martedì 14 aprile 2009

Crotone&Economia 3

Mezzogiorno e politiche di coesione: ne parliamo con Domenico Marino, docente Università Mediterranea di Reggio Calabria


Economia sommersa forma fisiologica dell’economia calabrese


di Romano Pesavento


Elevata disoccupazione, soprattutto giovanile e femminile, isolamento spaziale e relazionale con le altre aree europee e nazionali, scarsa presenza di sistemi integrati, ridotta partecipazione al mercato del lavoro ed elevata occupazione irregolare, presenza diffusa di produzione e lavori sommersi sono solo alcuni dei punti di debolezza presenti nella nostra provincia e regione. Per quanto riguarda gli ultimi due punti basta considerare che in Calabria le numerose analisi condotte sul fenomeno del sommerso descrivono l’esistenza, oggi, di una certa percentuale di imprese con una condotta che si può definire “bordeline” cioè imprese con un comportamento che oscilla tra l’emerso e il sommerso, si stima che questo numero di imprese costituisca una percentuale variabile tra il 20 ed il 40% delle imprese complessive. Per approfondire tali tamatiche, ci siamo rivolti al prof. Domenico Marino dell’Università mediterranea di Reggio Calabria
D: Quali possibili proposte si possono ipotizzare per risolvere gli ormai strutturali problemi esistenti nella regione?
R: Prima di addentrarmi in possibili ricette per lo sviluppo della Calabria, mi preme aprire una breve parentesi sullo stato attuale dell’economia regionale. I dati presenti nel rapporto 2005 dello Svimez, ci forniscono elementi per le nostre riflessioni. Il principale elemento è il tasso di sviluppo. Abbiamo avuto nel 2004 un incremento del tasso di crescita del PIL pari a 2,4%. Tale dato è però la conseguenza sia di un forte valore aggiunto agricolo (21,9%) sia dell’espansione del settore edile. Quindi sono i settori tradizionali che tendono ancora oggi a trainare la crescita economica. Tuttavia occorre far notare che se osserviamo nel particolare tale condizione ci accorgiamo quanto sia fragile il processo di crescita nel lungo periodo. A tal proposito basta solo citare i fattori (olivicoltura, i fondi per il finanziamento delle opere pubbliche, etc.) che hanno causato tale situazione per renderci conto quanto è temporanea la loro azione.
Un’altra riflessione voglio farla sul mercato del lavoro. Nel 2004 si registra un incremento assoluto di 11 mila unità che in termini di variazione percentuale è pari all’1,8%. Tale dato è, naturalmente, la conseguenza di quanto si è detto in precedenza. Si ha, così, che in tale anno si assiste ad un aumento del tasso di occupazione pari al 46%, di poco inferiore a quello del Mezzogiorno (46,1%).
A tutt’oggi il settore primario assorbe il 12% dell’intera occupazione regionale, un peso, questo, superiore rispetto al contesto italiano; mentre, non da meno è l’edilizia con un valore del 10,3%.
Preoccupante è la battuta d’arresto dell’industria manifatturiera e il forte schiacciamento del settore turistico sulle componenti più tradizionali e sul turismo balneare che, in assenza di importanti e tempestivi interventi volti a salvaguardare la qualità e la purezza della risorsa marina, mostra tutta la sua fragilità e instabilità. Quanto detto, trova conferma anche se si considerano i dati sulla cassa integrazione straordinaria.
Per quanto riguarda la forza lavoro e il tasso di disoccupazione occorre fare alcune riflessioni. Nel 2004 la Calabria fa segnalare una variazione negativa della forza lavoro pari a 0,5%, dato che in valore assoluto corrisponde a 4 mila unità in meno rispetto al 2003. Tutto ciò fa ridurre, come è ovvio, il tasso di attività che, dal 54,2% passa al 53,7%, seguendo così l’andamento avutosi nell’intero Mezzogiorno. Occorre far notare che la riduzione avutasi nelle forze lavoro è il risultato di una diminuzione delle persone in cerca di occupazione la cui conseguenza ha condotto, inoltre, al calo del tasso di disoccupazione, attestatosi intorno al 14,3%.
D: Parlando dei dati sul mercato del lavoro in Calabria, ci si ricorda, spesso, di una antica piaga: l’economia sommersa. Ci può fornire una sua valutazione?
