lunedì 24 agosto 2015

Astronomia - Al di sopra delle stelle….

Un'intervista inedita con il prof. Flavio Fusi Pecci per scoprire i misteri dell'Universo


Romano Pesavento

“Infatti, quando ammiriamo lassù i celesti templi del gran firmamento, nonché l’etere, immobile sopra le stelle che brillano,  e ci sovviene delle orbite del sole e della luna, allora nei nostri cuori oppressi d’altri mali comincia a levare il capo, che si desta, anche quella tale inquietudine che per caso esista, un’immensa potenza degli dei tale che essa ci farebbe girare, con vario movimento le lucenti stelle: tormenta infatti la nostra mente che vacilla l’insufficienza del nostro ragionamento: qual mai sia stata l’origine creatrice del mondo e a un tempo, qual mai debba essere la fine, fino a quando le mura del mondo potranno sopportare questa fatica dell’affannoso movimento…” (Lucrezio, De rerum natura, lib. V, vv. 1201-1211) 
Mercoledì 28 Maggio 2014: i versi immortali di Lucrezio mi ritornano in mente, mentre mi reco con il mio amico Paolo presso l’Osservatorio astronomico di Loiano, tra i più importanti d’Italia. Appena giunti notiamo che la cupola osservativa è aperta: qualcuno sta lavorando. Suoniamo il campanello e ci apre il prof. Flavio Fusi Pecci. Il suo curriculum è di tutto rispetto: astronomo ordinario, esperto di evoluzione stellare, galassie e cosmologia; già Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari e dell’Osservatorio Astronomico di Bologna, è stato anche Coordinatore Nazionale della Strumentazione del Telescopio Nazionale Galileo (Isole Canarie) ed ha fatto parte dei Comitati tecnico-scientifici internazionali dell’Hubble Space Telescope (HST) a Baltimora, USA, e dell’European Southern Observatory (ESO) in Germania e Cile. Entrati nella struttura, ci conduce nella prima sala in cui alcuni giovani ricercatori lavorano davanti ad alcuni monitor. Inizia così la nostra visita / intervista sui “segreti delle stelle”.  
Quali sono oggi le funzioni dell’Osservatorio astronomico di Loiano?
Ci sono due telescopi qui, sul monte Orzale, a Loiano. Il primo da 60 cm, entrato in funzione nel 1936 e  prodotto dalla ditta Zeiss di Jena, con specchio principale parabolico, era tecnologicamente molto avanzato per quell’epoca. Negli anni Sessanta lo strumento fu impiegato nella fotometria fotoelettrica e oggi è utilizzato per la divulgazione.  Il secondo, intitolato a Cassini, noto per essere il creatore della meridiana di San Petronio a Bologna, di un diametro pari a 152 cm, con lo specchio principale concavo, poggia su due pilastri di cemento per evitare che le vibrazioni prodotte dal movimento della cupola possano condizionare le rilevazioni. Le attività di ricerca reale vengono espletate proprio con il telescopio Cassini: osservazioni di ammassi globulari, osservazioni di galassie vicine, osservazioni scientifiche costituiscono il fulcro delle indagini stellari qui condotte.
Certo c’è da sottolineare che l’Osservatorio oggi funge principalmente da laboratorio didattico: i giovani ricercatori in via di formazione utilizzano soprattutto tale congegno ottico per fare esperienza. Attualmente, malgrado ci sia stato in quest’anno un ampliamento del numero dei dottorati di ricerca, che sono passati da 4 a 8, dobbiamo rilevare che fare ricerca in Italia diventa sempre più difficile. Blocco del turnover, tagli agli investimenti pubblici nella ricerca scientifica hanno fatto ridurre il personale operativo nel centro da 67 unità del 2002 a 51 del 2014. I nostri giovani si recano all’estero per approfondire le proprie conoscenze, grazie ai progetti di cooperazione internazionale di ricerca, diventando sempre più competitivi. Alcuni di loro sono presenti, per esempio, nell’Osservatorio costruito nel deserto dell’Atacama in Cile sulle Ande; oppure in altri centri più attrezzati del nostro. In Italia si spende poco per la ricerca; chi si specializza acquistando competenze di livello superiore difficilmente può pensare di spenderle nel nostro Paese.
Quali obiettivi si prefigge  oggi l’astronomia?
Gli esordi “romantici” della disciplina vedevano l’astronomo come una figura  solitaria nelle notti sconfinate, in balìa del freddo e di tutti gli inconvenienti tipici di strumentazioni e supporti tecnici piuttosto rudimentali. Oggi non è più così: sia per l’avvento della rete telematica, anche da casa è possibile collegarsi ai centri d’Osservazione per raccogliere e analizzare i dati necessari, sia per la vertiginosa innovazione scientifica intervenuta nel settore, che ha reso possibile nuovi approcci rispetto alla comune osservazione  dei fenomeni celesti. Il lavoro dell’astronomo mentre un tempo era principalmente proiettato verso lo studio dell’infinitamente grande, adesso si è andato evolvendo verso l’infinitamente piccolo. Oggi un bravo scienziato deve indagare entrambi i due aspetti, cercando di analizzarli nella loro complessità.
