”).
La maggior parte delle volte, però, è proprio la coerenza ideologica a risultare sconfitta, perlomeno a giudicare dai risultati più appariscenti del “trasformismo” (in realtà dovremo dire “voltagabbanismo”) in politica e altrove. Infatti, lo stato delle cose nel nostro territorio, purtroppo, non può minimamente smentire questa sgradevole verità.
“La crisi de coscenza po’ succede/ da un dubbio che te rode internamente/ come rià la fede a un miscredente/ po’ rilevalla a quello che e crede./ In politica è uguale. Quanta gente,/ che ciaveva un principio in bona fede,/ s’accorge piano piano che je cede/ e je viè fora tutto diferente?/ Te ricordi de Checco er communista/ che voleva ammazzà de prepotenza/ tutta la borghesia capitalista?/ Invece mò, la pensa all’incontrario: e doppo qualche crisi di coscenza/ s’è comprato un villino a Monte Mario.”
Con ineguagliabile ironia, Trilussa dipinge il ritratto di un comunista implacabile e – a dir poco – incendiario, già pronto a stragi politiche e alla giustizia proletaria. Tanto “impeto” però, si spegne prudentemente di fronte agli agi di una comoda villetta a Monte Mario. Quanti demagoghi, danzando allegramente sulle note di qualche festoso motivetto, intrecciano quadriglie, saltellando freneticamente dagli opposti schieramenti politici?
Questo sonetto, scritto tra il 1921-27, stupisce forse per le doti da veggente del poeta? Assolutamente, no. Come, già detto, la qualità degli uomini è sempre la stessa nel bene e nel male. Soprattutto nel male.
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Foto: 1) Trilussa; 2) Guasta e Trilussa (dal 1927 al 1930 danno vita al teatrino di burattini "Baracca delle Favole"); 3) Trilussa.
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 02 del 12/01/2007

Memorie dal confine 5

I “ggiovani”, categoria amatissima e riveritissima soltanto in campagna elettorale, vengono spremuti come limoni e sfruttati con contrattini – capestro, che, spesso, non garantiscono o tutelano neanche i diritti più basilari del lavoratore.

Lo “spettro” di Karl Marx s’aggira tra le rovine della città di Crotone


“Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di pluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici.” (K. Marx, il capitale, libro I)

