sabato 4 aprile 2009

Petronio e Crotone

Viaggi tra i luoghi e le realtà Crotonese attraverso la lettura del Satyricon di Petronio


Una Crotone di 2000 anni fa?


"Insomma la città vi sembrerà un campo d’appestati, dove non s’incontrano che cadaveri o corvi"


di Romano Pesavento


“Compiuto volentieri questo mesto dovere, ci incamminammo per la via prescelta e in breve arrivammo tutti sudati sulla cima d’un monte, da cui s’intravedeva non lontana una città fortificata, situata su un’altura. Andando alla ventura, non potevamo sapere che nome avesse, quando un contadino ci disse ch’era Crotone, città antichissima e, un tempo, prima d’Italia.
Cercammo allora di sapere come fossero gli abitanti e quali commerci preferissero dopo che le guerre avevano rovinato il paese: “Cari signori” ci avvertì il contadino, se siete negozianti cambiate strada e cercata di fare affari altrove. Ma se invece siete dei raffinati e sapete mentire con eleganza, avete trovato pane per i vostri denti. A Crotone niente letteratura, niente eloquenza, niente morigeratezza, perché la cittadinanza si divide in due categorie: gli imbroglioni ed i fessi .
A Crotone nessuno vuole avere figli, perché chi ha eredi non è ammesso né ai banchetti né agli spettacoli ed è schivato da tutti come un cane rognoso. Al contrario, coloro che non hanno mai preso moglie e sono senza parenti, fanno carriera, perché soltanto loro sono ritenuti grandi generali, uomini coraggiosi, onesti”. E concluse: ”Insomma la città vi sembrerà un campo d’appestati, dove non s’incontrano che cadaveri o corvi.” ( Satyricon-CXVI/CXVII)
Se non fossero presenti nel testo sottoposto alla gentile attenzione dei lettori termini quali guerre, fortificazioni o banchetti, difficilmente si penserebbe che tali brucianti giudizi provengono da uno scrittore di quasi duemila anni fa: tali lamentele, a parte la questione relativa agli eredi, corredano quasi sempre tutte le riflessioni sulla realtà crotonese, sia ad opera dei sostenitori che degli irriducibili denigratori della nostra città. Eppure, come dicevamo, non si tratta dello sfogo amaro di chi si è visto “soffiare” l’impiego dall’ennesimo raccomandato, né del classico comizio shock pre-elettorale del politico di turno, inflessibile virtuoso e artefice di una palingenesi totale, da realizzarsi, sia ben chiaro, dopo la propria elezione. Qui ci troviamo di fronte alla testimonianza di uno degli scrittori più misteriosi, controversi ma di indubbio fascino dell’ antichità: Petronio.
Prima di tentare di addentrarci sulle motivazioni che hanno indotto il letterato a pronunciarsi in modo così severo -o obiettivo, mah!- cerchiamo di raccogliere qualche informazione sulla vita e la personalità del celebre arbiter elegantiae.
Innanzitutto, circa la biografia e i costumi sappiamo veramente poco: Tacito, per quanto autorevole, rappresenta una delle poche fonti per delineare un profilo di Petronio. Da quanto afferma lo storico -nei capitoli 18 e 19 del XVI libro degli Annales-, sembrerebbe che l’autore del romanzo Satyricon, da cui è estratto il brano in esame, e quel Petronio storicamente “fido” braccio destro dell’imperatore –almeno finche Nerone non decise di condannarlo a morte perché giudicato colpevole di cospirazione– siano lo stesso individuo. Vale a dire un uomo dalla personalità decisamente eccentrica, più incline alle raffinatezze e ai piaceri della vita che alle discussioni di carattere stoico o filosofeggiante. O meglio: l’unica “filosofia” in cui Petronio credeva, per quanto a noi è dato sapere, è proprio una sorta di edonismo, in cui tutto è permesso e accolto, salvo ciò che è irrimediabilmente etichettato come “volgare”o di pessimo gusto.
