Caro Diario 35
Romano Pesavento
22 marzo. Ritrovo
a Parma Massimo, il mio compagno
di scuola. Mi aspetta alla stazione e, come è nel sua forma mentis di ex
ricercatore, inizia a parlarmi del contesto sociale urbano. È molto informato
sulla realtà parmense: ci ha vissuto per più di un anno.
Discorrendo, mi
conduce quasi per mano lungo la scia della migrazione, fenomeno che, in fondo, ci
appartiene profondamente. Tanti sono gli aspetti della multiculturalità e
multietnicità del luogo, che mi dispiega sotto lo sguardo, come un
prestigiatore.
Sono molto incuriosito dai suoi racconti circa la comunità
nigeriana: la messa in un capannone di periferia triumph in Christ Church; l’Oratoria
‘militare’; il pastore e la moglie; l’obolo danzato; i dialoghi col pastore; il
coinvolgimento emotivo del pubblico; i ritmi dei tamburi, i canti, le scenette,
gli svenimenti, i giovani e i giovanissimi. I vestiti di nero con i fiocchi
gialli, lo stile hollywoodiano dei cartelloni creano un singolare senso di
straniamento.
Mi fa notare che tutto questo non avviene in South Carolina, o ad
Harlem, o in Nigeria. Ma proprio in un capannone nebbioso della periferia di
Parma. I tempi stanno davvero cambiando.
Il girovagare tra
monumenti, chiese e musei offre l’occasione per completare l’analisi relativa a
questa provincia da parte del mio amico. Parma è il centro della ‘Food Valley’.
Da Mutti a Barilla a Parmalat, dal prosciutto cotto al Parmigiano Reggiano (ma
anche la Chiesi
farmaceutica). Cuore vivo dell’economia italiana e simbolo del Made in Italy
nel mondo costituisce ancora un sogno di benessere.
Città di piste
ciclabili e spazi verdi, la Pianura
qui è densa di capannoni e attività imprenditoriali almeno quanto sono le mosche
e zanzare d’estate a Crotone.
Parma ex ducato,
la erre moscia alla francese dei ‘parmigiani del sasso’, e il mito per
conservatori di Maria Luigia.
Massimo è un
fiume in piena, mi elenca tutti i punti nevralgici di questo mondo in evoluzione.
Gli
extracomunitari (asiatici o africani) hanno avviato tutta una serie di attività
e “colonizzato” alcune aree ormai di loro esclusiva pertinenza: il piazzale
della Pace (Pilotta), il tempio sikh di via Mantova, la moschea di via
Campanini, i parcheggi di via Volturno, via Abbeveratoia, viale dei Mille e
viale Vittoria, i quartiere di Golese e di Vigatto, via Palermo, via XX
settembre, la zona della stazione, l’oltretorrente, il supermercato di viale Piacenza,
i parchi pubblici.
Ma Parma non è
solamente un polo economico; anche qui c’è molta criminalità, soprattutto in un
contenitore “umano” così composito. Ricorda, per esempio, l’invasione delle
moldave e l’assistenza agli anziani, quando va bene; diversamente l’inferno
della tratta. Alcuni ragazzi ci chiedono dove vendono il ‘panino’ al parco
Falcone e Borsellino (spaccio di droga), mentre passeggiamo. Indichiamo loro il
supermercato lì vicino….. Ci avranno preso per due idioti. Meglio così.
Per fortuna nelle
scuole fa le sue prove la società multiculturale di domani; sono già oggi
laboratorio d’integrazione (o di conflitto). Italiani a tutti gli effetti.
Lingua italiana, cuore africano. Moldavo. Cinese.
Il quadro si
completa con la fotografia dello “straniero interno”, gli immigrati meridionali. Sono anche qui tanti calabresi, come i
padroncini cutresi e gli isolani. La ndrangheta qui è arrivata da un pezzo, ma
anche tanta gente onesta. Ci salutiamo e riprendo la mia strada da solo.
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