sabato 25 maggio 2019

ARTE ITALIA - ''Essere'', la mostra dell’artista britannico Antony Gormley allestita presso le Gallerie degli Uffizi fino al 26 maggio prossimo


Romano Pesavento

Ancora qualche giorno per visitare la mostra di Antony Gormley “ESSERE” allestita presso le Gallerie degli Uffizi  fino al 26 maggio.

Concepire l’arte in una veste del tutto nuova fuori dagli schemi classici e formali, per entrare in una dimensione virtuale, tentando di trovare nello spazio e nell’alchimia delle forme un nuovo messaggio costituisce il fulcro concettuale dell’artista britannico. Un viaggio nella luce e nel buio, emigrando nei ritmi della solitudine e del rapporto con il silenzio: tutto questo è Passage (2016), la galleria lunga 12 metri, situata al centro della sala.  Frammenti di materia si consolidano in costruzioni archetipe in un primo momento irriconoscibili, uscite da una memoria virtuale alla ricerca di una nuova ricomposizione, diversa ma reale. Tracciare neri segni sospesi  nell’atmosfera, soltanto apparentemente caotici e “schizoidi”, che vorticosamente si aggrovigliano  in spirali  frenetiche, ci ricorda che, nonostante tutto, alla fine, la materia trova un suo equilibrio.
Immagini istantanee fermano il viaggio dei neutrini. L’origine e la fine s’incontrano costruendo soluzioni infinite nelle reti della coscienza umana. 
Cosa c’è nell'arte di Gormley?  Il coraggio di andare oltre la razionalità, fornendo una linea non sempre continua del mondo reale; evadere dalla quotidianità cercando domande giuste piuttosto che risposte scontate.






Pubblicato sulla testata la Provincia Kr online

domenica 19 maggio 2019

ARTE ITALIA - ''Verrocchio – il maestro di Leonardo'': l'esposizione allestita a Palazzo Strozzi a Firenze visitabile fino al prossimo 14 luglio

Romano Pesavento




Allestita fino al 14 luglio nella scenografica architettura rinascimentale di Palazzo Stozzi a Firenze la grande mostra su Andrea di Michele di Francesco di Cione dal titolo “Verrocchio – il maestro di Leonardo”. Ad iniziare il percorso artistico, tre busti femminili in marmo bianco, risalenti al periodo 1455 – 1475, disposti centralmente nella sala, compongono geometricamente un triangolo e con lo sguardo, severo e al tempo stesso gentile, proiettato verso l’ingresso, tipico della grazia aristocratica dell’epoca, accolgono i visitatori, che, impressionati dalla perfezione scultorea delle opere, cominciano a scattare foto, ed, estatici, rapiti, rimangono incantati d’innanzi all’intensità dell’espressione, alla plasticità dell’atteggiamento dei loro marmorei ospiti e alla inattesa modernità che tali forme ispirano. La struttura dell’ambiente sembra essere concepita in modo da creare quella naturale alchimia tra fascino della modella e compiutezza dell’abito indossato, caratteristica delle passerelle di alta moda dove le mannequin sembrano pronte per sfilare. La Dama dal mazzolino, raccolta nella sua altera posa, sostiene con le sue delicate mani un piccolo fascio di fiori teneramente poggiato sul suo petto, simbolo di purezza soave. Alle spalle uno studio preliminare di Leonardo relativo alle mani, riprodotte con perizia insuperabile, artistiche e nel contempo accurate nell’anatomia, trait d’union tra maestro e allievo. Nella sala adiacente ci si proietta nel mondo dei grandi condottieri, delle regine e delle figure mitologiche; Desiderio da Settignano, maestro del Verrocchio, traccia la linea su cui muoversi nella lettura delle opere presenti: particolari tecniche di scultura si avvicendano, anche qui tra maestro e discepolo, nel delineare i solchi delle personalità e restituendo al presente l’immagine monumentale del personaggio rappresentato. Si susseguono sulle pareti bianche avorio i busti di Olimpia, Cleopatra (?), Scipione, Annibale cartaginese, Alessandro Magno. La continua ricerca e la voglia infinita di apprendere di Leonardo è presente in alcuni fogli che mostrano schizzi raffiguranti teste, il profilo di David del Verrocchio, la Vergine che allatta il Bambino con San Giovannino, leoni ruggenti e draghi. Conclude il percorso la celebre statua bronzea del David vittorioso del Verrocchio, in cui la giovinezza efebica, quasi vulnerabile nella sua fragilità, dell’eroe biblico contrasta in modo sorprendente con la nonchalance guerriera della postura; simbolo delle virtù civiche della città-Stato di Firenze.