Quali progressi sono stati registrati nel settore dell’astronomia?
Fino a qualche decennio fa il più grande telescopio era il telescopio di Hale di 5 metri, ubicato sul Monte Palomar; poi arrivò nella seconda metà degli anni Settanta il BTA-6 di 6 metri posto sul Caucaso. Tali telescopi avevano uno specchio parabolico fatto di un unico pezzo di vetro; siccome il vetro è un fluido, tende a deformarsi sotto il proprio peso. Ora per avere delle buone immagini uno specchio astronomico deve aderire alla forma ideale geometrica con degli scarti inferiori alla frazione di millimetro in tutta la sua superficie. Pensate ad una superficie che ha un diametro di 5 o 6 metri: perché non si deformi, bisogna fare uno spessore che è almeno un quinto del diametro. Quindi 5 metri di diametro per un metro di spessore, insomma un blocco di vetro molto pesante. Questo blocco di vetro va attaccato alla montatura meccanica, la quale non è fissa, deve poter ruotare da est ad ovest per seguire il moto apparente della volta celeste dovuto al moto di rotazione della terra; deve inoltre poter ruotare da nord a sud per portarsi a mirare ogni punto della volta celeste e quindi anche la montatura deve essere estremamente rigida, perché è inutile avere uno specchio perfetto, se poi la montatura si muove durante il corso delle osservazioni, le quali, con le vecchie lastre fotografiche, anche le più rapide, potevano durare tutta la notte. Oggi ci sono rilevatori elettronici che sono molto più efficienti delle emulsioni  fotografiche e quindi quello che una volta si faceva con una notte di osservazione, oggi lo fa un astrofilo con un telescopio di 50 cm; c’è stato un enorme progresso con i rilevatori elettronici. Non solo, oggi si fanno telescopi che hanno diametri di 8 - 10 metri e hanno degli spessori di una decina o al massimo una ventina di centimetri di spessore. Sottili e leggeri. Si pensi ai telescopi presenti sulle Hawaii o quelli presenti nel deserto dell’Atacama in Cile. Come è possibile fare questo? E’ possibile grazie al progresso dell’elettronica e dell’informatica, perché questi specchi hanno tanti appoggi che sono collegati ad un computer, che stabilisce quali parti vanno spostate per mantenere la forma geometrica perfetta e questo porta ad un’enorme semplificazione hardware dello specchio e della montatura, ma ad un’enorme complicazione dell’informatica. Dagli anni Novanta, è operativo il primo telescopio spaziale, noto con il nome Hubble, che ha superato i problemi derivanti dall’inquinamento dell’atmosfera, in quanto capace di operare osservazioni nell’infrarosso e nell’ultravioletto.
L’astronomia è la scienza che più di tutte permette di accostarsi ai misteri insondabili dell’origine del cosmo. Ritiene che in questo complesso meccanismo chiamato Universo possa rivelarsi qualche traccia di un eventuale intervento divino?
Indipendentemente dalle conoscenze scientifiche attuali, che oggi ci permettono di conoscere aspetti del mondo assolutamente incomprensibili in epoche passate, la possibilità di ricondurre ad un principio creatore la realtà che noi conosciamo rimane una scelta assolutamente e incontrovertibilmente personale. Ricordo che Margherita Hack durante un convegno ad una domanda analoga, molto articolata, di un professore rispose piuttosto sbrigativamente: “Dio non esiste”. 
Margherita Hack è stata una straordinaria scienziata con una personalità fuori dal comune. Lei ha avuto modo di dialogare  con  la celebre studiosa  e interrogarla su molte problematiche relative al futuro dell’ umanità. Quale immagine conserva  di quelle interviste?
Margherita Hack ha sempre esercitato il libero pensiero con perseveranza, determinazione e, direi, serena consapevolezza. Tutto ciò che non è razionale e quindi non traducibile in termini accettabili per la ragione indagatrice dell’uomo, per lei era semplicemente “non scienza”. L’incredulità di fronte alle sue affermazioni di chi trovava “limitata” una visione esistenziale che escludesse  l’esistenza di Dio, la lasciava del tutto indifferente. Appassionata e  vitalissima, anche e forse di più in tarda età, quando si trattava di promuovere la ricerca, aveva un modo piuttosto personale e originare di “raccontare”e comunicare i fatti scientifici, anche ai non esperti del settore. Le energie rinnovabili, secondo il suo parere, erano sicuramente una strada percorribile per ipotizzare un futuro per il pianeta ma, non si doveva interrompere la ricerca relativa al nucleare, però con tutte le precauzioni che comporta una forma d’energia il cui impatto sulla salute degli esseri umani può essere fatale. Come darle torto?

