lunedì 13 ottobre 2014

Cesena, Forlì e la Romagna

Caro Diario 20




Romano Pesavento



18 gennaio. Fuga verso Cesena e la Romagna. Nel treno guardo dal finestrino i paesaggi che si susseguono velocemente. 
Mi piace osservare gli scenari che rapidamente si compongono davanti a me: strade sterrate, dritte come spade, percorse da trattori rumorosi attraversano le enormi distese pianeggianti, verdi smeraldo, che si disperdono fino all’orizzonte, piccoli agglomerati di case disegnano mondi rupestri sconosciuti, i volti tristi, pensierosi, allegri, seri delle persone  sostano nei piazzali delle stazioni, la calma apparente dei paesini con il loro traffico ordinato e la perfezione colorata degli edifici. E’ un po’ come vedere la sequenza di un film.

Così il tempo passa e il capotreno annuncia la fermata della città dei tre papi. Le nuvole si addensano grigie e minacciose. 
Ad attira la mia attenzione l'"Emblema" e il "Motto" dei Malatesta all'ingresso della Biblioteca (Mémoire du Monde): "l'elefante indiano non teme le zanzare". C’è della pungente ironia nascosta in quell’incipit penso alle tante “zanzare”  crotonesi.   
C’è un enorme mercato in piazza del popolo, flussi di persone si spostano disordinatamente. Non è per niente semplice muoversi in quel caos. Sopra di me troneggia dalla collina la Rocca Malatestiana. La "frase" di Renato Serra all'ingresso: “..un passo dietro l'altro su per la rampata di ciottoli vecchi e lisci con un muro alla fine e una porta aperta sul cielo e di là il mondo” si adatta perfettamente al mio spirito errabondo e inquieto.


Corro a perdifiato per non perdermi nulla: so bene che la calma e il tempo sono condizioni necessarie per godere dell’arte nel modo migliore; ma nella mia frenesia e nella mia febbre di vedere quanto più posso in ogni occasione, preferisco schizzare come una scheggia impazzita e comunque conservare vivide impressioni nella mia testa, che stazionare come un corpo morto in un angolo di una sala d’attesa, abbandonato ai miei tarli. Ore 14, si riparte verso una nuova meta: Forlì. 
Nonostante, il suo soprannome dialettale “Zitadon”, il “Cittadone”; la città è deserta. Non c’è molto da vedere: la piazza Saffi con l’abbazia di San Mercuriale è dotata di un certo fascino, ma il resto è deludente. Ormai è davvero difficile sorprendermi, lo ammetto!    

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