Continuando il percorso si entra in un ambiente dedicato ai pittori che frequentarono o furono in qualche modo ispirati dallo stile della bottega verrocchiesca. Troviamo opere di Francesco di Simone Ferrucci, Domenico del Ghirlandaio, Fiorello di Lorenzo, Pietro Perugino, Pinturicchio e Sante Apollonio del Celandro. Attraverso le lucide pennellate, le scene in movimento, i curiosi dettagli delle tavolette che propongono le storie di San Bernardino, si rimane attratti dalla bellezza dell’arte espressa da alcuni dei maestri umbri della “Bottega del 1473”.
Le espressioni gentili e gli atteggiamenti amorevoli delle Madonne con il loro bambino, in esposizione, raccontano all’umanità i segreti della vita e lo straordinario linguaggio, chiaramente non alfabetico, in cui emergono complicità e serenità.
Anche il Verrocchio, come tanti altri artisti dell’epoca, si relazionò con la città dei Papi. Girovagando nella sala attigua si possono ammirare, infatti, le opere testimonianza di questo incontro con la Roma di Sisto IV.  In una grande teca di vetro appare nella sua maestosità la scultura del corpo sognante del giovane addormentato. In prossimità, ad opera di Francesco di Simone Ferrucci, il rilievo in marmo bianco al monumento funebre della facoltosa Francesca Pitti. I volti sfigurati dal dolore,  la naturalità dei personaggi, il movimento plastico di alcune figure femminili e il loro urlo pietrificato contemporaneamente corale e muto,  lo stato di sofferenza della madre e la perdita del figlio appena nato rappresentano in modo realistico e coinvolgente l’ambientazione scenica del momento. Le bocche contorte nella disperazione, silenti e assordanti nel contempo, rimandano ad un’altra grande opera incentrata sul lutto: il Compianto sul Cristo morto di Nicolò dell’Arca.
Nelle ultime due sale a stupire è la gioia del putto con il delfino del Verrocchio. Uniti in un tenero abbraccio i due piccoli sembrano intendersi perfettamente nel gioco e nello scherzo. Con guizzo birbantello fendono le onde, arrivando chissà dove…. 


Linguaggio delle mani, esplorazione e scoperta per la novità sono gli elementi su cui si basa la Madonna della giuggiola di Lorenzo di Credi. L’attenzione e la curiosità del bambino si proiettano sul minuscolo frutto tenuto tra le dita dalla madre, sigillo della tenerezza.
Ritratti, modelli in terracotta, schizzi, lavorazioni a metà tra oreficeria e metallurgia, un ultima gigantesca pala, combinazione del proficuo lavoro condiviso del Verrocchio e del Credi, i volti sorridenti e gioviali della Madonna col bambino in terracotta di Leonardo e i famosi panneggi concludono questo viaggio che ci ha  portato a scoprire la creatività, la grandiosità e l’eredità di un grande architetto del colore, della forma e della scultura rinascimentale, degno maestro di Leonardo Da Vinci.

Pubblicato su la Provincia KR online

Reportage fotografica





ARTE ITALIA - Luminosita' soffuse ed evanescenti per la mostra ''Caravaggio e i genovesi: committenti, collezionisti, pittori'' in corso a Genova

Romano Pesavento


     Giacomo Legi, Gatto in dispensa (1630 circa; olio su tela, 96 x 137 cm; Collezione privata)

Nell'elegante location del Palazzo della Meridiana a Genova è stata allestita la mostra “Caravaggio e i genovesi – Committenti, collezionisti, pittori” visitabile fino al 24 di giugno. L’esposizione vuole rendere omaggio al breve periodo (1605) trascorso a Genova del pittore milanese. Le opere presenti all’interno del percorso espositivo seguono la scia artistica del grande maestro Michelangelo Merisi, proponendo scene, nature morte e personaggi immersi nelle ombre e accarezzati dalla luce in modo da esaltarne alcune volte la drammaticità e altre volte la precisione figurativa e spazialità. Appena entrati, posto su una parete viola, si può subito ammirare l’ “Ecce Homo” di Caravaggio. Discussa e criticata da alcuni, apprezzata da altri, l’opera ci consegna la genialità creativa dell’artista. Un collage di emozioni si proietta dalle luminosità soffuse ed evanescenti di oggetti e forme, i quali mettono in evidenza le fragili sembianze umane del Cristo, lo sguardo pervaso da angosciosa iracondia di Pilato, la morbida leggerezza delle pose plastiche dei soggetti, solo in apparenza statici. Di questo quadro colpisce il mesto incanto rispetto alle rappresentazioni iconografiche del tempo, spesso basate su tormenti e sevizie dei santi protagonisti; qui non c’è traccia di sangue; eppure la dignitosa pensierosità del Cristo, fragile e autorevole nel suo silenzio assorto, evoca e prefigura tutto il dramma della passione e della ricomposizione del patto tra Dio e l’umanità con una potenza espressiva deflagrante.

