martedì 31 marzo 2009

I viaggiatori a Crotone 2

Il romanziere rivolto al sindaco Berligeri:“Dunque c’era sempre un dubbio in fondo alla mente del dignitario”





La “maledizione” di Gissing: che ne è di Kroton!



di Romano Pesavento

George Gissing romanziere di luminoso talento e di “romanzesca” biografia, uno di quegli artisti anarcoidi fuori dalle regole ed in perenne dissidio interiore, anticonformista per vocazione e forse “metodo”, si ritrovò come Douglas, Swinburne, Stolberg, Duret de Travel dalle nostre parti, a Crotone, alla fine dell’Ottocento, precisamente nel Dicembre del 1897, sempre a causa del solito viaggio teso alla scoperta di quello che l’attore Montesano, nella celebre gag della romantica donna inglese, definiva “pittoresco”. Lungi da noi il sospetto di voler dissacrare la portata formativa –romanzo autentico, perché reale, biografico, di formazione, per uno scrittore di romanzi!- e l’intento/fine nobile che, molto spesso, si accompagnava a questi spostamenti in direzione Sud-Est, esperienze di forte connotazione umana, culturale e metafisica, quasi; ma la tentazione del sorriso, seppur amaro, è troppo forte pensando alle fantasie, alle aspettative, alle speranze proiettate sui luoghi della Magna Grecia da questi inguaribili cultori di un mondo classico, levigato e sublime, lontano anni luce dalle povertà e dalle ristrettezze del Meridione del primo Novecento. Praticamente si partiva dalla gelida Inghilterra imbevuti ed “ubriachi d’arte”, dei versi di Teocrito, della filosofia di Pitagora,delle statuette esposte in qualche grande museo cittadino e si approdava in una terra che dell’antico splendore conservava ben poco. Anche la celebrata mitezza del nostro clima, a volte, si traduceva in un formidabile viatico per contrarre la malaria, malattia -spauracchio particolarmente feroce a Crotone in quegli anni e che provocò non pochi disagi anche allo stesso Gissing. Con questo non vogliamo dire che tali intellettuali “itineranti” fossero del tutto ignari dei tempi e delle situazioni contingenti,sarebbe inverosimile; tuttavia, dagli appunti di viaggio traspare una così appassionata rievocazione dei fasti del passato, una così cocente delusione per il confronto con il presente, da rendere palese il disappunto- choc per una realtà, evidentemente, più sgradevole di qualsiasi ragionevole previsione. Per fortuna, gli scrittori inglesi sono, di solito, portatori sani di quel tanto decantato patrio “ sense of humor”, per cui ogni pagina, anche la più indignata per la denuncia o la più nostalgica- lirica, conosce quella misura e quel taglio brioso che solo un sapiente dosaggio dell’ironia può conferire.
Anche Gissing era un autentico maestro in quest’arte, come avremo modo di sperimentare, ma vediamo in che modo descrive la città di Crotone al suo primo impatto: “Come la città vecchia di Taranto, Cotrone sorge nel luogo dell’antica acropoli,su un piccolo promontorio sporgente sul mare; in alto, e di fronte alla città, si erge il castello costruito da Carlo V, con immensi spalti, che domina il porto. Da una strada che costeggia la riva intorno alla base della fortezza,si vede una larga baia, limitata a nord dai cupi fianchi della Sila (ero di nuovo in vista del Monte Nero), e a sud da un promontorio lungo e basso, che lentamente degrada fino alla punta remota in cui finisce tra le onde…. Allora ricorsi al cannocchiale, e subito quell’incerto puntino una prominenza chiaramente visibile,qualcosa di molto simile a un faro. E’ una colonna dorica, alta una decina di metri; l’unico sostegno che sia rimasto del grande tempio di Era, famoso in tutto il mondo ellenico, e ancora sacro quando la dea portava ormai da secoli un nome latino. Colonna è il nome più frequente di questo capo, ma esso è noto anche come capo di Naù (tempio).”
Circa la colonna,chiodo fisso di tutti i “turisti”, anche perchè unica, eroica, testimone di una remota grandezza, Gissing nutriva il progetto quasi ossessivo di visitarla da vicino: il suo voleva esser un omaggio, un atto dovuto, una specie di compensazione della scellerata devastazione, definita “saccheggio”, cui fu sottoposto il tempio da parte del vescovo di Crotone, Antonio Lucifero, nel Cinquecento, per costruire il proprio palazzo vescovile. Su questo comportamento scriteriato e deprecabile si è espresso anche Douglas, come ricorderemo. D’altra parte nessuno stupore in merito: la continua rievocazione di tale episodio costituirà un motivo ricorrente per tutti coloro che,a conoscenza della vicenda storica, non possono contenere la proprio ferma condanna per un assurdo e dannosissimo arbitrio, senza il quale -terremoti permettendo –ora, probabilmente, avremmo avuto la possibilità di ammirare un ben più maestoso spettacolo del profilo sconsolato di una colonna solitaria .
“…Un buon porto; l’unico, in realtà che sia buono, tra Taranto e reggi, ma dispiace ricordare che i poderosi blocchi di cui è costruita la barriera contro il mare vengono tutti da quel tempio distrutto. Ci è stato tramandato che fino al Cinquecento l’edificio rimase pressochè intatto, con quarantotto colonne, erette là sopra lo Ionio, una guida per i naviganti, come quando Enea lo aveva scorto dalla sua nave sbattuta dalla tempesta. Poi fu assalito,abbattuto e saccheggiato da un vescovo di Cotrone, tale Antonio Lucifero, per costruirsi il palazzo vescovile. Quasi trecento anni dopo, in seguito al terribile terremoto del 1783, Cotrone rafforzò il suo porto con i grandi massi del basamento del tempio. Questo fu un saccheggio più legittimo”.
Per Gissing lo scempio del furto sarebbe stato in una qualche maniera più accettabile, se teso a creare migliori condizioni di vita per la popolazione: la costruzione del porto, di un buon porto cittadino, grazie al materiale proveniente da Capo Colonna risulta ai suoi occhi di gran lunga più tollerabile. Il trionfo dei fini personali del singolo,invece, come nel caso di A.Lucifero, a detrimento di quello che è patrimonio culturale di inestimabile valore per l’intera collettività, lo amareggia e ne accende lo sdegno.
Il pensiero dello scrittore si volge con compassione e slancio al ricordo della passata gloria di Crotone :
“Che ne è stato delle rovine di Crotone? Nella squallida cittadina di oggi non resta traccia dell’antichità. Eppure una città cintata da mura della circonferenza di dodici miglia non doveva sparire facilmente dalla faccia della terra. Il vescovo Lucifero, quando ebbe bisogno di pietre per il suo palazzo,dovette andare fino a capo Colonna. Il luogo fu abbandonato quasi duecento anni prima di Cristo.Roma lo colonizzò nuovamente, ed esso riebbe un’oscura vita come punto d’embargo per la Grecia,con le case che occupavano solo la rocca dell’antica cittadella . A quell’epoca vi erano resti della grande città greca? Della città che era stata ancor grande due secoli prima? Andò tutto adoprato nella costruzione delle case, dei templi e delle mura romane, che poi sono anche loro crollate o rimaste sepolte?
Sappiamo che il fiume Esaro scorreva nel centro della città nel suo fiorire. Guardai la pianura e là, verso la lontana stazione ferroviaria, vidi un solco verde, il corso di quell’acqua quasi stagnante e assolutamente pestilenziale che ancora si chiama Esaro…Poter contemplare in una visione il porto, le strade,il grande muro di cinta!
Dall’altura dov’ero, quanti amici e nemici di crotone hanno posato lo sguardo sulle splendide vie, popolate di forza, di bellezza e di sapienza! Vi è forse passato Pitagora, guardando il santuario Lacinio,allora appena finito di costruire
Veramente, di fronte a tali interrogativi anche il crotonese più incolto non può evitare di chiedersi quale fine abbiano mai fatto i resti di una civiltà così potente, florida e celebrata; in pratica, se ben interpretiamo le affermazioni di Gissing, supportati da analoghe testimonianze di Petronio, la ricca e decantata Crotone già in epoca romana si riduceva ad un pugno misero di case. Dei ricchi materiali di costruzione, delle statue, degli sfarzosi edifici non rimaneva, già allora, traccia alcuna.
In compenso, in perfetta continuità con una certa tipologia di esponenti politici nostrani piuttosto diffusi, “ecumenicamente”, a destra e a sinistra, anche ai nostri giorni, il nostro Gisssing ci tratteggia un sapido ritratto del sindaco di Crotone di allora e di un suo amico, evidenziandone l’amore per la cultura e la fiduciosa ed entusiastica accoglienza nei confronti dello straniero,giudicato sempre ,paradossalmente, o troppo furbo o troppo idiota: “In un ufficio ben arredato sedevano due signori robusti, che fumavano il sigaro perfettamente a loro agio; il sindaco mi pregò di accomodarmi e mi scrutò con una perplessa curiosità mentre gli esponevo il motivo della mia venuta. Sì, certo, poteva permettermi di visitare il suo aranceto, ma perché volevo vederlo? La risposta che ogni mio interesse era per le bellezze naturali non lo persuase; pensava che fossi qualche speculatore. Era un pensiero abbastanza naturale. In tutto il mezzogiorno d’Italia il denaro è l’unico argomento a cui gli uomini pensino. Quelli che hanno le ricchezze vi stanno ferocemente attaccati; e la massa non ha tempo né desiderio di occuparsi d’altro che dei mezzi di sussistenza, il che significa, per le masse, poter placare la fame.
Vedendo l’imbarazzo del sindaco, il suo imponente amico cominciò ad interrogarmi: bonariamente, ma con voce così grossa gorgogliante (resa ancora più indistinta dal sigaro che non si era levato dalla bocca) che lo capivo a stento. Che facevo a Cotrone? Cercai di spiegargli che Cotrone mi interessava molto. Ah, Cotrone mi interessava? Davvero? E che ci trovavo d’interessante a Cotrone? Gli parlai dei ricordi storici. Il sindaco e l’amico si scambiarono delle occhiate perplesse, ebbero un sorriso perplesso, tollerante, quasi compassionevole e decisero che quanto chiedevo poteva essermi accordato…un minuto dopo uscivo con in mano mezzo foglio di carta da lettera su cui erano scarabocchiate a lapis poche parole, seguite dalla firma “Berlinghieri”. Quando decifrai lo scarabocchio, capii che era l’ordine di lasciarmi visitare una certa proprietà “senza nulla toccare”. Dunque c’era sempre un dubbio in fondo alla mente del dignitario!”
In maniera ironica ma impietosa Gissing “ruba” un’istantanea di vita quotidiana crotonese, che, per la sua vivace naturalezza, potrebbe essere avvenuta non più di qualche giorno fa in un qualsiasi ufficio della città: i potenti pinguemente imponenti, fintamente bonari e paternalistici, sono in realtà già pronti a prevenire eventuali danni, da chi, ai loro occhi, pur presentandosi di sicuro come un irrimediabile imbecille, imbevuto di stolte farneticazioni (storia, arte), potrebbe, dietro una stolta,innocua, apparenza, nascondere chissà quali frodi. Meglio non rischiare.Anche il “permesso”, formulato con poca cura e steso su un mezzo foglio di carta con grafia illeggibile può diventare un netto indizio del pressappochismo e del lassismo di un certo approccio politico crotonese. “Ci sono cose che il tempo non cambia” recitava una vecchia pubblicità.




Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 30 del 28/07/2006;

I viaggiatori a Crotone 1




Douglas: E il vescovo Lucifero abbatté le colonne del tempio di Hera Lacinia






di Romano Pesavento

“ Il sole è entrato nella costellazione del Leone ma la temperatura a Cotrone non è eccessiva –cinque gradi meno che a Taranto, o Milano, o Londra. Ci si stanca, tuttavia, del diluvio di luce implacabile che scende, giorno per giorno, via etere. Le strade luccicanti sono quasi deserte dopo le prime ore del mattino. Qualche passante indaffarato cammina sino a verso mezzogiorno sui marciapiedi; e così faccio io, in acqua, ma le lunghe ore del dopopranzo sono consacrate alla meditazione e al riposo”….
Old Calabria, opera di Norman Douglas da cui sono tratti i passi che proponiamo, è comunemente considerato il migliore libro scritto su questa regione per efficacia narrativa, sapiente abilità descrittiva ed un certo ironico stupore di fronte ai fatti o agli eventi/caratteristiche della nostra terra giudicati, a tratti, incomprensibili agli occhi di un aristocratico inglese curioso, ma pur sempre distante anni luce da certe forme di arretratezza materiale e morale.
Non ci soffermeremo molto sui dettagli biografici di tale scrittore, chiunque lo volesse può approfondire; diciamo soltanto che Douglas fu un figlio del XIX secolo, capace di rinnegare alcuni aspetti dell’epoca vittoriana, come l’ipocrisia e la falsità, ma non privo di quel sentito e connaturato rispetto, proprio dei cittadini dell’ Europa settentrionale, per l’ordine sociale.
Old Calabria… a molti dei Crotonesi sarà capitato di leggere in piazza duomo, affissa all’entrata dell’hotel “Concordia”, la targa intitolata allo scrittore e ad altri illustri personaggi. Anche in Sila esiste un intero parco nei dintorni di Camigliatello interamente dedicato a Douglas: ma pochi ne sapranno i motivi o conosceranno l’attività di questo singolare personaggio.
Come molti letterati stranieri, soprattutto settentrionali, particolare da ribadire ad oltranza, Douglas decise di intraprendere un viaggio nell’Italia meridionale: esisteva tutto un nutrito e fortunato filone “avventuroso-diaristico”, basti citare Goethe, circa l’incontro/scontro tra mondi e mentalità così lontani e forse per questo reciprocamente attratti. In genere le vestigia e i “luoghi”,gli sfondi paesaggistici,della civiltà greco-romano rappresentavano un elemento di seduzione irresistibile per simili intellettuali; ma era proprio il gusto per il “pittoresco”, per il primitivo, l’irrazionale, il rischio, tutti elementi abbondantemente presenti nei nostri luoghi, ad affascinare questi colti cittadini europei, spesso annoiati, in cerca di emozioni forti.
Dunque, intorno al 1912, Douglas si accinse a stendere l’opera Old Calabria, frutto dei suoi viaggi e dell’attento interesse con cui guardava al meridione italiano.
Egli percorse la nostra regione in modo metodico, descrivendone i più svariati aspetti in maniera analitica e sottoponendosi,in tale attività, più volte a pericoli e disagi notevoli: attraversare luoghi completamente isolati come la Sila o semplicemente raggiungere i vari centri abitati in una terra del tutto priva di vie di comunicazione adeguate, non sarà stato certamente facile. Se partire in treno, oggi, da Crotone per una qualsiasi destinazione, produce ansia e genera sudori freddi, immaginiamo cosa potesse comportare un’impresa del genere quasi un secolo fa.
Il percorso di viaggio viene riproposto efficacemente in capitoli; pertanto cittadine,personaggi e zone vengono immortalate in tappe “letterarie” in progressiva discesa verso Sud: “l’antica Morano”, Gli altipiani del Pollino, “La Greca Sila”, “Caulonia”etc. A Crotone e alla relativa provincia vengono dedicati ben quattro capitoli netti, più diverse citazioni sparse nel libro: segno tangibile, come vedremo, che queste contrade avevano particolarmente toccato la sensibilità letteraria di Douglas.
Anche il ritornare di continuo in questa regione è una prova evidente che, al di là di osservazioni e critiche pungenti ben riscontrabili e motivate, il rapporto instaurato con il territorio e le genti calabresi avevano lasciato un segno indelebile nello scrittore.
“L’aria è più fresca quando mi sveglio e, guardando fuori della finestra, mi rendo conto, dai morbidi effetti di luce, che il giorno sta calando. Verso quest’ora del crepuscolo la cupola ininterrotta del cielo subisce spesso una breve trasformazione
Allora si possono vedere concentrate in altezza, masse di nuvole che si vanno accumulando sopra le alture della Sila e si raccolgono in nuvola ausiliarie da tutte le parti; d’un subito i lampi giocano attorno ai vapori lividi e sporchi, più oltre si ode alto il brontolio del tuono, verso qualche scroscio di pioggia inzuppante. Ma sulla pianura il sole continua a brillare con una benevolenza svuotata; nulla si avverte della tempesta tranne nervosi aliti di vento che sollevano mulinelli di polvere dalle strade di campagna e frustano il mare in una falsa frenesia di ondine arruffate. E’appena l’interludio. Presto le nubi nero-azzurre sono fuggite via dalle montagne che si stagliano, chiare e rinfrescanti, nel crepuscolo. Il vento si è smorzato, la tempesta è finita e Cotrone è, come al solito, assetata di pioggia che non viene mai. Tuttavia qui ci è il ritratto di una Madonna, una famosa Madonna nera, che “sempre procura pioggia quando la si prega”.
Ecco un esempio tipico della bella prosa suggestiva, ma “pulita”, priva di fronzoli, di Douglas: nello squarcio paesaggistico la forza della Natura viene riprodotta con studiata efficacia e armonioso senso dell’imponenza;tuttavia,da uomo di studi, vagamente scettico, quale è, non manca di rilevare l’endemica carenza d’acqua : in particolare,suona lievemente malizioso quel cenno alla miracolosità della Madonna nera, sicura e benevola dispensatrice d’acqua, come chiosa di un periodo in cui si precisa a chiare note che a Cotrone, ovviamente l’odierna Crotone, non piove mai. Infatti, proseguendo, il concetto si esplicita:
“Una volta, veramente, la coda di un temporale deve essere passata sopra le nostre teste, perché sono cadute poche e malinconiche gocce di pioggia. Mi affrettai ad uscire fuori, insieme con diversi cittadini,per osservare il fenomeno. Non vi erano dubbi a riguardo; era pioggia vera, le gocce si posavano a rispettabili intervalli di tempo sulla bianca polvere della svolta che porta alla stazione. Un ragazzo, che passava di lì con una carretta, osservò che se fosse stato possibile raccogliere quella pioggia in un piattino o in qualche altro piccolo recipiente,sarebbe stata appena sufficiente a calmare la sete di un cucciolo di cane .”
Naturalmente, oltre ad osservazioni tra il serio ed il faceto circa i più svariati aspetti della vita in Calabria,non mancano proprio i dettagli sulla qualità di vita, sugli incontri e sulle abitudini dello scrittore durante il soggiorno calabrese e crotonese, in particolare.
Anzi,se qualche lettore si aspetta i consueti squarci sul degrado crotonese, probabilmente rimarrà deluso: nei capitoli relativi alla nostra provincia, si parla di una vita sociale cittadina modesta ma piacevole, a tratti, addirittura “brillante”. Non sappiamo, però, se ciò fosse dovuto alla realtà dei fatti o se la solitudine estrema e i pesantissimi disagi, connessi all’attraversamento della Sila, abbiano reso più “appetibile” qualunque altra condizione; comunque sia, se le descrizioni dovessero corrispondere al vero, bisogna riconoscere che la Crotone del secolo scorso risultava essere assai più stimolante e mondana di quella attuale. Che tristezza! Ad ogni modo, Douglas scrive:“Di solito faccio un ultimo tuffo in mare, a quest’ora della serata. Dopo è consigliabile incamerarsi uno o due gelati -sono eccellenti a Cotrone- e un bicchierino di Strega, per eliminare gli effetti dell’eccesso di lavoro. Poi una breve passeggiata attraverso le strade pulite, ben illuminate e ora affollate, o lungo il viale Margherita, per vedere i militari e gli elegantoni prendere aria vicino alle onde mormoranti, sotto i bastioni, simili a scogliere, del castello di Carlo V, e infine, si va a cena….Non v’ha cosa migliore che trascorrere uno o due mesi in pace, a Cotrone, in primavera, perché il posto piace, a mano a mano sempre di più. E’ così riposante e bene ordinato! Ma non d’ Inverno…e neppure in autunno, perché la zona circostante è altamente malarica”.
A dire il vero, i vertici dell’arte di Douglas riguardano la maestria fine nel cesellare paesaggi ed immagini altamente evocativi della nostra terra, intrecciandoli ad amare, o sarcastiche, considerazioni circa l’abbandono e lo sfruttamento atavico dei nostri luoghi. Circa Capo Colonna, osserva: “Una giornata di calore abbagliante …il terreno è riarso e, nel complesso, questa striscia di terra fra Cotrone e Capo Rizzato è misera e poco popolata. Non stupisce che i lupi siano affamati: nove giorni fa,uno di essi si avventurò in pieno giorno fino sulla strada davanti al cimitero…la colonna è sorretta da un’armatura e rinforzata alla base da una gettata di cemento, poiché le piogge di tanti secoli avevano incominciato ad insidiarne le fondamenta e c’era il rischio di una catastrofe…Dopo tutto, fu una decisione piuttosto gentile, da parte del vescovo Lucifero, intento nella sua opra di distruzione, quella di lasciare in piedi due delle quarantotto colonne che sorgevano in questo punto, come esempio dello stile dorico locale. Da quei tempi una di esse è crollata a terra, ma nessuno,allora,si sarebbe lamentato se egli le avesse rubate tutte,invece che lasciarne due. Fotografai la superstite, poi mi allontanai verso la spiaggia, e mi ritrovai ben presto in una solitudine di pietre arroventate che sembrava un Sahara in miniatura.”
Quanta nostalgia, alimentata da colte letture classiche, e quanta pena nelle constatazioni dello scrittore: “Il tempio è scomparso, insieme al bosco sacro che un tempo lo circondava; ci fu un tempo la vita su questo promontorio. Le navi vi facevano scalo, lasciando doni di inestimabile valore, le fontane scorrevano e i campi di grano ondeggiavano nel sole. Senza dubbio vi tornerà la vita; la terra e il mare attendono solo la bacchetta di un mago”. Speriamo che Douglas sia nel giusto e che la “bacchetta magica” non tardi troppo ad arrivare.
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 29 del 21/07/2006;

Memorie dal confine 40

Giorno 9 settembre i giovani di via Repaci abbelliscono il quartiere con murales colorati e gioiosi.

Dr Dobermann e i topi pitagorici!