Foto Osservatorio Astronomico di Loiano







giovedì 20 agosto 2015

Inedito - Nord e Sud uniti nell’amore per San Francesco di Paola

Romano Pesavento


San Francesco di Paola è una figura carismatica molto amata non solo dai calabresi, ma anche in molte altre realtà del Paese (Gubbio, Belluno, Genova, Milano, Fiernze, Napoli, Noto ecc.).
Viaggiando tra il Sud e il Nord ho avuto modo di trovare tracce del santo un po’ ovunque. Alcuni “incontri” sono risultati particolarmente significativi; Lugo di Romagna e Palermo diventano i paradigmi più emblematici della capillarità del culto del beato.
Ricordo la volta in cui sono andato in Sicilia; era il 20 di agosto del 2013. In una mattinata candente e afosa, dopo qualche ora di viaggio lungo l’autostrada Catania- Palermo dalle vedute aride, accecanti e “marziane”, si giunge nella multietnica, caleidoscopica e maliosa città di Federico II. Molti sono i colori che contraddistinguono il capoluogo siciliano, un luogo archetipo ed enigmatico, terra amara sospesa tra il bene e il male, come testimoniano eroi positivi e negativi che affondano le proprie radici in questi luoghi: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo, Rosario Spatola  .
Lo sguardo del visitatore errante tra vicoli e scorci di rara bellezza rimane esterrefatto davanti a simili monumenti.
E così ci si ritrova in piazza della marina di fronte ad un sito inconsueto, ma ricco di ricordi e suggestioni: Palazzo Chiaromonte-Steri. Il maestoso e terrifico edificio, costruito nel XIV secolo, fu la dimora di uno degli aristocratici più importanti del tempo, il conte di Modica Manfredi Chiaromonte, e anche, successivamente, dei viceré spagnoli e della Regia Dogana.  Nel periodo tra il 1600 e il 1782 fu sede del tribunale della Santa Inquisizione. Attualmente esso ospita il museo e il rettorato dell’Università di Palermo. 
La storia è passata tra questi corridoi e saloni; e con essa le vicende individuali dei tanti sciagurati che, per un motivo  o per un altro, si ritrovarono a sostenere prima gli interrogatori, poi le torture, e infine le pene-castigo inflitte dall'inflessibilità crudele degli inquisitori.
 In un simile luogo di dolore e di abbrutimento della dignità umana, stupisce enormemente che molti dei detenuti riuscissero a produrre dipinti, murales e sonetti di un certo pregio all'interno delle celle buie in cui erano collocati. Forse il rifugio nell'arte e nella fede costituiva l’unico sistema per evadere da un’orrenda realtà e da un più raccapricciante destino.  
Indubbiamente, la prigionia ha potere sul corpo, ma non sullo spirito e non è  retorica. Chi coltiva la Bellezza in quanto espressione d’arte e di libero pensiero non ha mai una coscienza completamente doma e umiliata; proprio per questo motivo il posto simbolo della coercizione e della negazione dell’umanità può diventare teatro di riscatto e cassa di risonanza per la dissidenza.
Si ricorda, a tal proposito, la figura, arcinota in Sicilia, del frate agostiniano Diego La Matina di Racalmuto, a cui L. Sciascia dedicò un suo racconto intitolato Morte dell’inquisitore.