R: In Calabria parlare di sommerso vuol dire discutere di un aspetto economico completamente diverso rispetto ad altre aree del Paese. Penso, infatti, che la molla che tiene le imprese nella morsa del sommerso non è banalmente legata all’evasione di un obbligo contributivo. Anzi spesso è l’unica forma possibile per far mantenere in vita un’attività che altrimenti sarebbe fuori mercato. L’economia sommersa quindi in Calabria, più che una forma patologica di economia ufficiale, potrebbe essere definita come una forma fisiologica attraverso cui si manifesta una fetta consistente dell’economia. Interi contesti territoriali e interi settori economici sono coinvolti in maniera molto forte in questo processo. Alcune volte sono intere imprese che operano in forma sommersa, altre volte sono delle imprese che mantengono sommersa una parte più o meno cospicua della loro attività. Voglio ricordare, infine, che in Calabria è molto stretto il rapporto tra economia sommersa ed economia criminale.
D: Nel quadro economico regionale fornito, quali interventi di politica economica sono auspicabili per uno sviluppo dell’economia calabrese?
R: Ritengo che tra le prime cose da fare subito ci sia quella di riprogrammare la concertazione dal basso. Questo significa creare le condizioni per lo sviluppo attraverso la nascita o potenziamento di iniziative imprenditoriali che abbiano come elemento principale l’utilizzo e la valorizzazione delle risorse territoriali. Sono dell’avviso, inoltre, che non occorra incoraggiare operazioni economiche fatte esclusivamente dall’esterno della Calabria, anche perchè, molto spesso, si riducono ad un puro utilizzo affaristico dei finanziamenti e dei fondi messi a disposizione.
Faccio riferimento ai tanti casi verificatisi in questi anni in cui imprenditori e pseudo-imprenditori, venuti da altre parti del paese, hanno sfruttato le risorse e dopo un breve periodo sono andati via.
Quindi bisogna cominciare a partire dalle esigenze e dalle risorse del territorio per iniziare a progettare lo sviluppo. Per tal motivo, penso che tutto ciò debba essere tenuto presente nella programmazione delle politiche di coesione 2007/2013.
D: Quanto sono importanti le infrastrutture per lo sviluppo?
R: Le infrastrutture sono sicuramente importanti per lo sviluppo, anche se in tale discussione penso sia doveroso un distinguo. Accanto alle infrastrutture materiali (strade, aeroporti, reti ferroviarie), ci sono le infrastrutture immateriali (energia, acqua, etc.) ugualmente fondamentali per la crescita economica di un territorio. Per queste ultime, si registra oggi, in Calabria, un gap molto forte rispetto alle altre aree del paese.
Anche se a mio avviso è opportuno far presente che la vera infrastruttura nel sistema produttivo è il capitale umano. La nostra regione ha competenze e professionalità, in buona parte sparse per il mondo: occorre valorizzarle, creando le condizioni per una permanenza o rientro in Calabria.
D: Molti pensano che il contratto d’area di Crotone non sia riuscito a dare i risultati attesi. Quale è la sua opinione in merito?
R: Penso che Crotone sia una realtà molto complessa, la storia del territorio e i dati Istat sul mercato del lavoro ci possono fornire certamente alcune indicazioni. Per quanto riguarda la storia è a tutti nota; mentre per quanto concerne il mercato del lavoro, alla luce delle recenti ricerche, dobbiamo fare alcune riflessioni. Nel 2004 il tasso di occupazione nella provincia era del 41%, valore ben al di sotto del dato medio regionale. Inoltre, il fenomeno della minore presenza di persone in cerca di occupazione ha avuto i suoi valori maggiori proprio in questo territorio, tutto ciò causando come è noto il più basso tasso di attività, per di più con un tasso della componente femminile della forza lavoro molto basso. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione con un valore pari al 16,4% è tra i più alti della regione. I dati mostrano che a soffrire maggiormente tale fenomeno è la componente femminile. Dobbiamo rilevare che il tasso di occupazione più alto è nell’industria e nel terziario. Fatto questo breve preambolo ritorno al quesito principale. L’idea dei patti territoriali e dei contratti d’area nasce dalla reale constatazione di far crescere lo sviluppo sfruttando le risorse e le vocazioni del territorio; tuttavia, tale modello fu scarsamente attuato. Sono stati pochi gli obiettivi prefissati raggiunti nel territorio e i dati prima elencati in parte lo confermano. Perciò, si può dire che l’idea era corretta ma l’applicazione errata. Ritengo che la provincia di Crotone debba darsi un progetto o patto per lo sviluppo su cui far convergere tutte le iniziative. Tutto ciò occorre farlo utilizzando logiche nuove ed una più attiva e concreta concertazione tra i soggetti economici e sociali.
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Pubblicato su La provincia kr, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 39 del 01/10/2005

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