Degrado e abbandono caratterizzano un’altra area verde della città: parco delle Mimose. Siringhe e sporcizia nelle vicinanze della Vittorio Alfieri.


di Romano Pesavento

Il tour cittadino di questa settimana ci conduce in via Giaovanni Paolo II. Infatti, proprio qui, in prossimità del quartiere Scintilla si trova un’altra zona verde di Crotone, chiamata parco delle Mimose. L’ingresso dell’area è collocato proprio a fianco delle famose fontanelle pubbliche da cui dovrebbe sgorgare acqua proveniente dalla bassa Sila. Il cancello è chiuso con un lucchetto, ma basta girare intorno al recinto per qualche metro e ci si trova di fronte un’agevole apertura. Entro dentro e un’atmosfera di degrado riempie immediatamente il vuoto che dilaga intorno. Già, proprio il vuoto è l’impressione più immediata che si ricava da una brulla estensione di terra in cui tutto è abbandonato all’incuria e nessun elemento sembra essere in armonia estetica e funzionale con il luogo e con lo scopo per cui il parco era stato creato. Si parla tanto di Napoli, che balza agli “onori” della cronaca per le monumentali torri d’immondizia sparse capillarmente in ogni angolo e in ogni quartiere; invece di Crotone nessuno parla perché è una realtà troppo modesta e periferica per costituire un autentico problema per media e istituzioni. Eppure, in proporzione, non è che la nostra situazione sia poi meno drammatica o preoccupante rispetto al capoluogo campano. La nostra città, per quanto non si sia mai distinta per igiene, ordine ed efficienza, non ha in nessun caso conosciuto momenti di così bassa fortuna. Lo dicono tutti: i turisti veri - o autoctoni - hanno ormai ripreso la via di casa, ma per tutto il tempo della loro permanenza qui hanno provveduto accuratamente a turarsi il naso e le orecchie. Tornando al nostro percorso, scorgo in un angolo del parco un cumulo di grandi sacchi neri depositati con nonchalance colmi fino all’inverosimile d’ immondizia; vi è presenza di spazzatura anche in prossimità delle fontanelle: fattore che certo non rinfranca chi si reca, magari, per una sorsata d’acqua. Un luogo così abbandonato, tuttavia, come in un altro mio articolo avevo ipotizzato, non è purtroppo disertato dai bambini: ne ho visti un paio aggirasi proprio all’interno della struttura. Chissà quanti dei lettori con figli sarebbero entusiasti di sapere che i propri piccoli frequentano posti così malsicuri. Anche in questo caso, non mancano neanche i topi che ormai, vivi o morti, rappresentano una presenza quasi costante dell’arredamento urbano. Nel caso specifico, il nostro esemplare, grosso come un leprotto di campagna, giaceva stecchito su una cassetta di frutta a complemento di una specie di “piccolo salottino”, costituito da un asciugamano, una cesta e alcune tavole di legno disposte in maniera ordinata tutt’intorno alla cassetta. Forse si trattava, non osiamo pensarlo, di qualche gioco di bambini. Certamente, ad assistere impotenti a questo desolante spettacolo vengono in mente i versi delle canzone di Francesco De Gregori intitolata 300.000.000 di topi: “Ci sono topi tutti in giro - Topi tutti intorno - Topi mattina e giorno - Sudici topi ludici giocano a nascondino – Fanno tana nel tronco degli alberi – Dentro il nostro giardino (…)Ci sono topi tutti in giro – Topi in via Fratina – Traversavano la strada tranquillamente – Alle undici di mattina – Sterminate distese di topi – Refrattarie ad ogni sterminio – Sorridevano dalle finestre – Tutte d’oro e d’alluminio.”
Dopo questo sopralluogo, salgo in macchina e mi dirigo in via L. Repaci. Proprio in fondo a questa strada, c’è, infatti, un altro quartiere popolare. Malgrado la desolazione del luogo, qui i ragazzi, giorno 9 settembre, si sono messi ad abbellire i muri con dei murales molto suggestivi e colorati. Dopo aver fatto qualche foto all’area, mi incammino verso Tufolo. All’improvviso, dal finestrino della mia auto vedo una nube nera salire dalla vecchia zona dei mercati generali. Faccio retromarcia e mi incanalo verso l’ingresso dell’area. Una volta giunto sul posto, ho la possibilità di osservare il pronto intervento della polizia di Stato e dei pompieri. Un agente mi spiega che la natura dell’incendio è molto probabilmente dolosa. Siamo alle solite. Il fumo è ovunque. La puzza di bruciato entra prepotente nelle mie narici come un’anguilla nella sua tana. Forse è il caso di non respirare troppo quell’aria ed allora, ritornato all’auto, vado verso il centro della città.Arrivato vicino il parcheggio sito di fronte alla Vittorio Alfieri, mi fermo e comincio scattare fotografie. Un signore mi chiama e mi conduce vicino la macchina atta stampare i biglietti da sosta. Una volta giuntovi, mi mostra una siringa utilizzata dai tossici. Occorre agire prontamente perchè i ragazzini frequentano la zona e potrebbero venire danneggiati da un eventuale contatto con aghi infetti. Ricordo a tutti l’insegnamento di Benedetto Croce che così scriveva in una lettera a V. Pareto : “A chi voglia scorgere colpo d’occhio la differenza tra il tecnico e l’economico, suggerirei di considerare bene in che consista un errore tecnico, ed in che un errore economico. È errore tecnico l’ignoranza delle leggi della materia sulla quale vogliamo operare: per esempio ritenere che si possano porre travi di ferro molto pesanti sopra mura sottili senza che queste ultime rovinino. È errore economico non mirar diritto al proprio fine: voler questo e insieme quello, ossia non voler veramente né questo né quello. L’errore tecnico è errore di conoscenza; l’errore economico è errore di volontà. Chi sbaglia tecnicamente sarà chiamato (se lo sbaglio è grossolano) ignorante; chi sbaglia economicamente, è uomo che non si sa condurre nella vita: fiacco e inconcludente. Perché, come è noto e proverbiale, si può essere dotti senz’essere “uomini” (pratici, o compiuti).”


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 37 del 14/09/2007

Memorie dal confine 39

Finanziamenti pubblici buttati alle ortiche o nelle tasche di qualche “bassotto” di passaggio

Il de profundis dei finanziamenti pubblici!

Malgrado i cospicui finanziamenti del contratto di quartiere, il Fondo Gesù è oggi in uno stato di elevato degrado e abbandono




di Romano Pesavento

“Molte azioni sono per noi un dovere appunto gli altri uomini non le fanno, e rimangono tali a condizione che non siano troppi gli uomini capaci, volenterosi di imitarle. In una barca sopraccarica, l’opportunità di sedersi da una parte o dall’altra dipende strettamente dal numero di persone sedute dalla parte opposta; se qui fosse seguito un imperativo kantiano qualsiasi, il capovolgimento della barca porrebbe tosto fine ai consigli del pilota e alle buone volontà dei passeggeri” (Benedetto Croce, Materialismo storico ed economia marxista, Laterza, 1961, pag. 272)
Semafori rotti, pericolanti, inutili, all’incrocio di Ercole Scalfaro, appaiono davanti ai miei occhi, testimonianza di un intervento pubblico ormai perduto nel vuoto, scomparso tra le macerie di un terremoto. E lo sperpero di denaro pubblico dilaga e affonda nell’oblio della povertà sociale. Nessuno ha mai pensato, probabilmente, di rimuovere tali “reliquie”; magari proprio per nascondere quella, purtroppo, proverbiale incapacità di agire che accomuna, troppo spesso, gli amministratori del Sud. Un po’ più in giù, a qualche centinaio di metri, proprio di fianco al Tribunale di Crotone, una piccola area con una fontana trabocca di sporcizia. E la solita storia viene subito da dire. Salgo in auto e mi reco, allora, presso il rione Fondo Gesù. Qui molti sostengono che si respiri da anni l’aria pesante della micro-criminalità. Ogni volta che si passa per queste strade si accendono gli occhi della gente e uno sguardo sembra penetrare dentro la tua identità. Mi fermo nell’area che, secondo il famoso contratto di quartiere avrebbe dovuto essere dedicata al tempo libero e agli svaghi per i bambini: la strada d’accesso è dissestata, l’ingresso è scoraggiante, anzi tenebroso. Tutto è bruciato, distrutto, decadente. Eppure, almeno qui, la presenza dello Stato sarebbe stata fondamentale per educare e fungere da supporto per la crescita serena delle nuove generazioni. Non una pattuglia s’intravede all’orizzonte. Entro nel giardino-deserto. Non c’è niente che faccia pensare ad un luogo pubblico: illuminazione zero; qualità del verde pubblico zero; giochi e panchine zero; cestini dei rifiuti zero; immondizia? A volontà . Le costruzioni che davanti a me si presentano sembrano essere il frutto di una mente perversamente metafisica. De Chirico per intenderci: strutture enigmatiche e inquietanti si stagliano su paesaggi desolati e silenti. Non si riesce davvero ad indovinare, anche sforzandosi in tutte le maniere, il senso (direbbe Vasco Rossi) o il fine per cui erano state progettate simili inconcludenti mostruosità. Esco fuori e noto un campetto di bocce. Anche questo luogo è un’isola abbandonata nell’ “arcipelago” dei fallimenti. Una schiera di ieratici cilindri in silenziosa processione sono disposti uno di fronte all’altro con ferri sporgenti dalla sommità…. manca la parte superiore di una copertura mai ultimata. Improvvisamente, da lontano mi sento chiamare. Una persona vestita con una maglietta nera ed un paio di blue jeans si avvicina. Un po’ perplesso mi accosto. Il mio interlocutore mi illustra la situazione di un quartiere abbandonato dalle istituzioni e mi conduce presso la propria abitazione. Apre una botola che sta in prossimità del suo ingresso di casa e mi mostra il “lago” che ha invaso le fondamenta del suo palazzo. Mi parla dell’umidità che questa condizione porta e delle crepe ramificate sui muri. Vorrebbe aiuto, mi mostra una bambina molto piccola, è sua figlia. Quale potrebbe essere il suo destino se dovesse cadere in quella minacciosa apertura? Eppure, le palazzine sono di recente costruzione e sono stati utilizzati stanziamenti pubblici per la realizzazione. A qualche centinaio di metri dall’abitazione, ci sta il cartello con su riportate le cifre degli investimenti pubblici (finanziamento ministero LL.PP. £.20.000.000.0000; finanziamento Regione Calabria £.15.000.000.000), destinati al comune di Crotone per il programma di recupero urbano dell’area. Tutto ciò è inspiegabile. Lo Stato dov’è? Si parla tanto di pene più severe per i ladri; ma come si fa a discutere di sicurezza, legalità, onestà con un buco pieno d’acqua in casa? Non ci si può nemmeno allevare le trote.
Finita la perlustrazione, mi incammino verso la mia prossima meta: la struttura sportiva sita di fronte alla clinica Villa Giose. Dopo essere giunto sul posto, entro nel complesso sportivo. All’interno noto per terra un vecchio cartello in cartone, ormai distrutto, con su scritto: Lo sport ci accende. Malgrado lo slogan coinvolgente, ogni cosa intorno a me si presenta in uno stato di abbandono a dir poco terrificante. Le aiuole, un tempo, forse, destinate ad abbellire con piante ed erbetta la struttura, adesso sono stracolme di rifiuti. Il campo di calcio e la pista di salto in lungo sono coperti da erbacce così elevate da rendere inagibile e pericoloso a chiunque un eventuale utilizzo delle stesse. Gli edifici hanno le finestre e le porte vetrate in gran parte rotte; mentre gli interni, da quello che è possibile costatare, sono in via di degrado. La pista da pattinaggio è impraticabile ed inaccessibile per la sporcizia e l’erbaccia. Nulla, o quasi nulla, quindi, si salva. Ho utilizzato il quasi perché l’unica cosa che, dentro questo scenario infernale, sembra rimanere indenne allo sfacelo è la pista da corsa. Infatti, è possibile osservare come per tutto il suo perimetro essa risulti, al momento, in un buon stato di conservazione. Con quest’ultimo sopralluogo, anche questa settimana, il nostro articolo si è concluso; tuttavia, prima di spegnere definitivamente le luci del palco, voglio lasciare il lettore con una frase, molto emblematica ed attuale, scritta dal Labriola nel saggio sul Manifesto dei comunisti, 2 edizione, pag. 79 che cosi recitava: “Le lacrime delle cose si sono rizzate in piedi da sé, come forza spontaneamente rivendicatrice”.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 36 del 07/09/2007;

Memorie dal confine 38

C’è chi deposita perfino l’amianto in prossimità della vecchia discarica

Pitagora, Platone e i triangoli rettangoli ottusi!