di Romano Pesavento

Crotone, come sanciscono ufficialmente, e per l’ennesima volta, le diverse classifiche d’inizio, fine o metà anno, risulta, tra le province italiane, all’ultimo posto per ricchezza individuale e possibilità occupazionale. A dire il vero, non è che non fosse evidente per tutti la miseria o lo stato di disfacimento generale in cui versa la città: in realtà, ogni anno, si ribadisce tale concetto con i vari dati e sondaggi – perennemente negativi – di rito; tuttavia, però, sono soprattutto la qualità della vita, le reazioni che si stabiliscono tra le persone, la fiducia, ormai, irrimediabilmente compromessa nelle istituzioni e nel futuro, a denunciare la lenta,ma inesorabile agonia della provincia.
Il lavoro manca; questo non è una novità e fior di storici, economisti e sociologi potrebbero versare fiumi d’inchiostro per spiegarne meticolosamente le cause, da quelle più remote, alle più elementari.
Ci limitiamo a registrare un fenomeno tristissimo, sotto gli occhi di tutti, ed aggiungiamo qualche altra postilla. Certo, l’occupazione, da noi, ha toccato i livelli minimi storici; ma ciò che, forse, dovrebbe indignare di più è la proliferazione del lavoro nero. I “ggiovani”, categoria amatissima e riveritissima soltanto in campagna elettorale, vengono spremuti come limoni e sfruttati con contrattini – capestro, che, spesso, non garantiscono o tutelano neanche i diritti più basilari del lavoratore.
Per tal motivo, vogliamo brevemente ricordare quanto già il buon, vecchio, Carletto Marx scriveva in merito al salario: “Alla superficie della società borghese il compenso dell’operaio appare quale prezzo del lavoro: una determinata quantità di denaro che viene pagata per una determinata quantità di lavoro. Qui si parla di valore del lavoro e si chiama l’espressione monetaria di quest’ultimo prezzo necessario o naturale del lavoro…. Ma che cos’è il valore di una merce? È la forma oggettiva del lavoro sociale speso per la sua produzione. E mediante che cosa misuriamo la grandezza del suo valore? Mediante la grandezza del lavoro in essa contenuto. Da che cosa sarebbe dunque determinato p. es. il valore di una giornata lavorativa di dodici ore? Dalle dodici ore lavorative contenute nella giornata lavorative di dodici ore; il che non è che un’insulsa tautologia.” (K. Marx, il capitale, libro I)
Molti lettori, per esperienza personale, si saranno imbattuti, a causa di un figlio o un nipote, in una esperienza – assai poco edificante - del genere: il neoassunto, in prova, deve sgobbare come un dannato, con stipendi da fame, per due o tre mesi, nella speranza di veder consolidate le proprie posizione e retribuzione. Di solito, alla fine dei tre mesi, il poveretto viene, invece, congedato in modo, a dir poco, sbrigativo: avanti un altro volenteroso e vantaggioso(!)“melone” (visto che si parla di “prove”) da affettare per qualche altra settimana,fin quando convenga.
Il mondo del lavoro appare, oggi, brutale, amorale e spietatissimo; in questo, come era prevedibile, la nostra città si segnala per i propri straordinariamente invidiabili primati.
Infatti, a Crotone, il lavoro non conta. Si pretende tanto e si dà molto poco: anzi, il giovane al quale viene, magnanimamente, “elargita” l’opportunità di sudare – e impratichirsi! – con lauto guadagno altrui, dovrebbe essere pazzamente felice di contribuire alla propria crescita professionale, senza mai ricavarci il becco di un quattrino. Che dannate pretese: imparano e pretendono pure di essere remunerati!
Già il nostro herr doctor Karl Marx, un pò di tempo fa, ricordiamo a chi l’avesse dimenticato, aveva aperto gli occhi ai suoi contemporanei circa i pericoli di rapporti contrattuali non regolamentati.
“Che cos’è una giornata lavorativa? Qual è la quantità del tempo durante il quale il capitale può consumare la forza-lavoro della quale esso paga il valore d’una giornata? Fino a che punto la giornata lavorativa può essere prolungata al di là del tempo di lavoro necessario per la riproduzione della forza-lavoro stessa? S’è visto che a queste domande il capitale risponde: la giornata lavorativa conta ventiquattro ore complete al giorno, detratte le poche ore di riposo senza le quali forza lavoro ricusa assolutamente di rinnovare il suo servizio…Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di pluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali ella giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici.” (K. Marx, il capitale, libro I) In tutto il meridione, invece, e particolarmente qui, si è ostinatamente e pericolosamente radicato nelle teste dei datori di lavoro di tutte le estrazioni sociali il concetto che l’aspirazione massima di ogni giovane commesso, addetto, operaio, tirocinante, impiegato etc. sia quella, ci si perdoni l’espressione greve, di “buttare sangue” “gratis et amore”, così, per sport. Si approfitta con vigliacca ingordigia della terribile crisi economica che attanaglia l’Italia, per ingrassarsi, senza limite o pudore, alle spalle delle categorie più deboli, costrette, dalle circostanze e dal contesto ostili, ad abbandonare stima e dignità personali alle ortiche, pur di recuperare qualche euro. Purtroppo, tale situazione non riguarda soltanto i lavoratori che non abbiano raggiunto un grado d’istruzione superiore, ma si verifica, anche e soprattutto, nel caso dei giovani laureati. Frotte di ragazzi, magari dopo anni di studi e sacrifici dei genitori, vengono adescati con promesse da sirene, per poi venir torchiati ben bene e scaricati,senza alcuna forma di tutela,dai vari padroni. Il “Padrone”- figura quasi biblica come il Leviatano - direbbe qualcuno, sorridendo bonariamente – “Non esiste più!”. Oh, no, esiste ancora. Dietro altri nomi, con altri panni, difeso da altri maneggi, da altre collusioni, ma è sempre lì. Non scordatelo.

Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 01 del 05/01/2007

Memorie dal confine 4


Nella nostra società crotonese conta poco la Virtù o il Fato, conta più che altro il famoso “contesto”



Gramsci, i carrettieri, i bilanci e l’anno che verrà……..!


