giovedì 2 aprile 2009

I viaggiatori a Crotone 9

Richard Keppel Crafen: trovò le donne di Cotrone senza alcuna grazia femminile

“Tra le sue donne probabilmente non vi sono sette in grado di posare come modelle per una divinità”


di Romano Pesavento

Seguendo i sentieri tracciati dall’abate Saint Non, da Henry Swinburne e dal conte di Stolberg il nostro illuminato e dotto scrittore, Richard Keppel Craven, nell’aprile del 1818, iniziò in carrozza, accompagnato dai servitori pronti a soddisfare ogni suo bisogno, il suo lungo e difficile viaggio verso la terra di Calabria, giungendo a Crotone nel mese di Giugno (“L’11 giugno, dopo il pranzo, lasciai Crotone”). Naturalmente, a muovere il suo interesse fu, come d’altronde per i suoi predecessori, la voglia di conoscere da vicino e descrivere i luoghi primitivi, selvaggi, ma, al tempo stesso, meravigliosi e ricchi di storia, della nostra regione.
In merito alla sua bibliografia, sappiamo da alcuni testi che il nostro scrittore nasce nella casa paterna nel 1779. È figlio del sesto barone di Craven e della figlia del quarto conte di Berkeley. Dopo aver effettuato gli studi presso la Harrow School, Richard Keppel nel 1806 si trasferisce insieme alla madre a Napoli. Amico intimo di William Gell, l’autorevole studioso di antichità classiche che Byron ricorda a proposito di un suo libro, Topography of Troy. Tra il 1816 e il 1817 ricoprì la carica di ciambellano della principessa Carolina del Galles prima a Roma e poi a Napoli. Quando la principessa si trasferì a Ginevra, il giovane sir preferì dedicarsi interamente alle sue tante passioni: lo studio delle antichità, la storia, il disegno e i viaggi . Nel 1834 si stabilì con la madre vicino a Salerno, dove acquistò il convento “La Penta”, che divenne metà obbligata per i letterati e i viaggiatori inglesi. Morì a Napoli nel 1821. La sua opera fu pubblicata a Londra nel 1821 con il titolo “A Tour through the Southern Provinces of the Kingdom of Naples” da Rodwell & Martin. In essa sono raccolte tutte le impressioni avute da Keppel durante il suo viaggio. Detto ciò passiamo adesso con l’esaminare le frasi scritte dal nostro sulla nostra città.
“Secondo alcuni autori antichi Crotone era la più grande città della Magna Grecia e all’epoca della discesa di Pirro il suo perimetro misurava dodicimila passi. Si credeva che la sua aria salubre esercitasse una particolare influenza sui suoi abitanti, rendendoli più belli e più forti del resto del genere umano.(…) È superfluo sottolineare che nella odierna città è difficile trovare filosofi o lottatori, o medici, e il sistema pitagorico è conosciuto solo per il suo nome. Inoltre il suo perimetro misura appena un miglio, d’estate il clima è pestilenziale e diverse volte è stata scossa dai terremoti. Tra le sue donne probabilmente non vi sono sette in grado di posare come modelle per una divinità, e si nota un deplorevole contrasto con tutto ciò che formava i suoi antichi vanti.”
Certo, sin da queste prime righe, si può notare, come anche per la città di Crotone, sir Keppel mantenga saldo il principio che lo vede alcune volte confrontare il passato e il presente, il fascino dell’antico e la suggestione del reale. Malgrado i giudizi e le constatazioni siano simili alle note riportate dai precedenti viaggiatori, in questo brano si introduce un nuovo elemento: la figura femminile crotonese. L’attento lettore potrà certo sogghignare al pensiero, probabilmente, di una donna “munita di baffi” e “peluria”, simile, forse, ad un uomo, ma, probabilmente, il nostro Richard fu proprio davanti a questa dura realtà che si trovò di fronte. Naturalmente, la condizione femminile non era certo delle migliori. Infatti, in un brano successivo leggiamo:“Mentre ero a Crotone fui testimone del passaggio di una delle più ricche famiglie di proprietari terrieri che si recava in Sila. Era il genero del gentiluomo che mi ospitava, che, insieme alla moglie, si fermò a Crotone per una notte, proveniente da Isola Capo Rizzato, una piccola città vescovile che si trova otto miglia a Sud del Promontorio Lacinio. L’uomo