Abbandono, degrado e inadempienza caratterizzano Parco Pignera e il giardino di Pitagora



di Romano Pesavento

“La prima cosa da conquistare sta, dunque, nelle misura, nella giustezza, nella opportunità e in tutto ciò che bisogna ritenere che, a questi simile, sia stato prescelto ed assunto da sempre (…). La seconda sta nella simmetria e nella bellezza, nella perfezione e sufficienza e in tutto ciò che appartiene a questa famiglia (…). La terza allora poni la mente e l’intelligenza (…). Al quarto posto le cose che dicemmo appartenere all’anima, ciò che chiamammo scienze, arti, opinioni vere (…) in quanto sono più vicine al bene che non il piacere (…). Al quinto allora (vanno posti) i piaceri che definimmo piaceri non dolorosi e dicemmo piaceri propri dell’animo stessa, e che sono conseguenza gli uni delle scienze gli altri delle sensazioni. (Platone, Filebo, 66a – c)
Certamente, non vogliamo “disturbare la quiete pubblica”- soprattutto considerando che le alte temperature e i diversivi di fine agosto invitano a più amene distrazioni- riproponendo letture e frasi indigeste che “non tutti capiscono” o pretestuosamente fingono di non capire. Tuttavia, i principi e le teorizzazioni espresse dal sommo filosofo Platone dischiudono alla vista di noi,sciagurati, posteri tutta una serie di concetti e comportamenti del tutto, o quasi, estranei alla condotta sociale odierna e una simile, spontanea, riflessione lascia l’amaro in bocca.
Platone proponeva una rigida visione gerarchica delle conquiste da raggiungere per dare un senso e una finalità all’esistenza umana in cui l’aspetto etico del vivere occupava una posizione del tutto prioritaria. Ai piaceri veniva riservato l’ultimo posto di questa ideale graduatoria.
A Crotone non si capisce bene che tipo di “scala di valori” abbiano ben fissa nella mente i nostri “capi”. O forse si. Dalle stelle alle stalle, è proprio il caso di dire. Passiamo dalle vertigini dell’iperuranio alle meschine bassezze di casa nostra. Esempio lampante di quanto affermato è il cartello presente su via Giovanni Falcone in cui è reso pubblico il protocollo d’intesa – Interventi di sistemazione “Parco Pignera” tra A.Fo.R. (azienda forestale regione Calabria servizio provinciale Crotone), regione Calabria – assessorato forestazione e comune di Crotone. Tale azione amministrativa di riqualifica ambientale avrebbe dovuto dar vita ad una zona verde fruibile dai cittadini che, oggi, malgrado tanti soldi pubblici spesi, si trova in uno stato di degrado e abbandono veramente spaventosi. È facile, infatti, accertarne lo stato: basta fare una ricognizione e scoprire la selva e la sporcizia che in ogni angolo imperano sovrane incontrastate. L’ingresso della struttura, per niente agibile ai visitatori, presenta erbacce molto alte che impediscono l’accesso. Una volta entrati, si possono seguire le stradine argillose interne e ammirare questo parco fantasma. Non un angolo è praticabile ed in uno stato decente: fontanelle e spazi ricettivi che dovevano caratterizzare la struttura giacciono senza vita, tenebrosi e silenti. La vegetazione invade il mio sguardo. Tutto l’insieme fa pensare ad un luogo disdegnato dagli esseri umani e praticato soltanto da insetti e animali di rango non proprio nobile.
Finito il nostro giro interno ci viene scontato chiederci che fine abbiano fatto gli enti preposti a tutelare la buona riuscita e la salvaguardia dell’opera nel tempo. Forse si sono sciolti come ghiaccio al sole? Oppure si stanno alacremente attivando per realizzare una struttura analoga a parco Pignora? Viene anche spontaneo domandarsi, vedendo il cartello: è possibile che il comune di Crotone e l’A.Fo.R. non siano in grado di gestire e sorvegliare una piccola area verde? Naturalmente, ogni sospetto verrebbe meno se improvvisamente il cartello scomparisse nel nulla e con esso ogni traccia di simili contraddizioni.
Proprio in prossimità di tale complesso, noto un cartello che indica la realizzazione di un progetto per la realizzazione della strada parco corso Matteotti – via Saffo. Su tale insegna sono riportati tutti dati riguardanti le parti coinvolti nei lavori di realizzazione dell’opera. Mi guardo intorno e non si vede niente che lascia presagire una possibile realizzazione infrastrutturale. Forse tale targa è stata affissa in un posto sbagliato? La cosa che mi rende ancora più perplesso è la data di fine lavori. Infatti, la consegna della strada avrebbe dovuto essere effettuata giorno 08 febbraio 2006. Cosa che, come risulta evidente, non si è verificata. Proprio a qualche minuto di cammino da qui, si può notare un’altra significativa inadempienza: il parco telematico di Pitagora. Certo un cittadino qualunque può trovarvisi di fronte e leggere le informazioni apposte sull’apposito cartello di routine. Anche per tale struttura si può facilmente rilevare che, nonostante la presenza delle notizie generali e l’enunciazione dettagliata dei costi dell’appalto, il parco doveva essere ultimato per data 08 luglio 2007. Neanche questo è avvenuto. L’ultima nota dolorosa del nostro reportage riguarda la vecchia discarica di fondo farina. Giusto nelle sue vicinanze, qualcuno si diletta a depositare indisturbato le tegole d’amianto. Naturalmente tutto ciò a scapito della salute degli onesti e ignari cittadini.
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 35 del 31/08/2007

Memorie dal confine 37



Ai quanti paroli, e i fatti duvi su?


di Romano Pesavento

Ecco ci qua di ritorno dalle vacanze a Crotone. Tutto sommato l’atmosfera estiva, per certi versi, ha potuto distogliere efficacemente l’attenzione dei cittadini e di qualche turista ardimentoso dal tanfo e dalla vista sgradevole dalle “cattive azioni” amministrative; ma adesso che la nostra provincia riprende il ritmo consueto, di che cosa parlano e si interessano i nostri onorevoli politici? Discorrono e si azzuffano sui favoritismi o sul clientelismo che si rimproverano l’uno con l’altro e che ognuno dichiara, invece, estraneo al proprio operato politico. Intanto, ci ritroviamo, improvvisamente, proiettati nel clima della lotteria di fine anno: sembra di scorgere la dea bendata, intenta ad estrarre dal suo saccoccio, uno per uno, i nomi dei “fortunati vincitori”. Figli, cugini, parenti di ogni grado appaiono dal niente per rimanere ancorati per l’eternità al posticino astutamente procacciato dal consanguineo potente e lungimirante di turno.
Detto questo, addentriamoci questa settimana in un giro ricco di notizie per le strade della città, alla scoperta di come si tenta di abbellire in maniera originale i muri e gli edifici di Crotone e di come problemi sociali e urbani vadano sempre a braccetto con lo stato di degrado in cui diverse zone centrali si trovano da ormai molto tempo. Il nostro viaggio inizia in via Giovanni Paolo II. Infatti, proprio qui, è possibile osservare alcuni murales che riproducono sotto forma di satira vignettistica il malcontento sociale che si annida nella popolazione. Quando si dice che l’effetto di una pessima condotta politica sia del tutto indifferente alla comunità, perché avvezza ad un simile andazzo da sempre, non è, evidentemente, del tutto corretto; naturalmente non intendiamo, come facevano alcuni critici, ricavare profonde elucubrazioni mentali da “quattro scarabocchi” o sostanziare di chissà quali profondi concetti esternazioni senza pretese. Tuttavia, poiché i murales sono il frutto di una forma di “cultura” pop - che attinge i propri umori dalla strada - e costituiscono un prodotto tipicamente giovanile, è significativo che i ragazzi, apatici per definizione, abbiano potuto esprimersi in questi termini circa la realtà, supponiamo, crotonese. Infatti, in una di queste realizzazioni, molto colorata e caratterizzata da segni grafici decisi, si legge a chiare note il messaggio: “Ai quanti paroli, e i fatti duvi su!”. Ci sentiamo di aderire totalmente alle parole di questo novello “pasquino”.
Basta proseguire un po’ lungo il nostro percorso ed arrivare nel quartiere dell’unitaria per scoprire quanto sia elevato lo stato di abbandono. Montagne di rifiuti traboccano in prossimità, e non solo, dei cassonetti municipali; inoltre, di fronte ad un campetto di calcio abbandonato e depauperato si scorgono cumuli di detriti di ogni genere. A guardare un simile, desolante, spettacolo, sembra di scoprire i resti di un’epoca ormai trascorsa e non più ripetibile. Un’età lontanissima in cui alcuni quartieri erano, perlomeno, supportati ed attrezzati da strutture accettabili, comunque atte a fornire momenti di svago per il tempo libero delle famiglie. Proseguendo il nostro tragitto e giungendo in viale stazione è possibile individuare un murale alquanto caratteristico. Chi poteva immaginare un’associazione ardita tra il sommo Leonardo Da Vinci e il cornetto? In tale figura è rappresentato l‘uomo vitruviano con aggiunta simpatica di cornetti.
Nonostante il caldo afoso, il viaggio continua ed in prossimità di corso Mazzini, proprio a due passi dal centro, mi appare davanti un campo rom. Le roulotte, i panni stesi, la spazzatura accatastata ovunque erano proprio lì, senza che nessuno intervenisse. Senza dubbio una simile qualità di vita è da definire deprecabile sia per i crotonesi situati nei dintorni del luogo citato che per i rom: essi privi di qualunque condizione igienica sicura o accettabile si sono collocati in una sistemazione del tutto precaria e insoddisfacente. Occorre l’intervento immediato degli organi pubblici competenti, allo stato attuale completamente assenti, affinché si possa trovare una soluzione proficua per entrambe le parti. Sicuramente la città, attualmente, non fornisce di sé un bello spettacolo: abbandono e degrado ambientale/sociale fin dentro al cuore di Crotone non si erano mai visti. È importante che la nostra provincia si dia un colpo di cipria con le numerose iniziative estive, tese a richiamare pubblico e turisti, ma se il “panorama urbano” si offre così desolatamente squallido e le vie principali si presentano invece fortemente trascurate e, per certi versi, malsicure, che tipo di interesse o entusiasmo autentico si può mai sperare di suscitare nell’animo degli eventuali visitatori?Infine sono giunto in via Gioachino da Fiore, dove sono in bella mostra molti murales, anche in prossimità della locale scuola, il cui giardino abbandonato si presenta “decorato” con figure di diversa tipologia sparse dappertutto. Ci auguriamo che i nostri amministratori possano riflettere su tutto questo ed intervenire su tutto questo.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 34 del 24/08/2007;

Memorie dal confine 36

Urge mettere in movimento tutte le riserve di volontà ed abbattere i tanti ostacoli di una condotta passiva ed indifferente

Le sonnacchiose talpe crotonesi stanno a guardare…!