Insomma, per farla breve, c’è stata tolta anche la possibilità di sognare, perché per raggiungere i propri obiettivi non servono determinazione, preparazione ed entusiasmo, ma un poderoso calcio nelle terga. Il colore politico della gamba, provvidenzialmente, assestatrice non è determinante, purchè sia un calcio ben direzionato ed energico.


di Romano Pesavento

“Carissima Tania,
e così anche l’anno nuovo è cominciato. Bisognerebbe fare dei programmi di vita nuova, secondo l’usanza; ma per quanto abbia pensato un tale programma non sono riuscito a combinarlo. È stata questa una grande difficoltà sempre nella mia vita, fin dai primi anni di attività razionatrice. Nelle scuole elementari ogni anno di questi tempi assegnavano come tema di componimento: “Che cosa farete nella vita”. Quistione ardua che io risolvetti la prima volta, a otto anni, fissando la mia scelta nella professione di carrettiere. Avevo trovato che il carrettiere univa tutte le caratteristiche dell’utile e del dilettevole: schioccava la frusta e guidava i cavalli, ma nello stesso tempo compiva il lavoro che nobilita l’uomo e gli procura il pane quotidiano.” (A. Gramsci, Lettera XXVI, 2 gennaio 1928)

Foto: immagine a sinistra Giulia Schucht, moglie di Gramsci , con i figli Delio e Giuliano; immagine a destra Tatiana Schucht, cognata di Gramsci.

Il passo, che proponiamo ai lettori oggi, è tratto dalle lettere dal carcere di Gramsci. Il tema in esso contenuto risulta piuttosto attuale e foriero di riflessioni serie sulla nostra realtà. Infatti, come si conviene alla chiusura di un anno, è tempo di bilanci, buoni propositi e previsioni astrologiche. Tuttavia, di solito, ogni tipo di programma o strategia per il futuro viene puntualmente disatteso o accantonato dopo qualche, più o meno svogliato, tentativo. Il bambino Gramsci sognava di fare il carrettiere; per nostra fortuna, e forse sua sfortuna, non è andata così, perché gli eventi della vita spesso portano in direzioni diametralmente differenti da quanto si prevede. Questo accade quotidianamente, rientra nel naturale svolgimento delle cose e va accettato il più possibile serenamente. Il problema si pone, invece, quando non è tanto il Destino o la Casualità a scombussolare i nostri piani ma il contesto “umano” in cui ci muoviamo.
Già, nella nostra società meridionale, e crotonese in particolare, conta poco la Virtù o il Fato, conta più che altro il famoso “contesto” già evocato sopra. Fatto di relazioni, amicizie, convenienze, utilitarismi e tornaconti personali che più privati proprio non si può, e che finiscono sempre per incidere e ripercuotersi sul pubblico e quindi sulla sorte di tutti quanti noi. Se al giorno d’oggi qualche bambino sognasse di diventare, senza troppe ambizioni, un carrettiere, con tutto il rispetto per una categoria che forse, ormai, si è estinta come i mammut, molto probabilmente dovrebbe rapportarsi, da grande, con tutta una rete di incontri, situazioni, personaggi politici alto locai e basso locati veramente difficile da districare. Insomma, per farla breve, c’è stata tolta anche la possibilità di sognare, perché per raggiungere i propri obiettivi non servono determinazione, preparazione ed entusiasmo, ma un poderoso calcio nelle terga. Il colore politico della gamba, provvidenzialmente, assestatrice non è determinante, purchè sia un calcio ben direzionato ed energico. Da quando in qua, gli ideali di partito hanno avuto qualche peso nelle scelte personali di chi aspira unicamente alla tanto sospirata pagnottella? Bisogna diventare pragmatici ed accettare la realtà, perché chi non si adegua o non riesce ad adattarsi, di solito, non fa una bella fine: non diventerà mai carrettiere, ma, più probabilmente, gli faranno tirare il carretto per tutta la vita.
A tal proposito, è illuminante la chiosa di Gramsci nella lettera già citata: “Vedi come i programmi precostituiti in modo troppo rigido e schematico vanno cozzare, infrangendosi, contro la dura realtà, quando si ha una vigile coscienza del dovere.”

