mercoledì 15 aprile 2009

Crotone&Economia 5

Mezzogiorno e politiche di coesione: ne parliamo con Raffaele Trapasso, docente Università Cattolica di Piacenza

Crescita economica: è necessario ruolo attivo delle istituzioni locali e del partenariato sociale



di Romano Pesavento

Questa settimana per approfondire le tematiche sullo sviluppo e la nuova programmazione dei fondi europei 2007/2013 abbiamo intervistato Raffaele Trapasso, docente Università Cattolica di Piacenza.
Quali politiche di sviluppo sono possibili in un area arretrata come quella calabrese?
Rispondo alla tua domanda prendendo come riferimento gli studi effettuati sui dati dell’OCSE. In particolare, possiamo dire che, dall’osservazione di tali elaborati, appare subito chiara la situazione di estrema perifericità socio-economico in cui si trova il territorio calabrese rispetto ai mercati internazionali. Voglio, inoltre, ricordare che dall’esame dei report sull’impatto della globalizzazione nell’economie regionali, la Calabria fa registrare dati molto negativi. Naturalmente, tutto questo ha, a mio avviso, delle spiegazioni. La principale spiegazione è quella di non aver saputo in questi anni valorizzare proficuamente le vocazioni economiche/culturali esistenti su tutto il territorio regionale. Per tal motivo, sono contrario e avverso alle idee di sviluppo che basano le fondamenta su grandi progetti in cui risulta assente l’integrazione con le tradizioni e vocazioni territoriali. La mia proposta è quella di monitorare l’esistente, facendo un’indagine door to door (porta a porta), tutto ciò significa entrare direttamente in contatto con le imprese e con le istituzioni locali, e intervenire con strumenti economici per ridurre le strozzature infrastrutturali dei vari contesti locali.
Quali enti possono avere un ruolo importante nelle politiche di sviluppo?
Penso che nelle politiche di sviluppo debbano giocare un ruolo importante soprattutto i sindaci e i sindacati, vere e proprie sentinelle dello sviluppo locale. A mio avviso, solo loro hanno una visione particolareggiata e significativa delle problematiche strutturali esistenti nel territorio. Perciò sono d’accordo con tutti coloro che parlano di riduzione degli incentivi per l’impresa e incremento della spesa in beni pubblici o di pubblica utilità, in questo caso faccio riferimento anche al potenziamento delle infrastrutture fisiche. Sappiamo tutti quanto sia difficile qui da noi per un impresa sia esportare prodotti sia importare materie prime e semilavorati. Parlo quindi dell’enorme difficoltà per gli operatori nell’accedere ai mercati regionali, nazionali e internazionali. Occorre, quindi, fornire alle imprese quegli strumenti e strutture che riducano lo svantaggio economico che hanno aree arretrate come la Calabria.
Come programmare il nuovo ciclo di Fondi europei?
Penso che la nuova programmazione debba partire da sei condizioni fondamentali, oggi condivise anche dalle parti sociali. La prima riguarda la definizione di una politica di sviluppo nazionale che tenga in seria considerazione regioni come la Calabria. Devo constatare che fino ad oggi poco si è fatto in questa direzione. La seconda guarda attentamente agli obiettivi di innovazione e sviluppo sostenibile, di integrazione e internazionalizzazione delle imprese. Tutto ciò è importante per far crescere in Calabria un tessuto imprenditoriale forte e competitivo.
La terza condizione è che si pratichi una via alta alla competitività caratterizzata da maggiore ricerca, miglioramento dei modelli di organizzazione dell’impresa e del lavoro, formazione diffusa e ricorrente. La quarta si favorisca la crescita di competenze dei lavoratori attraverso processi trasparenti di incontro domanda offerta e di politiche attive per il lavoro, favorendo l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro, soprattutto dei soggetti esposti a maggiore difficoltà d’inserimento. La quinta è che si rendano più efficienti e trasparenti i processi di “governance” pubblica e pubblico-privata.
Infine si riprenda con forza l’azione per contrastare la criminalità organizzata ed affermare la legalità. Penso che in assenza di questo la buona programmazione degli interventi ed il miglioramento dell’efficienza amministrativa nella spesa non produrranno quel salto in avanti che appare così necessario. Rimarrà forte la logica dell’aiuto diretto rispetto alla modifica dei fattori di contesto; l’investimento nella singola opera piuttosto che l’integrazione nello sviluppo di un territorio.
La priorità è definire questo cambiamento di cultura nell’idea di sviluppo e stabilizzarlo in una politica. Questo non si può fare senza riprendere una politica di partenariato tra istituzioni e forse sociali, di mobilitazione comune verso obiettivi condivisi, di creazione di un rinnovato clima di impegno, responsabilità, fiducia.
Crede che si debba puntare ancora sull’industria o occorre pensare a nuovi modelli di sviluppo magari dal basso?
In realtà, credo che i processi di industrializzazione e deindustrializzazione svaniscono di generazione in generazione. A sostegno di quanto detto posso per esempio citare i casi verificatisi a Modena negli anni ‘40 ed anche di recente a Crotone negli anni ‘90. Abbiamo assistito in entrambi i casi, ad un grande esodo di risorse umane dall’industria: molte di queste risorse non hanno trovato terreno fertile per formare micro-realtà produttive; tutto ciò ha condotto ad un’enorme dispersione di esperienze e professionalità. Per tal motivo, è troppo dispendioso ripercorrere vie di sviluppo vecchie. Penso che le cose migliori esistenti in Calabria oggi sono legate al settore agro-industriale. E questo perchè? Perchè si basano su una risorsa naturale, ossia la disponibilità del territorio, e sulla conoscenza produttiva radicata. Siamo bravi a produrre olio, pane, torroni. Parecchie imprese hanno notevoli profitti: noi spediamo in container i torroni di Taurianova in Canada e nella grande distribuzione australiana. Allora cosa occorre a Crotone? Forse seguire la direzione della industrializzazione pesante, settore che entrato in crisi, che è durato poco, o tornare alla tradizione locale, agricola, sulla quale si basava il marchesato? La mia obiezione principale è: lo sviluppo non si fa diventando solo un polo informatico e tecnologico.E’ meglio produrre beni che sappiamo fare bene, meglio degli altri: il vino di Cirò, il pane di Cutro, la sardella di Crucoli, etc.. Tutto ciò ha un mercato e anche se la produzione si può potenziare utilizzando innovazioni di processo, occorre pensare ad un sistema produttivo a filiera in cui la struttura sia circolare e non più lineare. L’altra cosa importante da capire è i grandi danni che fanno gli incentivi dati alle imprese : drogano il mercato, sbilanciano l’equilibrio dell’imprenditore, questo molte volte costituisce un incentivo ad imbrogliare. La nuova programmazione dovrebbe essere sostenuta da un’azione corale collettiva. Il problema è, quindi, capire chi deve guidare lo sviluppo. La Calabria progredirebbe nel giro di un mese, se tutti pensassero allo stesso modo, collaborassero. Purtroppo, però, qui da noi esiste una scarsa concertazione tra i vari enti credo che il sindacato potrebbe essere un’istituzione importante all’interno dei processi di sviluppo. Esso difendendo le varie categorie di lavoratori e raccogliendo giorno dopo giorno consensi può essere un soggetto valido per la guida dello sviluppo.
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Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 38 del 24/09/2005;

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