Interessi pericolosamente privati si muovono nell’ombra, coperti da parole “pindariche” e vuote di significato



di Romano Pesavento

A quindici anni ci si può già sentire falliti, residuati di una provincia sommersa che, probabilmente, mai vedrà la luce. Si è semplicemente puri consumatori di merci, per lo più cinesi, perché non c’è alcuna possibilità oggi di essere protagonisti - almeno! - della propria vita. Un tempo l’ammirazione per le persone famose, per chi era stato capace di esprimere – nella musica o nella letteratura, nello sport o nella politica – un valore più alto, più universalmente condiviso, spingeva i giovani all’emulazione, li invitava a uscire dall’inerzia e dalla prudenza “mediocre” dei padri. Grazie ai grandi, si cercava di essere meno piccoli. Attualmente domina un’altra logica: chi è dentro è dentro e chi è fuori, è fuori per sempre. Fuori da cosa? Dai meccanismi “giusti”, quelli che ti permettono di arrivare, qualunque sia la tua aspirazione da velina a vigile urbano, senza grandi sforzi. I sacrifici si riservano agli altri, agli sfigati - il termine è volgare, ma rende benissimo sia il concetto in sé che il punto di vista di un giovane targato 2007 - Chi fortunatamente ce l’ha fatta, avrà una vita vera, tutti gli altri sono condannati a essere spettatori e a razzolare nel nulla.
E’ indubbio che la società, soprattutto quella crotonese, così come si è costituita, o meglio così come è stata “edificata”, è diventata una giungla, un ring, in cui vince chi è più forte; tuttavia, non sempre il più forte è il migliore.
Forse è per questo che all’impegno personale non si attribuisce più alcuna importanza; forse è per questo che le “scorciatoie” risultano lo strumento d’affermazione individuale più efficace ed agognato. Di certo, se si parla ad un adolescente di lavoro, di serietà e di tensione morale per il conseguimento di un obiettivo, si susciterà nella maggior parte di casi una nevrotica ilarità e il commento traboccante sarcastico compatimento: “Ma dove vive questo?” . Le responsabilità di un simile stato di cose - e tale opinione non corrisponde a ragioni di mero “giovanilismo”, oggi cavalcato un po’ da tutte le correnti politiche per questioni di utilità o immagine – appartengono, sfortunatamente, tutte agli adulti. Agli adulti che non hanno saputo - o voluto - creare e tutelare le occasioni di lavoro; agli adulti che forniscono un pessimo esempio con una condotta moralmente inqualificabile; agli adulti che si preoccupano enormemente (!) del futuro, sì, delle generazioni più giovani, ma soltanto quando di mezzo c’è un vincolo di parentela effettiva o acquisita.
Insomma, nessuno potrà confutare questa banale, perchè lampante, verità: i ragazzi sono diventati lo specchio di una società allo sbando, sfiduciata e “rosa” da molteplici e furiosamente famelici tarli. Di fronte ad una prospettiva così desolante vengono in mente alcuni versi di Umberto Saba: “Spunta la luna./ Nel viale è ancora/ giorno, una sera che rapida cala./ Indifferente gioventù si allaccia;/ sbanda a povere mete…..” (U. Saba, Sera di Febbraio)
Una simile descrizione ci restituisce in tutto un’immagine che può ben adattarsi alla condizione del giovane frustato crotonese medio, che, senza mete e senza aspirazioni, si dibatte in un contesto bruciato dalla vergogna. In realtà, l’odio, l’invidia, il clientelismo, la mafia appiattiscono, omologano e riducono al silenzio le coscienze individuali e quella, forse più importante, collettiva. Modelli da seguire, purtroppo, nella mia città non se ne vedono molti. Osservo piuttosto muoversi nell’ombra, coperti da parole “pindariche” e vuote di significato interessi pericolosamente privati. E le sonnacchiose talpe stanno a guardare dai margini delle loro comode tane.
Interessante e ricco di contenuti è invece il passo di gramsciana memoria che, per certi versi, ci riconduce sulla terra ferma dal “mare” di confusi e sovvertiti valori in caotica confusione, richiamandoci ai veri doveri e al significato più autentico della parola “coerenza ideologica.” A volte, nel vuoto più assoluto, può esistere qualche “piccolo moscerino” che, in preda a raptus di idealismo, indigesto per i più, si innalza e vola al di sopra delle roboanti onde magnetiche di massa.
“Mi pare che siano quasi ventidue anni da che ho lasciato la famiglia; da 14 anni poi sono venuto a casa solo due volte nel 20 e nel 24. Ora in tutto questo tempo non ho mai fatto il signore; tutt’altro; ho spesso attraversato dei periodi cattivissimi e ho anche fatto la fame nel senso più letterale della parola. A un certo punto questa cosa bisogna dirla, perché si riesce a rassicurare. Probabilmente tu qualche volta mi hai un po’ invidiato perché mi è stato possibile studiare. Ma tu non sai certamente come io ho potuto studiare. (…) Perché ti ho scritto tutto ciò? Perchè ti convinca che mi sono trovato in condizioni terribili, senza perciò disperami, altre volte. Tutta questa vita mi ha rinsaldato il carattere. Mi sono convinto che, anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria vita.” (A. Gramsci, La formazione dell’uomo, Lettera a Carlo Gramsci, 12 settembre 1927, Editori riuniti, 1974, pag. 554)
Non se ne può proprio più di assistere, come dicono facesse Nerone, compiaciuti e sereni al disfacimento di una intera città. Crotone non brucia, ma i cattivi odori si sprigionano da ogni luogo comunque. Tra l’altro, secondo alcuni storici, sembra che l’imperatore volesse ricostruire daccapo Roma e che quindi l’aberrante incendio potesse avere un qualche risvolto di logica, seppur malata. Qui è poco plausibile e realistico, allo stato e alle condizioni attuali, aspettarsi che dalla distruzione possa risorgere alcunché.
Indubbiamente oggi, in fondo, a Crotone, nessuno e dico nessuno – per utilizzare un’espressione cara a Totò - mette in discussione il sistema (come si diceva un tempo); si chiede solamente un posto al sole o, meglio, un posto dove parcheggiare le proprie natiche in attesa che possano impinguare a dovere. Eppure non si comprende un concetto semplicissimo: rimanendo passivi e inerti come capponi, la possibilità di veder, appunto, “prosperare” le già citate natiche diventa sempre più remota.
Scoraggiarsi e buttare la spugna è una tentazione più che giustificabile: lo sfacelo intorno e la crisi violentissima che investe ogni aspetto della vita pubblica e privata di Crotone quasi lo esigerebbero.
Ebbene, proprio in questi momenti di profondo -e non immotivato- sconforto bisogna far appello alle proprie ultime risorse morali e tentare, ciascuno nel proprio piccolo, di inseguire il proprio “sogno” personale di normalità. In tal senso, l’ultima testimonianza da proporre ai lettori è veramente emblematica e “ispiratrice”: “Il mio stato d’animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l’intelligenza, ma ottimista per la volontà. Penso, in ogni circostanza, all’ipotesi peggiore, per mettere in movimento tutte le riserve di volontà ed essere in grado di abbattere l’ostacolo. Non mi sono mai fatto illusioni e non ho avuto mai delusioni. Mi sono specialmente sempre armato di una pazienza illimitata, non passiva, inerte, ma animata di perseveranza. Certo oggi c’è una crisi morale molto grave, ma ce ne sono state nel passato di molto più gravi…” (A. Gramsci, La formazione dell’uomo, Lettera a Carlo Gramsci, 19 dicembre 1929, Editori riuniti, 1974, pag. 558)
Volontà e perseveranza, come lo stesso Gramsci dichiarava, possono tanto; soprattutto, però, è la lucidità, priva di faciloneria, a suggerire il giusto comportamento. Le crisi di svariata tipologia (morali, economiche, politiche) – come ammoniscono i libri di storia – si susseguono ad intervalli più o meno regolari nella vita degli esseri umani. È, tuttavia, nella possibilità e responsabilità degli stessi affrontarle con caparbio coraggio. Tutto dipende dall’autentica natura dell’interesse che si nutre nei confronti della società alla quale si appartiene.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 32 del 10/08/2007;

Memorie dal confine 35



La competizione mondiale non avviene più soltanto tra imprese, anche tra sistemi urbani

Il cilindro del prestigiatore non ha più conigli

Il verde pubblico è diventato sempre più una chimera; il centro storico un serbatoio vuoto ed abbandonato; le identità culturali luoghi comuni seppelliti tra le macerie


di Romano Pesavento

Se ci guardiamo intorno in cerca di buone notizie, viene immediato oggi, a Crotone, rimanere profondamente delusi. Niente di nuovo e di creativo si profila intorno a noi. Nonostante in molte città italiane i cittadini abbiano riscoperto il senso di appartenenza ai luoghi urbani, qui tale sentimento sembra essersi improvvisamente disciolto come un ghiacciolo nel caldo di un pomeriggio torrido. Il verde pubblico è diventato sempre più una chimera; il centro storico un serbatoio vuoto ed abbandonato; le identità culturali luoghi comuni seppelliti tra le macerie. Per non parlare delle nostre produzioni locali, sempre più punti incogniti nelle politiche pubbliche di marketing territoriale. Anche le famose strade di Bacco si sono ormai perse nel vuoto.
Intorno al degrado urbano, poi, si è sviluppata una nuova economia criminale che rappresenta, attualmente, un serio pericolo, nonché un forte fattore di rischio, per un eventuale miglioramento della qualità della vita nel nostro contesto.
Si tratta, quindi, di un fenomeno gravissimo da tenere sotto controllo e che può causare risultati devastanti. È necessario al più presto rilanciare l’economia della qualità urbana. Tutto ciò significa non solo cura e tutela del passato, ma soprattutto l’invenzione del futuro; non solo il buon vivere ma anche il produrre moderno. Per esempio, la zona franca urbana, ultimamente concessa, potrà avere una ricaduta positiva sull’economia locale solo se inserita adeguatamente in un sistema economico integrato.
Occorre, quindi, pensare a fare politiche volte a curare la creatività dei luoghi, non soltanto come memoria del passato, ma come crogiuolo dell’invenzione moderna. Ciò significa non esclusivamente buon governo amministrativo, ma sopratutto progetti per potenziare i servizi, luoghi di espressione delle sensibilità giovanili, ricchezza multietnica, etc. Lo sviluppo locale è una dimensione decisiva dell’economia moderna. La competizione mondiale non avviene più soltanto tra imprese, anche tra sistemi urbani.
Eppure tutte queste considerazioni possono sembrare ai più o effetto di un poderoso colpo di calore, oppure “acqua fresca”, vano vocio, dal momento che dovremmo essere già impegnati a risolvere ben altri problemi -spaventosamente- di urgente necessità, prima di dedicarci ai voli pindarici, ai sogni di grandezza. In realtà, alla base delle imprese importanti c’è sempre un progetto ambizioso a monte. Tuttavia, non “per farsi del male”, ma solo per partire dalla reale situazione cittadina, è bene spendere due parole proprio sullo stato attuale di salute, pessimo, di Crotone.
Parliamo di salute perché Crotone è veramente malata; non c’è settore cittadino che sia accettabilmente funzionante. Inoltre, per essere chiari e incisivi, Crotone è diventata sporca, brutta, cattiva, giusto per citare, parafrasandolo, il titolo di un vecchio film. L’immondizia sparsa ovunque è indice di progressivo abbrutimento e degradazione morale anche negli abitanti: chi non protesta contro tale abbandono o segnala con i mezzi a propria disposizione il proprio scontento -anzi, contribuisce con il proprio operato alla cronicizzazione di una simile, squallida, situazione - è già, abbondantemente, alla frutta. In ogni senso.
Non importa niente a nessuno, si direbbe, dai politici locali ai crotonesi stessi. Anche se qualcuno, raramente, prende posizione in merito, si ritrova davanti ad un muro di indifferenza ed inerzia insormontabilmente invincibile.
Purtroppo, quello che si ritrova in giro per le strade, piazzette anche centrali (piazza Alcide De Gasperi, piazza Umberto I, etc.) della nostra provincia non è da ignorare. Qui non si tratta semplicemente di “innocui” resti di cibo, bottiglie vuote di svariato materiale, bucce di cocomeri o pannolini profumati appartenenti a bimbi di ogni età il cui effetto può “risolversi”, magari, in una “banale” epidemia, secondo la tradizione, con tutto il sapore dei bei vecchi tempi andati; in questo caso, ci si ritrova, invece, a contatto con materiale elettrico (batterie, pezzi meccanici, lastre di eternit, amianto, ecc.) e toponi randagi estremamente nocivi per l’incolumità dei cittadini.
Se qualcuno pensasse ad una sorta di ingiustificato allarmismo, giusto per vendere qualche copia del settimanale in più, vada personalmente a dare un’occhiata nei luoghi vicino alla banchina industriale del porto e scoprirà che la realtà è ben peggiore di quanto le fotografie proposte in quest’articolo possano testimoniare.
In fondo, gli esseri viventi possiedono sorprendenti capacità di adattamento: insetti, rettili e ratti possono prosperare ovunque, è stato ampiamente documentato dagli esperimenti scientifici. E pazienza per gli esseri umani. In conclusione, possiamo ritrovare anche questa settimana la morale della nostra favola nelle eloquenti parole di Orazio: Populus me sibilat at mihi plaudo ipse domi, simul ac nummos contemplor in arca. (Il popolo mi fischia, ma io mi applaudo da me, a casa mia, quando contemplo le mie ricchezze in cassaforte)



Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 31 del 03/08/2007

Memorie dal confine 34

Crotone sembra aver raggiunto il suo livello massimo di abbandono, quasi un punto di non ritorno


Tour per le aree verdi della città tra zecche in fiore e topi con le ali!