Foto: Gramsci a Vienna (1923)


È lo stesso intellettuale ad individuare il conflittuale, per non dire disastroso, rapporto esistente tra vigile coscienza del dovere e dura realtà: frequentemente, chi è fornito della prima raramente riuscirà a inserirsi nel proprio “contesto” con successo ed a realizzare i propri sogni. Chi è troppo ligio, troppo scrupoloso troppo motivato non incontra mai le simpatie di molte persone. Pertanto, per evitare cocenti delusioni, non è il caso di abbandonarsi ai piaceri del “fantasticare” (cioè ragionare o programmare da soli il proprio avvenire), soprattutto se siamo, come in questo periodo, in una fase di passaggio dal 2006 al 2007. Tranquilli, l’anno che verrà, per citare Lucio Dalla, tra un anno passerà e, aggiungiamo noi, per chi non ha grandi risorse, per bene che vada, sarà esattamente uguale a quello già trascorso.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 50 del 22/12/2006

Memorie dal confine 3

Buon Natale, Crotone!


di Romano Pesavento

“ Mo vene Natale, non tengo denare, m’accatt ‘o giornale, e mi vado a cucca!”- “ E vatte a cuccà”! Forse non tanti lettori, per motivi anagrafici, avranno l’opportunità di ricordare questa vecchia, apparentemente leggera, ma in realtà drammaticamente seria e, per noi, piuttosto attuale canzone di Renato Carosone. La storia è quella di un povero diavolo che, sprovvisto di mezzi nel periodo di Natale, festività ormai svuotata, o quasi, di ogni significato religioso e deputata al semplice consumismo,si ritrova come unico “diversivo” giornale e letto.
La vicenda era ambientata, presumibilmente, a Napoli, città fascinosa e ricca di cultura, come è noto,ma in forte crisi economica più o meno da sempre. Insomma, l’ideale “compagna” per stabilire un ipotetico gemellaggio tra “belle e decadute” con Crotone. Già, anche da noi, per molti disoccupati e dipendenti in nero,sfruttati da un pugno di vecchi filibustieri detentori, con artigli d’acciaio da qui all’eternità”, del potere e dei cordoni della borsa, ci sarà un Natale piuttosto squallido e di basso profilo. Qualcuno potrebbe affermare,con fiero sdegno, occhi di bragia e pappagorgia tremolante, che il significato profondo dell’intenso avvento del bambinello non si ritrova in un cappone ripieno o nell’ultimo modello di cellulare. Giusto. Peccato, che, raramente, chi si rende portavoce di sì nobili sentimenti rimane sprovvisto dell’uno o dell’altro. Tuttavia è sconveniente, quasi meschino, in un mese tenero come questo, dedicato agli affetti e alla spiritualità, fossilizzarsi sui “dettagli”. Andiamo oltre e procediamo piuttosto, come si conviene, ad estendere i nostri migliori auguri di Natale a tutta la cittadinanza.
Buon Natale: mentre il commercio crotonese langue, strozzato dalla micro/macro criminalità e dal progressivo ed inesorabile impoverimento dei cittadini, sempre più equilibristi circensi nel far collimare entrate ed uscite.
Buon natale: mentre dalle fabbriche e dalle aziende in disarmo si leva il coro di protesta e di rimprovero di tanti operai e lavoratori abbandonati alla propria sorte, buona o cattiva che sia.
Buon Natale: mentre “i nostri eroi” politicanti giocano a “tressette”con incarichi, mansioni, posti di lavoro da distribuire puntualmente tra figli, generi, nuore, mogli, fidanzate, amanti, simpatizzanti, “amici”, “amiche” e, ancora, cani/gatti/criceti di famiglia. Che volete? Ritornano bimbi. Con gioiosa e goliardica spensieratezza si scambiano ruoli e titoli vari, all’insegna del: ”Questo mi manca, questo no…” Ogni tanto, si sente parlare di qualche avviso di garanzia, di qualche inchiestuccia; ma poi, via, si riprende l’allegra giostra più in forma e gagliardi di prima! E che sarà mai? In fondo, così fan “tutti”.
Buon Natale: mentre la maggior parte dei crotonesi giovani,volenterosi e spesso, malauguratamente, istruiti è costretta ad allontanarsi dalla propria città per guadagnarsi da vivere altrove. Si rivede la nostra provincia solo in Estate, per vedere la festa della Madonna e… per Natale, appunto.
Tornando,troveranno ad aspettarli,come sempre, la sagra del crustolo, del covatello o della pitta e ,magari, qualche orchestrina di musicisti in erba.
Intorno, magari, tra una “schitarrata” e l’altra, in mezzo ai fumi della frittura o ai vapori dei pentoloni di pappa per il popolo, si sentirà la cantilenante – da venditore di tappeti- voce del segretario/ assessore/vice qualcosa di turno implorante fiducia e garante di legalità; illuminato dal solito, sbilenco, faretto di circostanza, con la cravatta griffata e il cappotto di cammello svolazzanti per la tramontana, ipnotizzerà- lui pensa,più che altro annoierà mortalmente – la folla,ormai satura e “stracotta” non tanto dai bagordi natalizi, ma da promesse, giuramenti e… parole, parole, parole.
Noia, noia, noia. E qui, per chiudere il nostro cerchio, ritorniamo al nostro “incipit” di carosoniana memoria: Se non avete soldi, compratevi il giornale, magari il nostro,e andate a coricarvi. Sempre meglio che assistere a certe scenette ormai prevedibili. Uno slogan, molto celebre, del ’68 proclamava, con l’entusiasmo e l’irriverenza di quegli anni: ”Una risata vi seppellirà” Qui, al massimo, si potrebbe dichiarare sconsolatamente.”Uno sbadiglio vi e ci, ahinoi, seppellirà”
Buon Natale!