era di bell’aspetto, giovane e basso indossava un abito molto simile a quello di un nostro allevatore. Sembrava felice per quel viaggio e pensava ai benefici che il bestiame avrebbe tratto da un soggiorno in montagna e al divertimento che o attendeva dedicandosi alla pesca e alla caccia. Per la moglie, invece, il soggiorno non sembrava essere una prospettiva molto allettante. Una donna estremamente graziosa, apparentemente molto legata ai figli, la quale non era felice di privarsi dalle comodità e dalla brillante società di Isola. Le greggi, in marcia dal giorno prima, non fecero parte del singolare quadro composto di cavalli, muli e asini, sacchi di farina e di grano, gabbie piene di polli e moltissimi cani, gatti maiali. La giovane famiglia era numerosa e quindi era seguita da un gran numero di nutrici e servitù femminile; i conducenti dei muli, insieme ai servi e a una consistente banda di guardiani bene armati, e il padre spirituale di questa piccola colonia, chiudevano il corteo che richiamò alla mia immaginazione i tempi della semplicità patriarcale.”
La descrizione sulla famiglia che ne emerge è sicuramente non tanto distante da quella che si poteva riscontrare qualche anno fa nel nostro entroterra. Dedita ad accudire la prole ed a seguire il marito nei trasferimenti; questa è l’immagine della nostra donna. Il brano che segue illustra nuovamente una delle tante carenze della nostra città: la sporcizia. Certo essere descritti così da un lord inglese non ci fa certo onore. Basta solo ricordare, come in passato, gli Inglesi non fossero tanto sensibili al tema dell’igiene.
“Attualmente conta cinquemila abitanti, fra i quali si annoverano alcune antiche e molto ricche famiglie che praticano ancora un redditizio commercio di grano e di bestiame, poiché la natura del suolo non è adatta ad altre colture. La valle del Neto, che si estende verso l’interno, è rinomata per la bontà dei suoi pascoli, mentre le basse e argillose colline che la circondano producono molto buon grano.
Alcune strade larghe e dritte, i grandi palazzi e le fortificazioni le conferiscono un aspetto tra i più imponenti tra le città che recentemente ho visitato. Ma appare come abbandonata. Infatti l’immondizia si vede dappertutto e brandelli di stoffa nera, pezzi di cuoio, fili di paglia e altri oggetti ingombrano le strade.”
Indubbiamente, dobbiamo ammettere che i problemi citati da Richard Keppel Craven non sono nuovi al nostro pubblico. Siamo alle solite! potrebbe anzi esclamare, noiosamente, qualche lettore zelante. Nonostante tutto, basta guardarci intorno per rimanere abbagliati dal nostro presente.
“Tra i resti antichi vidi solo tre altari con iscrizioni in latino. Due si trovano dentro le mura della cittadella, il terzo vicino a una piccola chiesa. Quest’ultima iscrizione è completamente illeggibile e perciò mi fu indicata come greca, cosa che mi divertì abbastanza.
L’odierna Crotone come il lettore potrà notare, offre poco o niente in grado di catturare l’attenzione del viaggiatore: non solo tutte le vestigia dei suoi antichi splendori sono state cancellate, ma sono scomparse anche le bellezze che Teocrito piacevolmente descrisse, se mai sono esistite. Questo poeta ha ambientato alcuni dei suoi idilli nelle immediate vicinanze di Crotone. Ma cercheremmo invano le bellezze naturali che i suoi versi richiamano alla nostra immaginazione. Il monte Latymnus potrebbe essere una delle alture più basse che circondano l’Esaro. Ma i suoi ombrosi recessi sono scomparsi. La mancanza di verde e quindi di ombra è una delle più sorprendenti deficienze di questa zona.”In conclusione, oltre a constatare, ancora una volta, l’inadeguatezza culturale tipica dei nostri presunti esperti della materia, occorre ricordare come necessiti, ancora oggi, una rifondazione dal basso e una rivisitazione integrale del nostro sistema culturale. Ritornare allo splendore magno greco è l’unica strada che ci può forse ricondurre verso la “dritta via”.

Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 37 del 22/09/2006

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