martedì 21 aprile 2009

Crotone&Economia 10

A scuola di sviluppo locale con il prof. Domenico Cersosimo, docente UNICAL

ECONOMIA: La cosa migliore è provare a fare le cose che si sanno fare o comunque che si è imparato a fare

di Romano Pesavento

L’evoluzione dei mercati mondiali ha portato a molteplici progressi nella teoria delle scienze regionali. La dimensione spazio ha assunto un ruolo fondamentale per spiegare sia le basi della localizzazione produttiva che l’organizzazione dell’attività economica (Courant – Deardoff, 1993). Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio sviluppo di una teoria spaziale dell’economia regionale e del commercio interregionale dove la localizzazione rappresenta una variabile endogena per impresa e lavoratori-consumatori. I nuovi modelli analizzano il commercio interregionale, infatti l’integrazione economica e la larga estensione del libero commercio nel Nord America stanno riducendo il commercio da internazionale a interregionale. Vi è, inoltre, un nuovo modo di guardare ai temi dell’economia internazionale, specie quelli relativi all’impatto della liberazione del commercio o dei processi di integrazione. La presenza di rendimenti crescenti, della concorrenza imperfetta, di equilibri multipli, il ruolo decisivo assegnato alla storia, alla profezia che si auto realizza e alla futurologia costituiscono i principali elementi che rendono la teoria economica attuale diversa da quella passata. Questo nuovo approccio permette di analizzare il fenomeno delle concentrazione produttiva e dei fattori che ne determinano il suo perpetuarsi.
La concentrazione della produzione è una delle caratteristiche principali dell’attività economica moderna. Il legame tra industrializzazione e agglomerazione è stato a lungo riconosciuto dagli economisti. Le teorie di Myrdal (1957) identificano una fondamentale interdipendenza tra la crescita e la concentrazione industriale, così le recenti teorie formalizzano i processi cumulativi che caratterizzano questa interdipendenza. L’agglomerazione risulta in primo luogo dalla esternalità pecuniaria associata ai rendimenti crescenti e dalla presenza dei costi di trasporto. Le imprese si concentrano per economizzare sui costi fissi, concentrando la produzione in un’unica sede e localizzandosi vicino al mercato più ampio. Rendimenti crescenti e costi di trasporto sono gli elementi significativi dei modelli teorici più recenti. L’interazione tra queste due variabili determina infatti la localizzazione ottima.
Detto questo vogliamo anche ricordare come lo studio dei fattori caratterizzanti la piccola impresa risulta essere, oggi, un imprescindibile punto di partenza per un’analisi congrua delle dinamiche di nascita ed evoluzione di un distretto produttivo. E così mentre da una parte crediamo sia giusto organizzare e strutturare il territorio crotonese in modo da creare le condizioni per la nascita di un distretto, dall’altra ci sembra opportuno in questa sede brevemente analizzare il tema del nostro discorso.
Quando si parla di distretto industriale si può far riferimento sia a P. Bersani che lo definisce “un particolare raggruppamento di imprese specializzate in un complesso processo produttivo e strettamente legate al sistema di relazioni sociali, istituzionali e ambientali, instaurate, sedimentate e strutturate nel tempo e nello spazio tra gli attori presenti sul territorio e il territorio stesso” sia a G. Becattini che lo descrive come “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali, nella quale, a differenza di quanto accade in altri ambiti (come, ad es., nella città manifatturiera), le comunità e le imprese tendono, per così dire, ad interpenetrarsi a vicenda”.
Emerge, subitaneamente, nel ruolo di centro gravitazionale del distretto industriale stesso, la dimensione della piccola impresa, la quale diventa, così, con i propri punti di forza e di debolezza, nucleo essenziale d’analisi.
Ad evidenziare, così, come la piccola impresa risulti forma di organizzazione produttiva alla base del distretto industriale, è utile riportare, brevemente, il fondamentale contributo fornito in materia da Alfred e Mary Marshall, i quali, già nel 1879, elaborarono per primi il concetto di distretto industriale per mostrare e dimostrare l’esistenza di una forma di organizzazione della produzione alternativa a quella fondata su stabilimenti sempre più grandi, comprensivi, al proprio interno, dell’intero ammontare delle fasi caratterizzanti un dato processo produttivo; essi connotano infatti il distretto industriale come un diverso sentiero di industrializzazione basato sulla concentrazione territoriale di molti piccoli stabilimenti e attività localizzate, la cui peculiarità risiede nel fatto che essi includono, intendendolo come forza produttiva che va a comporsi con i fattori produttivi combinati dall’imprenditore, il “territorio su cui insiste la produzione, con tutta la sua storia, la quale si rivela nei valori, nelle conoscenze, nei costumi e nelle istituzioni tipici del luogo” (G. Becattini). Per quanto, apparentemente, il porre l’accento sull’importanza delle caratteristiche storico-sociali del territorio sul quale la produzione insiste potrebbe evocare chiusura e provincialismo, tale concettualizzazione del distretto va oltre la specificità economica, evidenziando il grande ruolo sociale svolto dal distretto stesso; infatti, il successo di un distretto industriale è un fenomeno caratterizzato dal forte interscambio orizzontale tra i vari componenti dello stesso territorio e con l’esterno, un interscambio in grado di strutturare il legame di solidarietà della comunità locale e di facilitare la messa in rete di conoscenza.
Detto ciò ci è sembrato opportuno intervistare su tali argomenti il prof. Domenico Cersosimo, docente UNICAL.
D: Su quale settore o attività economica si potrebbe investire in una realtà come Crotone?
R: A mio avviso non c’è il settore specifico sul quale investire. Si deve invece tenere in giusta considerazione il background personale e l’esperienza accumulata dalle singole persone. Il consiglio che mi sentirei di dare è quello di cercar di raschiare il barile cioè di individuare le sedimentazioni imprenditoriali e culturali dell’area e da lì partire.
D: Secondo lei non c’è quindi un vero e proprio settore sul quale puntare?
R: Se ci fosse tale settore tutti si rivolgerebbero ed investirebbero in esso. Facendo tutti gli stessi investimenti, naturalmente, i livelli di profitto si abbasserebbero, rendendo tale settore poco attraente.
D: Quale è il suo consiglio per sviluppare l’area crotonese?
R: Il problema non è tanto quello di individuare il settore che determina il profitto, ma provare a ragionare sulle singole esperienze. Analizzando la matrice intersettoriale locale e partendo da tale matrice, si potranno individuare, sia i probabili spazi, sia i possibili investimenti da fare nella matrice attuale. Soprattutto quegli investimenti che vanno a completare, integrare e riempire i vuoti della matrice esistente. Io le potrei dire che il settore del futuro è il settore della telematica, ma se nessuno sa fare telematica è poi difficile che qualcuno si metta a fare telematica. La cosa migliore è provare a fare le cose che si sanno fare o comunque che si è imparato a fare. Per usare una espressione tecnica partire dal “saper fare taciti” cioè da quei saper fare contestuali che si sono stratificati nel giro di qualche decennio e da lì partire verso un nuovo sviluppo. Bisognerebbe rendere appetibile l’area di Crotone: da una parte favorendo l’uso di strumenti esogeni e dall’altra creando la possibilità per investimenti endogeni. Sarebbe anche assai interessante riuscire a maturare nell’area di Crotone le competenze, il sapere cognitivo, scientifico ed imprenditoriale.
Sono sempre più convinto che nel crotonese ci sia la possibilità, più che in altre parti, di uno sviluppo del settore agro-alimentare. Occorre, inoltre, cominciare a costruire modelli di marketing territoriale.
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIII n. 14 del 08/04/2006

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