Pubblicato sul settimanale La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 50 del 22/12/2006

Memorie dal confine 2

Un imperativo – categorico!?! ­– vige nella nostra classe politica: non dimettersi mai

Innocenti o colpevoli, gli stessi equivoci figuri si aggirano per i corridoi del potere

“Tuttavia, sondando le impressioni di crotonesi, “vicini e lontani”, l’idea comune è che tra convegni presieduti da illustri luminari e spesso finanziati da denaro pubblico, fiumi di carta stampata e manifestazioni delle più svariate Pro loco, un unico principio unanimemente e graniticamente condiviso da tutte le forze politiche rimane glorioso vessillo agitato da tutte le correnti e sotto ogni corrente: NON DIMETTERSI MAI!”



di Romano Pesavento

Bene. Siamo alle solite. Buona parte della nostra “elite” politica è, ancora una volta, investita, travolta, sconquassata, ma mai del tutto disarcionata dall’ultimo scandalo.
Piovono avvisi di garanzia, s’intentano processi, si ascoltano centinaia di individui più o meno al corrente dei fatti, ma, sostanzialmente come accade nel Sahara, quando dopo una tormenta violentissima di sabbia il deserto riprende la sua silente e placida imperturbabilità, anche nel nostro Paese, in seguito all’ennesimo cataclisma politico, tutto si riduce a pace e silenzio. Soprattutto silenzio. In Italia vige un imperativo – categorico!?! ­– in quasi tutta la classe politica: non dimettersi mai. Da noi, a differenza di altre nazioni, in cui i personaggi politici coinvolti in qualunque tipo di “scivolone” – dai più gravi concussione o peculato, ai più veniali, per noi italiani scafati ed abituati a ben altro, scaldaletti rosa- sono costretti, per lo meno, a dimettersi finché non venga provata la loro estraneità ai fatti contestati,si passa con incredibile nonchalance da un avviso di garanzia all’altro, da un’inchiesta all’altra, da un servizio giornalistico all’altro con faccia di bronzo, forti dell’abitudine ormai consolidata a convivere con “gli inconvenienti” del mestiere. Tornando all’Europa, a volte, nemmeno l’assoluzione in tribunale basta a recuperare credibilità e quindi impatto politico sugli elettori, quando il sospetto della colpa, reale o presunta, attribuita risulta assolutamente inaccettabile agli occhi di chi, votando, pretende impegno ed integrità dai propri rappresentanti. Qui no. Innocenti, o colpevoli, gli stessi equivoci figuri si aggirano per i corridoi del potere come un’eredità scomoda, o, se preferite, una cambiale salatissima che pende sul capo dei cittadini di generazione in generazione; già, perché bisogna ficcarselo nel cranio: di solito,piuttosto longevi, i politicanti una volta conquistata la poltrona, non la restituiscono più. Per di più, molti, con una finezza da funambolici manigoldi, motivano le mancate dimissioni con la necessità di continuare nella propria indispensabile attività governativa in nome e per conto della collettività, che non può e non deve rimanere “orba” di simili pupille.
Deve essere il fiero orgoglio italico, la dedizione al proprio lavoro, la “dignitosa coscienza e netta” (Dante, III Canto Purgatorio) - perché esente da qualunque pecca- a convincere quella parte di politici collusi e corrotti (dal momento che errori e sviste giudiziari si saranno di certo verificati, ma i magistrati non possono essere tutti incompetenti e qualcuno degli inquisiti dovrà pure aver commesso qualcosa) a perseverare, a resistere caparbiamente al proprio timone di guida, malgrado nessuno richieda un sacrificio così generoso ed encomiabile.
Padre Dante, sommo poeta, aveva già compreso e profeticamente ritratto una realtà politica (soprattutto nei primi due sesti canti della Divina Commedia), squallida e deteriore, non dissimile, anzi fin troppo in linea con quanto accade intorno a noi: antagonismi “malati” finalizzati al potere personale, incapaci sempre pronti ad ergersi a guida degli altri, rancori profondissimi tra compagni di sventura che dovrebbero, invece, sostenersi a vicenda.
“Ai serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donne di provincie ma bordello….è ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode di quei che un muro e una fossa serra. Cerca, misera, intorno dalle prode le tue marine e poi ti guarda in seno, s’alcuna parte in te di pace gode. Che val perché ti racconciasse il freno Iustiniano se la sella è votà.
Sanz’esso fora la vergogna meno…. Chè le città d’Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene. E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma.”
Già, ai tempi di Dante e anche prima, visto che il poeta in realtà accenna al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, esistevano leggi adeguate alle esigenze dei cittadini che, come avviene ai nostri giorni, venivano puntualmente disattese, evase, ignorate, o, peggio, deliberatamente calpestate.
Anche per questo il Medio Evo viene definito comunemente, al di là di qualche sporadica celebrazione di stampo romantico, un’epoca buia e barbarica. Che dire, invece, del luminoso cammino della democrazia e della legalità nel 2006 quasi 2007? Lascio ai lettori ogni commento. Tuttavia, sondando le impressioni di crotonesi, “vicini e lontani”, l’idea comune è che tra convegni presieduti da illustri luminari e spesso finanziati da denaro pubblico, fiumi di carta stampata e manifestazioni delle più svariate Pro loco, un unico principio unanimemente e graniticamente condiviso da tutte le forze politiche rimane glorioso vessillo agitato da tutte le correnti e sotto ogni corrente: NON DIMETTERSI MAI! Se simili titaniche coerenza e perseveranza venissero impiegate nel mettersi realmente al servizio dei cittadini, di certo non si parlerebbe così spesso di arretratezza economica e culturale. Ahinoi, le cose vanno di gran lunga diversamente.
Italia paese di santi, di poeti, di navigatori e di…. poltrone!