Vetri e spazzatura sparsi ovunque sono da contorno ad atti vandalici “perpetrati” ai danni di qualunque superficie pubblica


di Romano Pesavento

Il 22.07.2207 è stato un giorno veramente caldo, talmente caldo che persino i pesci sembravano boccheggiare in mezzo al cristallino mare - sapor di mercurio! - alla ricerca di acque più fresche. E così, verso le 19.30, mentre il sole si accingeva al tramonto, ho deciso di uscire di casa per effettuare un giro per la città. Obiettivo del mio tour: appurare lo stato di salute di alcune aree verdi nel centro urbano. D’altra parte, si dice comunemente che il livello di civiltà di un popolo si misuri anche dal rispetto e dal senso civico manifestati nei confronti di strutture di pubblica utilità o collettivamente condivise.
Pertanto, la prima meta del mio percorso era già stabilita: il parco dei glicini. Arrivato sul luogo, ho visto subito il cartello d’ingresso. Su di esso si leggeva il nome del parco e l’orario di apertura e di chiusura (8.00-19.00). Il fatto stesso che il cancello fosse aperto stava a testimoniare che qualsiasi essere umano (turista e non) poteva accedervi liberamente. Entrato all’interno, si è presentata subito di fronte alla mia vista una terribile visione. Forse le parole non servono granché a descrivere quello che gli occhi materialmente hanno potuto rilevare. Il parco era in uno spaventoso stato d’abbandono e degrado. Vetri e spazzatura sparsi ovunque facevano da appropriato contorno ad atti vandalici “perpetrati” ai danni di qualunque superficie o struttura si ergesse in solitaria sfida alla brutalità, all’ignoranza e all’inciviltà di ignoti “bontemponi”: cassonetti pubblici dell’immondizia, marchiati da fantasiose sigle e cifre per iniziati, rovesciati in creativa dislocazione; i giochi per bambini, divelti e deformati, trasformati in pericolose trappole – quasi gabbie medievali da Santa Inquisizione -; panchine, menomate, rese irriconoscibili e inutilizzabili grazie alle “cure” dei galantuomini di cui sopra.
Al di là della violenza gratuita, che ci auguriamo sia prerogativa di pochi “eletti” e sulla quale ritorneremo non solo per dovere di cronaca ma principalmente per sforzarci di capirne le origini, sono l’indifferenza, il menefreghismo atavico nonché - ci perdoneranno gli indefessi sostenitori della “crotonesità” – il sudiciume becero e inestirpabile di noi “cittadini” a suscitare rabbia e paura. Pare che i crotonesi siano andati ovunque per motivi di studio o più mestamente per scelte obbligate di lavoro: Nord Italia o all’estero del tutto. E chi non è mai stato fuori, di certo sarà andato a scuola, vogliamo sperare, o avrà un televisore. Ebbene simili “agenti educativi” non sono bastati a sottrarci a quell’impulso ancestrale, “licantropesco” quasi, di scaraventare - con gioioso e orgasmico senso di liberazione - per strada tutto il superfluo o il fastidioso in esubero, senza attendere un cestino e senza rispetto per i beni pubblici, per gli altri e, in definitiva, per se stessi.
Già, i nostri giovani hanno imparato subito a sfidare i luoghi comuni: convivono a 12 anni, viaggiano, sanno con precisione cosa si indossa a Londra o come acconciare i capelli nel modo più trendy, ma quando si torna a casa… beh, pof! La bottiglia di birra, marca “in”, viene graziosamente collocata in bilico tra due panchine… che avveniristico senso dell’estetica!
I nostri anziani, invece, custodi indefessi e scrupolosi delle tradizioni, con devota coerenza continuano a ignorare ogni appello al senso civico e all’educazione, “scatarrando” sul marciapiede o lì dove si può, oppure abbandonando dove capita quello che capita.
Ovviamente, non si senta offeso nessuno: chi non si ritiene toccato da queste, aspre, osservazioni, perché estraneo a simili forme di inciviltà, rimanga sereno.
Di certo, purtroppo, in tanti, troppi, avrebbero qualcosa da rimproverarsi. I risultati? Una città impresentabile che suscita imbarazzo e certo non inorgoglisce. Se a qualche lettore è toccato in sorte di fungere da cicerone ad un “autentico” turista, non ai nostri emigranti in vacanza, conoscerà perfettamente quel senso di smarrimento e di vergogna, effetto inevitabile dei commenti salaci o delle occhiate di compatimento del nostro “protetto” di turno, che avvelena la gioia di accompagnare qualcuno per i “propri luoghi”.
In merito a ciò voglio, inoltre, ricordare che alla base di ogni comportamento umano c’è anche l’essere morale dell’individuo come lo stesso Georges Bataille ci spiega in un suo articolo: “Alla base di ogni morale c’è il privilegio, la dignità privilegiata dell’essere umano. Se una morale esiste è possibile in ragione del fatto che l’uomo non si relaziona ai suoi simili semplicemente dal di fuori, come un fatto, una pietra o uno strumento, ma come un che di intimo, una presenza sovrana degna di infinito rispetto, e che si mantiene nella propria sovranità con un carattere che evoca il prodigio.” (Georges Bataille, Simone Weil e il riscatto della morale, Micromega, 15/01/1996)
Il problema è che Crotone sembra aver raggiunto il suo livello massimo di abbandono, quasi un punto di non ritorno. Perfino il tanto decantato lungomare è diventato un nauseante acquitrino: nella zona nuova, dove sono collocate le conche per i giochi di acqua e luce, si ritrova di tutto: cartacce, bottiglie e resti di pizza. La stessa acqua delle vasche è maleodorante ed il colore evoca foschi sospetti.
Il molo che con i punti luminosi, di sera, sembrava proiettarti a Portofino appare ora come la passerella della vergogna: panchine imbrattate di sudiciume e materiale che non si riesce a definire, ma sulla cui natura è preferibile non indagare troppo; scritte dettagliate sulle vicende sentimentali di svariati grafomani sul cui andamento altalenante, sinceramente, preferiremmo di gran lunga non essere meticolosamente informati; infine, cartacce, pattume vario e bottiglie, bottiglie e ancora bottiglie.
Sembrerebbe che la città, guardando così dall’esterno, sia popolata unicamente da ubriaconi di birra.
Sebbene fossi piuttosto sconfortato dall’esito dei miei “incontri ravvicinati del terzo tipo”, il tour turistico prevedeva ancora un’altra tappa: la villetta posta vicino all’ex club bocciofilo della Montedison. Nonostante le pessime condizioni evidenti sin da subito, anche questa struttura risultava aperta al pubblico. All’interno: zecche e topi passeggiavano sorridenti mano nella mano, aspettando ansiosi i visitatori; montagne di rifiuti, vetri aguzzi, mattonelle divelte, erba alta facevano da adeguato sfondo a tutto l’armonico insieme. C’era, persino, un grosso albero decollato e atterrato di traverso sulla pista dei divertimenti.
Quello che ci chiediamo è: per quale motivo aree ormai “trasfigurate” da quello che erano prima e rese pericolose per la salute e l’incolumità di tutti e - specialmente - dei piccoli avventori rimangono ospitalmente agibili e aperte al pubblico? Probabilmente, si pensa che nessun genitore sano di mente condurrebbe i propri figli in luoghi del genere; però non si fanno i conti con l’intraprendenza dei ragazzini, un po’ più grandi, che, autonomamente, potrebbero addentrarsi in simili spazi ameni. Il compito dell’amministrazione dovrebbe essere quello di provvedere a bonificare le aree suddette o interdirle completamente al pubblico per motivi d’igiene. Ma nulla di tutto ciò si è verificato, in quanto i diabolici giardinetti risultano irresponsabilmente accessibili e privi di qualsiasi cartellonistica per la sicurezza e la tutela della salute pubblica. Lo slogan “Tutti al mare”, probabilmente, avrà fatto perdere le tracce dei possibili risolutori del problema. Aspettiamo fiduciosi….
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 30 del 27/07/2007

lunedì 30 marzo 2009

Memorie dal confine 33


Riconquistare le proprie radici e assaporare la Bellezza da un’altra prospettiva, fingendosi estraneo ai propri luoghi. Bel programma, non c’è che dire: poetico, commovente quasi

Le “rovine” del parco archeologico

Vegetazione selvaggia del tutto “ignara” di falciatrici o altre brutture del progresso si staglia con fierezza superiore a quella con cui si erge la Colonna di Hera Lacinia