Egli più volte imprigionato, riuscì, addirittura, ad ammazzare il suo persecutore, durante un colloquio privato, Juan Lopez Cisneros, come viene descritto in una relazione che il nuovo inquisitore di Palermo, Fabio Escobar, inviava il primo luglio 1657 all'inquisitore generale Diego de Aize Reynoso. La descrizione fatta dal prelato era la seguente: "Potentissimo signore, partecipiamo a Vostra Altezza che l'alcalde delle carceri segrete salì di mattina al tribunale e riferì che, avendo visitato quella mattina fra Diego la Matina, recluso in dette carceri, lo aveva trovato senza manette, che le aveva spezzate: manette che a causa della sua temerarietà il tribunale aveva ordinato di imporgli...". Poi descrisse come fra Diego uccise don Juan: "Prese uno strumento di ferro, che non è stato possibile identificare per esservene diversi, e con esso diede all'inquisitore Cisneros tre colpi sulla testa, due sul cranio...".
Proprio all'ingresso, invece, un anonimo artista affida le sue speranze, i suoi voti e la sua disperazione alla Fede, affrescando un immenso dipinto con l’effige di San Francesco di Paola, santo protettore dei calabresi e dei siciliani. Il volto del beato esprime fermezza, solennità e nobiltà d’animo e corrisponde nei tratti somatici e nella postura alle rappresentazioni figurative tipiche a lui dedicate. Egli indossa il caratteristico saio dell’ordine e sul bastone brilla, intensamente luminosa, la parola “Charitas”. Termine che, in quei luoghi, al di là della convenzionalità iconografica, doveva assumere ben più profondi e significativi risvolti. Probabilmente l’alto prelato alla destra del santo è un pontefice, forse Giulio II, sia per la somiglianza del viso sia perché indossa la tiara papale e nella mano benedicente reca un foglio di carta; un atto con il quale il pontefice, dopo il riconoscimento da parte di Sisto IV, avvenuto il 17 maggio 1474, del nuovo ordine “Congregazione eremitica paolana dei San Francesco d’Assisi” e la successiva ammissione dell’Ordine dei Minimi, seguita dalla fondazione prima del Terz’Ordine secolare e poi delle Monache, approvò definitivamente le regole costituende il 28 luglio 1506.   
Il 28 di aprile del 2014 mi sono ritrovato a Lugo, cittadina in provincia di Ravenna, in cui è attiva la comunità ecclesiastica devota a San Francesco di Paola, che, molto amato dai fedeli, viene affettuosamente appellato San Franceschino. 
Ogni anno nella terza domenica dopo Pasqua, nella chiesetta dedicata a lui e a Santa Maria viene celebrata una festa per onorarlo, in quanto co-patrono insieme a Sant’Ilario. 
Dopo essere entrato nel sacrato, vedo in un angolo il sacrestano, il signor Mario Frantale, che mi presenta il parroco, don Carlo Sartoni. 
Attualmente il nostro interlocutore oltre ad occuparsi della canonica ricopre vari ruoli tra i quali giudice presso il Tribunale Ecclesiastico Flaminio; professore di ecclesiologia fondamentale e sistematica c/o Studio Teologico Sant'Antonio di Bologna; direttore e docente all'ISR "S. Pier Crisologo". Iniziamo così il nostro dialogo.  
Don Carlo ci spiega come è arrivato a Lugo la devozione nei confronti di San Francesco di Paola?
Anche se non è certa la presenza del Santo in questa terra, di sicuro la fama dei suoi miracoli e della sua santità si è diffusa a macchia d’olio in tutt’Italia e quindi anche a Lugo. Secondo lo storico Ivo Tampieri, la prima traccia documentata della devozione dei Lughesi verso San Francesco di Paola si ha tra il 1700 e il 1710, quando la contessa Cornelia Taroni, per soddisfare un voto, fece erigere un altare a lui consacrato nella chiesa del Carmine.  
Quali sono le origini storiche della festa che quest’anno si terrà dal 3 al 12 maggio?
