Caro Diario 18
Romano Pesavento
07 gennaio 2014.
Ritornare dopo le feste è sempre un po’ triste. Le luci colorate piano piano si
spengono, scompaiono. L’atmosfera si incupisce. Il buonumore disegnato sui
volti della gente comune improvvisamente cede il posto all’austerità. La
campana della chiesetta dei Santi Giacomo e Margherita scandisce con i suoi
melodiosi rintocchi la fugacità del tempo.
A scuola il
lavoro procede intensamente: è tempo di scrutini. Alcuni ragazzi mi portano i
compiti assegnati durante il periodo di sospensione dell’attività didattica. Si
tratta di alcune impressioni sull’importanza dei contenuti disciplinari e il
metodo didattico.
Rimango piacevolmente sorpreso; certo, si potrebbe dire che
difficilmente i giovani si abbandonano a critiche negative nei confronti del
proprio insegnante esplicitamente; tuttavia, credo che da spiriti pratici,
quali molti di loro sono, abbiano colto la spendibilità immediata, l’utilità
concreta della materia. Il diritto serve a difenderti; meno ne sai, più ti
fregano. Questo concetto di facile comprensione arriva anche agli adolescenti.
Gabriella: Il
corso di diritto che ho seguito fino a ora è stato molto interessante, perché
la lezione è sempre attiva, nel senso non parla solo il prof, ma esponiamo
anche noi le nostre idee.
Giulia: Questo
corso è molto istruttivo, mi ha insegnato molte cose nuove, e sono cose che
tutti dovremmo sapere, si vivrebbe molto meglio.
Fernando ..mi
piace tanto il metodo di studio utilizzando le nuove tecnologie. Questi metodi
rendono le cose più piacevoli invece di studiare soltanto sui libri.
Il pomeriggio mi
trasferisco in una nuova casa in pieno centro. La vista panoramica dalla camera
da letto è straordinaria. La nebbia violacea a fondo valle sembra una cortina
fumogena da concerto rock, mentre il cielo striato di molteplici colori si
staglia riverberando contro il profilo delle montagne scure.
Sono piuttosto
inquieto, nel cervello ritornano quelle idee semplici e sensate espresse
timidamente sui fogli di carta; il futuro dei ragazzi è davvero incerto.
Lo è
già il mio e quello di tanti altri più vecchi di loro, di noi. La sensazione
netta è che tutto sia fermo e impantanato. Specialmente al Sud. Crotone, come
sanciscono ufficialmente, e per l’ennesima volta, le diverse classifiche
d’inizio, fine o metà anno, risulta, tra le province italiane, all’ultimo posto
per ricchezza individuale e possibilità occupazionale.
A dire il vero, non è
che non sia evidente per tutti la miseria o lo stato di disfacimento generale
in cui versa la città: in realtà, ogni anno, si ribadisce tale concetto con i
vari dati e sondaggi – perennemente negativi – di rito; tuttavia, però, sono
soprattutto la qualità della vita, le reazioni che si stabiliscono tra le
persone, la fiducia, ormai, irrimediabilmente compromessa nelle istituzioni e
nel futuro, a denunciare la lenta, ma inesorabile agonia della provincia.
Certo,
l’occupazione, da noi, ha toccato i livelli minimi storici; ma ciò che, forse,
dovrebbe indignare di più è la proliferazione del lavoro nero. I “ggiovani”, categoria amatissima e
riveritissima soltanto in campagna elettorale, vengono spremuti come limoni e
sfruttati con contrattini – capestro, che, spesso, non garantiscono o tutelano
neanche i diritti più basilari del lavoratore.
Il neoassunto,
in prova, deve sgobbare come un dannato, con stipendi da fame, per due o tre
mesi, nella speranza di veder consolidate le proprie posizione e retribuzione.
Di solito, alla fine dei tre mesi, il poveretto viene, invece, congedato in
modo, a dir poco, sbrigativo: avanti un altro volenteroso e
vantaggioso(!)“melone” (visto che si parla di “prove”) da affettare per qualche
altra settimana,fin quando convenga.
Il mondo del
lavoro appare, oggi, brutale, amorale e spietatissimo; in questo, come era
prevedibile, la nostra città si segnala per i propri straordinariamente
invidiabili primati.
Infatti, a
Crotone, il lavoro non conta. Si pretende tanto e si dà molto poco: anzi, il
giovane al quale viene, magnanimamente, “elargita” l’opportunità di sudare – e
impratichirsi! – con lauto guadagno altrui, dovrebbe essere pazzamente felice
di contribuire alla propria crescita professionale, senza mai ricavarci il
becco di un quattrino. Che dannate pretese: imparano e pretendono pure di
essere remunerati!
In tutto il
meridione, invece, e particolarmente qui, si è ostinatamente e pericolosamente
radicato nelle teste dei datori di lavoro di tutte le estrazioni sociali il
concetto che l’aspirazione massima di ogni giovane commesso, addetto, operaio,
tirocinante, impiegato etc. sia quella di “buttare sangue” “gratis et amore”,
così, per sport. Si approfitta con vigliacca ingordigia della terribile crisi
economica che attanaglia l’Italia, per ingrassarsi, senza limite o pudore, alle
spalle delle categorie più deboli, costrette, dalle circostanze e dal contesto
ostili, ad abbandonare stima e dignità personali alle ortiche, pur di
recuperare qualche euro. Purtroppo, tale situazione non riguarda soltanto i
lavoratori che non abbiano raggiunto un grado d’istruzione superiore, ma si verifica, anche e soprattutto, nel caso
dei giovani laureati. Frotte di ragazzi, magari dopo anni di studi e sacrifici
dei genitori, vengono adescati con promesse da sirene, per poi venir torchiati
ben bene e scaricati,senza alcuna forma
di tutela,dai vari padroni. Il “Padrone”- figura quasi biblica come il
Leviatano - direbbe qualcuno, sorridendo bonariamente – “Non esiste più!”. Oh,
no, esiste ancora. Dietro altri nomi, con altri panni, difeso da altri maneggi,
da altre collusioni, ma è sempre lì. Non scordiamolo Marx in alcune parti del
Capitale lo aveva predetto.
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