Pubblicato sul settimanale La Provincia KR Anno XIII n. 49 del 15/12/2006

Memorie dal confine 1

Crotone: paradiso perduto, Atlantide sommersa dalle acque e mausoleo di se stessa

Povera patria… e soprattutto povera Crotone!
Crotone, teatro delle maldestre e penose farse dei politicanti di destra e/o sinistra

di Romano Pesavento

“Povera patria” recitava -con tutto il resto che ne seguiva, assai adeguato al nostro caso, ma che non riportiamo, per una pietosa forma di pudore- un’intensa, sofferta e drammaticamente “vera” canzone di Franco Battiato. Tale, accorata, esclamazione è quanto ci viene in mente quando dobbiamo trarre un consuntivo di questo nostro, modesto e senza pretese, percorso nei secoli, nelle vicende e nella realtà di una Crotone vista attraverso gli sguardi ora, impietosi, ora increduli, eppure sempre emotivamente partecipi degli “altri”: gli stranieri .
L’immagine che aleggia nelle nostre menti, alla fine di questo viaggio nella memoria, è quello di un “paradiso perduto”, di un’Atlantide sommersa dalle acque, di uno sfacelo e di uno spreco indicibile di forze, risorse e uomini. Crotone è il mausoleo di se stessa, è la concretizzazione, il “correlativo oggettivo” di T.S. Eliot , del mancato sviluppo, del mancato progresso, del mancato decollo; insomma, per dirla tutta, del “mancato”, tout court.
Crotone, polo industriale che c’era e che ha dato, se non lustro o aria pulita, perlomeno lavoro e certezze a migliaia di cittadini in cerca di una dimensione di vita decorosa e onesta.
Crotone, porto in perenne via di riassestamento e di riadattamento alle esigenze del trasporto moderno… insomma, in secolare fieri .
Crotone, sede di un aeroporto fonte d’orgoglio e, nel contempo, di indicibili patemi d’animo a causa delle ormai cicliche- quasi come le inondazioni del Nilo - minacciate crisi/chiusure dello stesso.
Crotone, terra bellissima e baciata dal sole, dal mare, dalla Natura, dagli dei, che, però, non conosce ancora quel salto qualitativo atto a proiettarla tra i luoghi di turismo che contano e, soprattutto, fatturano.
Crotone, sito fecondo e fortunato, allietato da un clima mite e generoso, alle prese con attività agricole, spesso, condotte con generoso entusiasmo, ma in condizioni di precaria sicurezza ambientale.
Crotone, sbandierato polo universitario ma, in sostanza, privo di autentico riconoscimento o, soprattutto, di reale autonomia e utilità per quei, poveri, giovani ancora illusi di poter realizzare se stessi ed essere utili alla collettività studiando e, magari, oprando nella propria città .
Crotone, ultima provincia e non solo, ahinoi, in ordine d’istituzione cronologica .
Crotone, teatro delle maldestre e penose farse dei politicanti di destra e/o sinistra, impegnati con zelo, metodo e dispendio d’energia, a ingollare, fagocitare, ruminare e metabolizzare tutto quello che si presenta sotto la loro vista. Probabilmente, quando il geniale A. Albanese, noto attore comico di teatro e televisione, ha inventato l’odioso ma esilarante personaggio di Cetto La qualunque, si sarà di sicuro ispirato a qualche assessore,onorevole o segretario di partito delle nostre contrade.