Domenico Fiasella, Giuditta e Oloferne (1620-1630 circa; olio su tela, 150 x 200 cm; Reggio Emilia, Collezione privata)


I discepoli genovesi del pittore cercano di emulare con una certa perizia i tratti distintivi dell’arte caravaggesca: il realismo; il chiaroscuro; i temi fortemente drammatici. In alcuni casi il risultato è davvero pregevole: Domenico Fiasella; Bernardo Strozzi; Gioachino Assereto; Luciano Borzone e Orazio De Ferrari.
Quadro dopo quadro la mostra ci permette di scoprire quanto durante il Seicento abbia lasciato tracce durature il genio inconfondibile di Caravaggio nella produzione artistica ligure.
Due opere attirano la nostra attenzione per l’originalità delle linee: il “Gatto in dispensa” di Giacomo Legi (1630 circa) e la “Maddalena” di Bartolomeo Guidobono (1670-1675 circa).  Nella prima tela un piccolo felino furtivo è prossimo ad agguantare la sua preda ambita: un saporito e grasso pesce lucente, che sembra ritrovarsi in un equilibrio precario, come ogni altro elemento della composizione collegato a esso. Cosa accadrebbe se il gatto riuscisse nel suo intento? Forse con grande fragore ogni oggetto cadrebbe a terra, la gallina, spaventata, razzolerebbe via e il gatto verrebbe inseguito da qualche fantesca inferocita. In realtà, il fascino della pittura consiste proprio in questo: la provvisorietà di ogni condizione e paradossalmente l’urgenza da parte dell’uomo di voler bloccare ostinatamente l’attimo fuggente. La seconda opera ci fa riflettere sull’inarrestabilità del tempo e lo stretto legame tra la vita e il nulla, tormento e incognita per ogni uomo.

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Caravaggio - Ecce Homo (1606 circa)


Bartolomeo Guidobono, Maddalena (1670-1675 circa; olio su tela, 80 x 58 cm; Collezione privata)

martedì 7 maggio 2019

ARTE ITALIA - Il pittore crotonese Gaele Covelli tra i maestri esposti al ''Museo della follia'' di Lucca: l'esposizione e' curata da Vittorio Sgarbi

Romano Pesavento



Sarà visitabile a Lucca fino al 18 agosto la mostra curata da Vittorio Sgarbi presso il Museo della Follia nei locali della Cavallerizza e incentrata su un tema per certi versi ancora scomodo, perturbante e controverso: la follia. Non si può rimanere insensibili attraversando le dimensioni indecifrabili e dolenti della “mania”. Colori, forme, grafie si fondono, trasformando immagini in sensazioni e messaggi urlati o suggeriti impercettibilmente al mondo, sordo e distante dalle sofferenze di chi viene considerato “diverso” e conseguenzialmente respinto senza pietà. Appena entrati, una scritta campeggia su sfondo nero e ammonisce “Entrate, ma non cercate un percorso, l’unica via è lo smarrimento”. Successivamente le toccanti parole pronunciate dalla poetessa Alda Merini accolgono il visitatore nel suo viaggio verso l’ignoto. Da Basaglia a Tobino, passando da Freud, la strada della psichiatria cerca di fornire una chiave di lettura adeguata ai misteri ancora insondabili della psiche umana, la cui fragilità in passato era considerata un peccato / colpa da scontare spesso nei peggiori modi possibili. La luce neutra e severa, comune denominatore delle opere presenti nelle sale, enfatizza i tratti delicati e sognanti delle timide “pazze di San Salvi” arabescate con line sinuose e gentili del pittore crotonese Gaele Covelli. C’è chi cuce, c’è chi sta rannicchiata su se stessa, chi spazza, chi viene vestita da un’infermiera, chi abbracciata ad un albero sorride con la mano tra i capelli, chi sembra osservarti. Momenti di fragilità e sperdimento.
Procedendo il prisma della follia si comporrà di mille sfaccettature: la delicatezza dell’adolescente di Silvestro Lega, il cui sguardo sospende la nostra razionalità e disgrega ogni forma di costruttivismo semantico per ricondurci alla fragilità della parola e dell’essere in quanto umano; l’eleganza espressiva della pittrice Fidia Palla, le cui opere emozionanti ci guidano in una realtà popolata da figure umili, semplici, ma vere a confronto con la fugacità del tempo; i suoi disegni comunicano l’armonia della vita; l’esotismo pigmentato e malinconico delle creature di Antonio Ligabue, animali selvaggi ritratti in pose estemporanee nel loro habitat pronti a proiettarsi lungo la scia dell’espressionismo e della creatività; infine le visioni infernali di Francis Bacon ci risucchiano nei vortici abissali dei gironi danteschi. Durante la visita non mancano gli ambienti che propongono la dura verità degli inenarrabili ospedali psichiatrici. Lì non esiste più l’uomo ma l’essere animale privato di ogni sua identità e della sua dignità. 
Per molti l’anormalità è normalità; ma è poi proprio anormalità? 

Reportage fotografico   

        















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