di Romano Pesavento

Nell’abbacinante pomeriggio del 14 luglio 2007, colto da un improvviso- e insano!- raptus d’immedesimazione nei panni di un ipotetico e ardimentoso turista inglese, mi sono recato al parco archeologico di Capo Colonna con l’intento gioioso di sottopormi al tour completo: visita al museo, nostro recente nonché rinnovato vanto, e poi l’intero tragitto lacinio a ritroso nel tempo, per respirare folate di “eternità”. Entusiasmante, vero? Riconquistare le proprie radici e assaporare la Bellezza da un’altra prospettiva, fingendosi estraneo ai propri luoghi. Bel programma, non c’è che dire:poetico,commovente quasi. Forse, però, non tutti sono davvero consapevoli delle concrete difficoltà e disavventure che possono oggi incorrere ai visitatori – e non solo a quelli di nazionalità inglese!- intenzionati a percorre gli ampi spazi dei nostri siti archeologici. D’altronde, limitandosi a vedere le foto sui siti web o a sfogliare le patinate pubblicità promozionali del nostro territorio, è facile venire fuorviati. Esiste, infatti, nella nostra regione - ed ancor più nella nostra realtà cittadina - un manipolo di nostalgici - e sensibili al fascino del passato!- amministratori, il cui intento principale è platealmente dichiarare guerra, almeno nella nostra città, con ogni mezzo alla tecnologia. Ma sì, non è “cosa nostra”, o, per lo meno, gli interessi che si celano dietro a tali manovre non sono per niente “cosa nostra”: in fondo carrozze e diligenze sono ancora i mezzi di trasporto più utilizzati nel resto del mondo! Infatti, i lungimiranti signori di cui sopra, dopo tanti sforzi bisogna riconoscerlo, oggi sono riusciti perfino a “convincere” dell’utilità di quanto sostengono anche tutti coloro i quali dovrebbero, invece, promuovere i processi d’innovazione.
Ma torniamo più dettagliatamente alla mia esperienza autoptica. Giunto davanti alla bella struttura del museo archeologico e varcatane la soglia d’ingresso, alle mie domande sulle modalità per effettuare la visita dei locali, mi sono sentito rispondere da uno smarrito addetto che non era possibile procedere oltre, perché quel giorno si svolgeva un convegno all’interno del museo. Un po’ deluso ma comunque determinato, ho chiesto quando potessi ritornare sempre per il medesimo motivo. La risposta è stata alquanto nebulosa: non potevano essere fornite date certe sulla riapertura a causa di disguidi tra l’amministrazione provinciale e la Sovrintendenza dei beni culturali.
Che tristezza! Speriamo che simili incomprensioni abbiano presto fine per il benessere e l’interesse dei crotonesi: siamo in alta stagione e s’immagina che questa sia la fase clou del turismo dalle nostre parti, in quanto inscindibilmente connesso con le attività balneari.
Nonostante questo primo negativo impatto, mi dirigo fiducioso verso il parco archeologico.
Inoltratomi lungo la “passerella” in legno che conduce alla colonna, il mio sguardo ha spaziato in tutte le direzioni: intorno al sentiero tracciato l’erba è altissima; immagino che il senso recondito di un simile aspetto assolutamente “vergine” da manutenzione umana sia regalare al turista il brivido della natura incontaminata (?) crotonese. Già, la “macchia mediterranea” in tutto il suo fulgore, a quanto pare. Vegetazione selvaggia del tutto “ignara” di falciatrici o altre brutture del progresso si staglia con fierezza superiore a quella con cui si erge la Colonna di Hera Lacinia. Peccato che con una simile, lussureggiante ma ingovernabile, flora si corra il serio rischio di essere punto da qualche zecca o di incontrare qualche amabile rettilone a spasso per l’impareggiabile campagna lacinia. In fondo anche queste eventualità potrebbero rientrare nell’ambito del cosiddetto colore locale.
Quello che invece appare poco giustificabile è la sporcizia di connotazione squisitamente umana: come risulta evidente dalle fotografie che da autentico turista mi sono premurato di scattare,non mancano lattine, fazzoletti e altre sgradevoli “testimonianze del presente” in ordine sparso in tutta l’area. L’insieme (pattume + incuria) comunica un senso di abbandono e di sfascio, purtroppo, ben superiore all’ammirazione che potrebbe essere suscitata dalla bellezza dei luoghi e delle vestigia antiche.
Come più volte è stato ribadito dalle colonne di questo giornale, il senso della denuncia o della critica, lungi dall’essere fine a se stessa, deve – dovrebbe - concretizzarsi nel ribaltamento o nel miglioramento di quanto viene contestato. Duole vedere piovere sulla città depliant, opuscoli e fascicoli incentrati sulle bellezze territoriali - di certo economicamente incisivi sulla voce spese pubbliche - quando manca l’essenziale in termini di corretto funzionamento della macchina turistica.
Che se ne faranno i viaggiatori della seducente immagine dell’ennesima fanciulla in minigonna sull’ennesimo vademecum illustrato di Crotone, quando visitare per intero il parco archeologico diventa più arduo delle mitologiche imprese degli Argonauti? Speriamo non venga abbandonato,in buona compagnia insieme ad altro ciarpame, nei pressi della Colonna. Ahinoi, non si vive di solo sole, mare e sardella. Dobbiamo riconoscere che siamo ancora molto indietro rispetto all’assunzione della cultura come fattore di sviluppo, come una delle molle che acquistano sempre più centralità nella strategia complessiva di progresso di una provincia moderna, una provincia che sa vedere il nuovo. Eppure, abbiamo la fortuna, oltre che la responsabilità, di disporre di uno straordinario patrimonio di beni culturali, di tradizioni, di paesaggi che costituiscono in gran parte la nostra identità. Quella che dovrebbe distinguerci e caratterizzarci come uomini e cittadini. Occorre coltivare dunque un atteggiamento pubblico che consideri la cultura come tessuto connettivo e propulsore della crescita sociale ed economica del territorio, attraverso l’integrazione fra politiche pubbliche e iniziativa privata.
Questa posizione ci spinge oltre la logica meramente mecenatistica e oltre il semplice binomio cultura-turismo, che pure resta importante per creare ricchezza. Tale binomio va però inserito in una rete più larga. In un tessuto più ricco di investimenti culturali, anche le singole istituzioni acquistano maggiore dinamicità e l’intero territorio può crescere economicamente.
Gramsci sosteneva che cultura significa riproporre in modo consapevole e rendere condivisibili “verità già scoperte”: “Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte “originali”, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, “socializzarle” per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto “filosofico” ben più importante e “originale” che non sia il ritrovamento da parte di un “genio” filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali.” (cit. Gramsci A., Antologia popolare degli scritti e delle lettere, Editori Riuniti, 1957, pag. 276)
Tale concetto è assolutamente illuminante nella sua immediatezza perché risulta alla base della trasmissione del sapere e della collaborazione proficua tra uomini appartenenti ad un medesimo humus territoriale e culturale. La condivisione non è altro che la nota partecipazione cantata da Gaber.
In conclusione, invece, possiamo sconsolatamente affermare che, allo stato attuale, siamo tutti a cavalcioni dello stesso ramo di pero che, con indicibile lena, ci accaniamo a segare. E’ una frase, forse per alcuni, troppo semplice? Non c’è dubbio. Troppo drastica? Non credo. Sostenere senza mezze misure - ed anche un po’ brutalmente - l’urgenza dei problemi connessi al rapporto complesso e conflittuale che corre tra tutela dei beni culturali e gestione politica non ha a che vedere col catastrofismo; d’altronde, basta osservare quanto altri stanno già attuando agevolmente in merito a tale problematica per capire quanto tempo abbiamo perso e quanto tempo stiamo, sfortunatamente, perdendo.



Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 29 del 20/07/2007;

Memorie dal confine 32

Approfondire tutto ciò che non si capisce. Discutere e chiedere chiarimento di ciò che non è chiaro. Dichiarare la guerra al formalismo a tutti i tipi di formalismo.

Visioni oniriche nell’Estate Crotonese

Ambiguità di espressione e piglio marziale sono da sempre ingredienti fondamentali dell’indigesto polpettone crotonese


di Romano Pesavento

In questo caldo d’estate, di ritorno dall’Italia, seguendo la scia delle molte riunioni ed iniziative politiche crotonesi, mi trovai una notte a vagabondare tra sogni strani, fantasmagoriche apparizioni e visioni ipnotiche. In mezzo ad un simile, sconcertante, caos mi angosciai profondamente: tali inquietanti immagini sembravano evocare, come un quadro surrealista, le contraddizioni, le stranezze e le ambiguità della realtà circostante.
Voglio quindi raccontare ciò che ho “visto”, pardon, sognato, sperando di non ripetere più esperienze del genere.
Primo round.
Come giovani cocuzze, smaniose di diventare mature, stavano sbalorditi, in attesa, ascoltando le parole del cucuzzaro. I loro visi vagamente “ittici”; i loro sguardi in preda allo stupore del vuoto guizzavano alla rinfusa, come sardine disorientate in mari troppo azzurri e profondi; i loro capelli così ben curati emanavano odori salmastri che saturavano la sala di acri effluvi. Nessuno osava interrompere il flusso delle parole roboanti dell’oratore appassionato e “ispiratissimo”, anche perché tutti sapevano che poco bastava per finire allo spiedo con quattro patate di contorno, condizione che, di per sé, non è auspicabile per nessuno. L’applauso era d’obbligo; ma solo quando i gran maestri lo permettevano. Pertanto si aspettava sempre un cenno, la claque, o, magari, un bel colpo di pistola, come nelle competizioni sportive, dal momento che anche lì si gareggiava…. A chi era più in vista, a chi era più popolare, a chi era più influente, a chi era più… Ai vincitori si distribuivano lecca, lecca e cioccolatini: cosa altro desiderare? Forse non si premia da sempre chi è più conforme alla condotta da tutti condivisa?
Per una situazione del genere, mi venivano in mente alcuni versi di due poesie di Trilussa: “Un pappagallo recitava Dante:/ “Pape Satan, pape Satan aleppe…”/ Ammalappena un critico lo seppe/ corse a sentillo e disse: - È impressionante!/ Oggiggiorno, chi esprime er su’ pensiero/ senza spiegasse bene, è un genio vero:/ un genio ch’è rimasto per modestia/ nascosto ner cervello d’una bestia./ Se voi l’ammirazzione de l’amichi/ nun faje capì mai quelo che dichi.” (Trilussa, Pappagallo ermetico, 1937)
“Er gatto entrò in cucina e rubbò un pollo./ Er Coco se n’accorse e, detto fatto,/ je corse appresso e l’agguantò p’er collo./ – Ma questa è incomprensibile! – disse er Gatto –/ Nun hai visto che porto/ la collarina nera con un bollo,/ e chi cià questa qui, nun ha mai torto?/ E tengo, pe’ de più, la protezzione/ d’un pezzo grosso de li più potenti,/ che me le manna tutte quante bone… -/ Er Coco che capì la situazzione/ se mise su l’attenti./ Conosco più d’un gatto ch’è disposto/ a vende er fumo pe’ magnà l’arrosto.” (Trilussa, Venditore de fumo, 1939)
Il concetto è molto semplice: ambiguità di espressione e piglio marziale sono da sempre ingredienti fondamentali dell’indigesto polpettone crotonese. I venditori di fumo, quelli che da eccellenti imbonitori di piazza riescono a rifilare autentiche patacche ai creduloni, hanno sempre, chissà perché, suscitato una considerevole ammirazione e un discreto – a volte oceanico – seguito tra gli elettori. Però.
Il però, nella fattispecie, diventa sostanziale quando al di là delle chiacchiere, il piatto piange. Quando si toccano i sacri cordoni della borsa, anche il più refrattario alle ideologie politiche - o alle beghe di potere - si deve rendere conto dell’incredibile spreco di risorse pubbliche a vantaggio dei soliti noti.
Possibile che con una sequenzialità così allarmante personaggi in vista della città siano coinvolti in attività losche o in procedimenti penali volti all’ accertamento di eventuali responsabilità in fatti illeciti? Deve essere tutto colpa dell’invidia o di oppositori politici traffichini e malvagi,sempre propensi a screditare “i giusti”. Chi sono “i giusti”? Quelli che indefessamente si sacrificano per il bene di tutti e, soprattutto, per fare funzionare al meglio ogni singolo settore della città: giudicando dai risultati concreti, si può evincere come Crotone abbondi, fortunatamente, di simili integerrimi personaggi.
Secondo round.
Ero lì, seduto sotto l’ombrellone, alla ricerca disperata dell’ombra fresca che mi consentisse di leggere le notizie quotidiane dei giornali in santa pace (?), quando, ad un tratto, mi accorsi che lungo la riva di fronte a me si dipanava un’ amabile scenetta: un faraone, con la cresta variopinta, circondato da alcuni cittadini, preoccupati per l’avvenire di Crotone e intenti a chiedere lumi sulle sorti della stessa, stava rilassato a godersi il sole, nonché il “delizioso” delirium tremens degli afosi problemi degli abitanti. Più l’elenco delle disgrazie crotonesi s’infittiva, più un’olimpica, invidiabile e distaccata calma si diffondeva sul suo placido volto. Visto da lontano, mi sembrava che i suoi pensieri emigrassero pacificamente e inesorabilmente verso mondi remoti, lontanissimi da noi e dalle nostre miserie: Carabi, Cuba o magari il generoso, stipendio che la prestigiosa carica comportava. Infatti, perché pensare alle disgrazie altrui quando proprio quest’ultime sono direttamente o indirettamente fonte delle proprie fortune? Perché la coscienza e il senso di responsabilità e l’onestà lo dovrebbero imporre.
L’onestà è il bene più pregiato e raro. Onestà significa non soltanto comportarsi in modo corretto, ma anche agire in modo misurato, consapevole dei propri mezzi e delle proprie possibilità,per non tradire se stessi e gli altri. In merito a quest’ultimo concetto, rileggiamo quanto sosteneva Nietzsche:“Non vogliate nulla al di sopra delle vostre capacità: c’è una terribile falsità in coloro che vogliono al di sopra delle loro capacità.
Specialmente se vogliono grandi cose! Giacché provocano diffidenza verso le grandi cose, questi sottili falsificatori e commedianti: - finché diventano falsi davanti a se stessi, guerci, verminai imbiancati, ammantati di parole forti, di virtù di facciata, di opere false e luccicanti.
Fate qui uso di sana prudenza, o uomini superiori! Niente invero è per me oggi più prezioso e raro dell’onesta.” (Nietzsche F., Così parlò Zarathustra, Rizzoli, 1993, pg. 321)
E’ proprio vero: più gli obiettivi sono ambiziosi, più pescano sciaguratamente nella falsità e nella corruzione, se non sono supportati da adeguati capacità e meriti. Il risultato? “Opere false e luccicanti”. Il punto è che, al di là di accorte “dorature” e qualche tocco di stucco ben assestato, si conclude ben poco di significativo in città e i Crotonesi, per quanto rintontiti dal caldo e dalle difficoltà personali, incominciano a capirlo a dovere.
In conclusione, vorrei proporre una testimonianza antidoto alla “vita vegetale” e passiva che si prospetta tristemente per i giovani crotonesi. Se non garba l’aggettivo “comunista”, ognuno in base al credo politico personale può sostituirlo con altro, ma l’idea di fondo resta quella: credere con fervore e operatività nel proprio ideale politico e crescere intellettualmente rimangono gli unici strumenti di elevazione per chi intenda rimanere padrone di se stesso, delle sue azioni e del proprio avvenire.
“Io credo che la prima cosa che deve contraddistinguere un giovane comunista sia l’onore che prova a esserlo. Quell’onore che lo porta a mostrare a tutti la sua qualità di giovane comunista, che non si esaurisce nella clandestinità, che non si riduce ad una semplice formula, ma anzi viene espresso in ogni momento, perché esce dall’anima, e il giovane comunista ha interesse a mostrarlo, perché per lui è un orgoglio.Insieme a questo, un grande senso del dovere verso la società che stiamo costruendo, verso i nostri simili come esseri umani e verso tutti gli uomini del mondo. Oltre a questo, una grande sensibilità di fronte a tutti i problemi, una grande sensibilità di fronte all’ingiustizia, spirito anticonformista ogni volta che sorga qualcosa che non va, chiunque l’abbia detto. Approfondire tutto ciò che non si capisce. Discutere e chiedere chiarimento di ciò che non è chiaro. Dichiarare la guerra al formalismo a tutti i tipi di formalismo.” (Ernesto Che Guevara, Què debe ser un joven comunista? Discorso tenuto durante la commemorazione del II anniversario della unificazione del movimento giovanile, 20 ottobre 1962, Baldini & Castoli, 1997)