E’ davvero difficile immaginare un politicante così abietto, volgare, ignorante e meschino come Cetto con una provenienza più che geografica, etico-antropologica, perché molti sono i calabresi/crotonesi onesti e preparati , diversa da quella di troppi locali demagoghi.
Anzi,il delirante ma efficace slogan elettorale di Cetto: CCHIù PPILU PE’ TUTTI, sicuramente, possiede più potere persuasivo e valore ideologico di tanti astrusi, fasulli, pretestuosi e ridicoli proclami di onestà ed impegno nel risolvere i problemi della “ggente” dei nostri moderni “Pericle”.
Intanto, mentre Crotone attende di sbocciare in fiore o, se preferite, di evolvere da viscido bruco a lucente farfalla, i giovani disoccupati –non protetti- sono costretti ad abbandonare la città e a lasciarla in balìa dei nomi di sempre. La crisi di Crotone,non ci stancheremo mai di ripeterlo dalle colonne di questo giornale, è prima di tutto una questione morale . Quando il potenziale “buono” viene criminalmente allontanato (l’emigrazione dei giovani crotonesi, non solo per motivi universitari, rasenta valori allarmanti) e in provincia rimangono, tranne qualche rara avis, incompetenti,lavativi e filibustieri , quale sviluppo o progresso si può mai ipotizzare per Crotone, laddove mancano le idee, l’entusiasmo, i contenuti e la preparazione di giovani forze e di spiriti non contaminati dal seme della corruzione e del pressapochismo?
Forse saremo tacciati di macabro disfattismo, ma la situazione della nostra città fa pensare ad un corpo in avanzato stato di decomposizione, i cui, ultimi, sconci umori vengono sfruttati e avidamente succhiati da torme di festosi saprofiti in “agonistica”competizione, l’uno con l’altro, nel ricavare il massimo del nutrimento da un organismo ormai disfatto.
A questo punto, “il bravo commentatore” dovrebbe spendere due paroline su una eventuale, possibile, rinascita della provincia,in maniera tale da non incupire eccessivamente i lettori o procacciarsi con le proprie mani la sgradevole etichetta di antipatico, come è accaduto,per esempio, a ben più insigni scrittori come Giorgio Bocca. Già… eppure, questa volta, pur sforzandoci, non riusciamo davvero ad immaginare una conclusione diversa da questa, perché per un’inversione della attuale rovinosa rotta su cui siamo collocati,servirebbero un prodigioso sforzo collettivo ed un impegno tangibile fatto di sacrifici e lavoro serio, sgraditi, probabilmente, -alla maggior parte dei “notabili” locali. Forse, a questo punto, è più sensato proporre, invece, un vecchio adagio: “Chi di speranze vive, disperato muore

Pubblicato sul settimanale: La Provincia KR Anno XIII n. 47 del 01/12/2006.