La festa nata nel 1710 è stata sempre sollecitata dalla contessa Cornelia Taroni; così come risulterebbe commissionato dai coniugi Taroni un quadro (ora nella Pinacoteca del Vescovado di Faenza) rappresentante San Francesco di Paola e attribuito al celebre pittore Giovan Battista Gaulli. Nel 1728 viene istituito un reddito per il mantenimento del sacerdote sotto l’invocazione e titolo del Glorioso San Francesco di Paola. Successivamente, nel 1741, San Francesco di Paola diventerà titolare della parrocchia con la Bolla di Benedetto XIV.
Altra data importante è 1737. Da allora è attiva la Confraternita nata nel nome del santo, che si è occupata della sistemazione della relativa cappella, dell’amministrazione dei beni, dei cospicui benefici legati al santo, della sagra, la cui origine è lontana nel tempo ed ha sempre accompagnato la festa, coinvolgendo l’intera città di Lugo. Anticamente le celebrazioni prevedevano solenni funzioni in chiesa, precedute da un triduo svolto dai migliori predicatori del tempo (amati a tal punto dal popolo che i giovani, entusiasti, staccavano i cavalli dalle carrozze che li trasportavano alla chiesa, subentrando essi stessi sotto le stanghe ad effettuare il traino) e si concludevano con la processione, alla quale partecipavano le istituzioni, le confraternite e tutto la comunità dei fedeli. Il tutto accompagnato da luminarie, spari di mortaretti, corse di cavalli e altre forme di svago.
Dopo l’epoca napoleonica che aveva scombussolato alcuni assetti della chiesa, a Lugo bisogna attendere il 1854 per incontrare il primo parroco regolarmente insediato. Come è stato già precisato, nell’arco degli anni, si consolida la tradizione della festa del co-patrono proprio durante la terza domenica dopo Pasqua, tanto da trasformarsi in una sentita sagra paesana. 
Attualmente la festa in cosa consiste?
Naturalmente, la dimensione religiosa viene rispettata come è doveroso. I momenti più salienti sono il sabato 3 maggio con la processione per corso Garibaldi fino al rientro in chiesa e il lunedì 12 con la giornata della benedizione dei bambini. Le famiglie con gioia si ritrovano numerose con i loro piccoli per ricevere il saluto del Santo. Sono previsti anche aspetti ricreativi e culturali con rappresentazioni teatrali e concerti di carattere sacro e proiezioni di pellicole per l’infanzia. Per i più sportivi non mancano gare podistiche e piccole competizioni.  
Quali sono le caratteristiche tipiche devozionali del culto di San Francesco a Lugo?
Oltre al celebre altare, penso che i quadretti, ex voto oggi esposti sulle pareti d’ingresso all'altare di San Francesco di Paola, rappresentino la forma più autentica e genuina di gratitudine nei confronti di questa figura prodigiosa e straordinaria. Sin dall'Ottocento i debitori di una grazia hanno inteso omaggiare il Santo con la raffigurazione dell’episodio cruciale relativo all'intercessione di cui hanno beneficiato. Alcuni quadretti risultano di pregevole manifattura, al punto che sono oggetto di studio per gli storici del costume e sono spesso richiesti per mostre in Italia e nel Mondo. 
Mi congedo da don Carlo e scatto qualche fotografia all'interno dell’edificio. Mi colpisce particolarmente la statua in legno del Santo, che è vestito di un saio nero con cappuccio, con a terra il fedele agnellino Martinello, simbolo dell’innocenza del Cristo, realizzata a Bologna nel 1738, la cui spiritualità infonde tutto il senso del perdono e della carità cristiani.


Reportage fotografico

Foto Palazzo Chiaromonte-Steri


                                                      






Foto chiesetta di San Francesco di Paola a Lugo 







Foto Quadri votivi chiesa San Francesco di Paola a Lugo