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 28 del 13/07/2007;

Memorie dal confine 31

La cultura è un “affare” polveroso, sacrificante, sacro. Essa comporta dedizione, esercizio e “ascesi”.

C’è cultura e cultura…!

La politica strumentalizza e fagocita tutto ciò che alimenta il proprio funzionamento; promuovere cultura, in termini politici, significa troppo spesso autopromuoversi


di Romano Pesavento

“La cultura è atto di libera scelta personale. La politica è forzata aderenza ad una condizione economica. Allorché la cultura diventa subordinata alla politica perde la sua essenza e le sue capacità di difesa dei valori che ha scelto.
Ma deve la politica aiutare la cultura? Sì, ma deve aiutarla ad essere quella che può soltanto essere.
D’altra parte, la libera scelta è atto già politico e per questo la politica deve dare credito alle battaglie che la cultura compie, senza rifugiarsi nell’astrazione di presunti valori assoluti.” (Gramsci A., La formazione dell’uomo, Editori Riuniti,1974)
Questa settimana partiamo da alcune riflessioni di Antonio Gramsci su un tema assai controverso e di natura fortemente complessa: il rapporto cultura/politica. Innanzitutto, già definire il concetto di cultura in sé è impresa assai ardua, anche se mai come in questi tempi sciagurati è tutto un continuo appellarsi - accoratamente – al supremo valore della cultura. Già, pare che al giorno d’oggi tutto sia diventato magicamente e bulimicamente cultura: da saggi di danza sgangherati di fine anno eseguiti con sussiego da ballerine spesso sgraziate, in carne e completamente negate per l’arte di Tersicore, alle sagre di crustoli, patate e bolliti di varia consistenza e “identità”. Per non parlare di altre manifestazioni, immancabilmente definite come “culturali”, come mostre di autentici “mostri” - per citare i Peanuts –, vale a dire le terrificanti esposizioni di opere in tecnica mista di giovani e improbabili artisti in via di affermazione! O le “mitiche”, promozionali, sfilate di abiti da sposa e non, con relativo contorno di sgambettanti e giulive – magari studentesse universitarie - miss Gengiva gioiosa o miss Polpaccio persuasivo. Che manchi proprio qui la cul tura è un’eresia, ne conveniamo.
Che dire poi delle attività sportive - e invariabilmente “culturali” anch’esse, come insegnano le nostre mai (!) dimenticate radici magno- greche-? Dalla corsa dei sacchi, alla gara a chi ingolla più cocomero, a Ferragosto tutto fa brodo. Pardon, cultura!
Dulcis in fundo: i convegni. Che aria di approfondimento e di arricchimento spirituale si respira in queste occasioni: mentre si dibatte un argomento “culturale” - Filolao, Pitagora, l’estinzione della formica verdognola del Venezuela - i pochi astanti vengono colti da improvvise “botte di sonno”, mentre la palpebra frana rovinosamente e ingloriosamente. Come mai? Forse non si è all’altezza dei colti ed eloquenti relatori di turno, giunti appositamente per noi dalla dotta università di X; forse quest’ultimi non sono poi così magnetici o forse il tema in oggetto, in realtà, non suscita interesse.
Dunque, da quanto detto fin ora, si evince che la cultura è questione ben diversa dalle, chiamiamole così, svariate forme d’intrattenimento - più o meno riuscite - elencate sopra forse con eccessivo, ma non immotivato, sarcasmo.
La cultura è un “affare” polveroso, sacrificante, sacro. Essa comporta dedizione, esercizio e “ascesi”.
Non è “divertente” nelle sue forme più alte e nobili, perché comporta riflessione, tempi lunghi.
Eppure implica un profondo appagamento spirituale per chi vi si dedica con metodo e passione. È una scoperta; è una ricerca che si snoda tra ostacoli e battute d’arresto. Ma che gratifica e incoraggia. La cultura è nella sua essenza più pura, come ammonisce Gramsci, libertà.
Libertà di aderire, rifiutare, condividere, trasmettere, innovare, conservare, dissentire e soprattutto azzerare secoli e distanze geografiche. La cultura dovrebbe -e qui il condizionale è proprio d’obbligo – essere preservata, proprio per queste sue caratteristiche intrinseche, dall’asservimento al potere; eppure, sappiamo bene quanto questo sia stato - e sia difficile da realizzare: basti pensare ai totalitarismi,ai regimi dittatoriali o a forme censorie di potere più subdole ma non meno “offensive” nei confronti della libertà di ricerca ed espressione.
La politica, nei riguardi della cultura, sostiene Gramsci: deve aiutarla ad essere quella che può soltanto essere.
Obiettivo, purtroppo, utopico, specie nella nostra città: di solito la politica strumentalizza e fagocita tutto ciò che alimenta il proprio funzionamento. Promuovere cultura, in termini politici, significa troppo spesso autopromuoversi.
Da qui, il proliferare di tante iniziative che poco o nulla hanno di “culturale”, ma che magari contribuiscono sostanziosamente a rastrellare voti o cementare amicizie, legami e strategie.
Questo meccanismo perverso è decisamente quanto di più alieno ed ostile alla cultura possa esistere.
La cultura, nome astratto per antonomasia, vive appunto di “astrazione”, di “immaterialità”, di puro spirito; ciò non significa, tuttavia, che essa sia estranea ai problemi attuali e di ordinaria “disperazione”; anzi, la cultura autentica, quella lontana dal nozionismo, dalla partigianeria e dagli abusi di potere - con le dovute eccezioni esito di periodi storici piuttosto remoti dalla sensibilità dell’epoca attuale - tendenzialmente, ha promosso, perseguito e celebrato il massimo rispetto per la dignità di tutti gli esseri umani.
La cultura è “studiare” con passione e tenacia, senza improvvisazioni o preclusioni, le forme più alte del pensiero umano: letteratura, arte, scienza.
Dell’uomo di cultura ciascuno di noi ha una sua immagine, a volte un po’ agiografica, personale: si pensa sempre ad individui “peculiari”, magari vagamente stravaganti, ma saggi; quasi sempre dagli intellettuali ci si aspetta una condotta morale irreprensibile. Non sempre è così: c’è chi per un ideale di verità ha subito stoicamente carcere, confino, esilio e torture; ma c’è anche chi, di natura più debole, si è arreso alle lusinghe o alle minacce del potere.
Non è il caso di commentare le scelte altrui; tuttavia, ci piace l’idea di lasciare ai lettori un suggestivo profilo dell’uomo libero, menzionato dallo stesso Gramsci, ad opera di Rudyard Kipling, che noi intendiamo associare all’identikit tipo del libero pensatore: “Se puoi conservarti calmo, mentre tutti attorno a te hanno perduto la testa, e dicono che ciò è per colpa tua,/Se sei sicuro di te mentre tutti ne dubitano, e tuttavia puoi trovare delle scuse per questo dubbio,/ Se puoi aspettare, senza stancarti di aspettare,/ Se vivendo in mezzo alla menzogna non smentisci,/ O, essendo odiato, non ti lasci trasportare dall’odio, non avendo l’aria, pertanto, di essere troppo buono, né troppo saggio,/ Se puoi sognare senza essere schiavo del tuo sogno,/ Se sai pensare, senza fare del pensiero il solo scopo della tua vita,/ Se, imbattendoti nel successo o nel disastro, tu tratti questi due impostori allo stesso modo,/ Se puoi sentirti ripetere la verità che hai espresso, imbellettata dai furbi per prendere in trappola gli scemi,/Se puoi guardare le cose che hai creato spezzarsi, e se, abbassandoti, tu le ricostruisci con strumenti già usati,/ Se puoi fare un mucchio di tutti i tuoi guadagni, arrischiarli con un sol colpo di fortuna, gettare il dado, perderli, ricominciare tutto dal principio, senza mai dir parola sulla tua perdita,Se puoi costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi nervi, i tuoi muscoli, a servirti a lungo, anche dopo che essi si sono logorati, e così tener fermo, quando non avrai in te altro che la volontà che dice al resto: sii fermo,/ Se puoi parlare alle moltitudini conservando la tua virtù, e parlare con i re conservando il senso comune,/ Se un nemico non può ferirti, e neppure un amico,/ Se tutti gli uomini hanno un valore per te, ma nessuno di essi troppo,/ Se riesci a riempire il minuto che non perdona con sessanta secondi che valgono la distanza percorsa…./Allora la terra sarà tua e tutto ciò che essa contiene e, ciò che più importa, tu sarai un Uomo.” (Kipling R. cit. di Gramsci sta in Breviario per laici, 17.12.1916, Avanti, rubrica Sotto la Mole)
Pubblicata su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 27 del 06/07/2007