Alla luce di queste considerazioni, visto il periodo storico in cui operava lo scrittore –parliamo del I secolo d. C.- è probabile che volesse proporre una sorta di affresco dell’umanità del suo tempo,non sappiamo se corrispondente del tutto alla verità dei fatti o se, per intento artistico, più “caricata” in chiave grottesca. Quello che ritroviamo nelle pagine del libro -costituito da frammenti non da tutto il corpus, così come era stato concepito dall’autore– è sicuramente un mondo “opaco”,fatto di un’umanità sordida e senza valori: sesso e denaro non solo costituiscono il filo conduttore di tutta la vicenda, ma rappresentano l’unico scopo di tutte le “allegre canaglie”in azione nel testo. Nessuno si salva da questo compiaciuto abominio collettivo. Tuttavia, giunti a Crotone, i protagonisti del romanzo incontrano un contadino capace di esprimere parole di condanna e rammarico per il triste declino morale e politico cui è andata incontro la città. Attenzione, Petronio, nel suo viaggio lungo l’Italia meridionale, non cita esplicitamente nessun luogo: soltanto Crotone figura con il suo nome e con tanti dettagli circa l’indole, costumi e realtà degli abitanti, oltre a costituire, fino alla conclusione del testo pervenuto, lo sfondo delle vicende narrate; inoltre, tra tante città illustri del mondo antico (basti pensare a Napoli o Taranto) viene definita come la “prima d’Italia”.
Come mai tutta questa attenzione? Se Crotone rappresentasse una città particolare, con peculiarità proprie nell’immaginario collettivo dell’epoca, non è dato saperlo con certezza. Tuttavia, possiamo, per gioco, azzardare qualche ipotesi. In generale, per quanto la tradizionale sobrietà di costumi degli antenati fosse stata del tutto -e da un pezzo!- archiviata dai Romani contemporanei di Petronio, con buona pace di Catone, è probabile che i Greci, intesi come Magna Grecia, fossero ancora considerati maestri insuperabili nell’arte del bel vivere o dei vizi, se preferiamo. E’possibile che, ahi noi, Crotone, ormai priva di meriti culturali, detenesse ben altri primati di carattere decisamente meno “serio”; in fin dei conti, non siamo in qualche modo “colleghi”, oltre che vicini/rivali di Sibari, cittadina che, a torto o a ragione, veniva indicata anticamente come il luogo di ogni sfrenatezza? O forse era proprio l’idea della decadenza morale e spirituale in un luogo “sacro” per la sapienza (la celebre scuola pitagorica ,quella medica, ecc) a solleticare l’irriverenza cinica di Petronio nel constatare la fine irrimediabile di ogni principio, di ogni insegnamento?
Oppure, si potrebbe congetturare che, in realtà, il rammarico per il glorioso passato di Crotone sia così accorato ed enfatizzato proprio perché posto in bocca ad un contadino, uomo semplice e per di più del luogo, pertanto non in grado di valutare con occhi obiettivi, perché offuscati dall’amor patrio o dall’ignoranza, la città nella sua interezza.
Sia come sia, l’impressione che, vivida,si ricava dalla lettura del passo è quella di una triste e penosa “attualità” delle affermazioni del contadino di Petronio: ciò che si diceva di Crotone nel I secolo d.C. è ancora perfettamente applicabile alla nostra realtà odierna: declino economico, mancanza di strutture e infrastrutture, interesse per le manifestazioni culturali sempre più esiguo, carenza di momenti di svago di livello qualitativo in media con le altre province - non pretendiamo italiane,ma perlomeno calabresi – e via seguitando con le altre interminabili “magagne” di sempre della mitica città di Pitagora. Questo non è una novità; il risvolto se vogliamo più sorprendente -e tragicomico!– della lettura di tale testo è scoprire, grazie a Petronio, che eravamo già “decaduti” circa duemila anni fa. E’un record difficilmente eguagliabile.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XII n. 32 del 13/08/2005

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