domenica 12 ottobre 2014

Un viaggio lungo un anno


Pagine di diario 1


Romano Pesavento 


Certo non è facile capire nel turbolento mondo della scuola quale sarà la tua prossima meta da precario. Unica probabile certezza è che, dopo aver passato gli ultimi otto anni della propria vita ad accrescere il punteggio per scalare disperatamente posizione su posizione una graduatoria che sta lì da anni immemorabili, forse si può sperare nella chiamata fatidica tra il mese di settembre e il mese di ottobre. E così, passato settembre 2013, ecco arrivare nella mia casella di posta elettronica una e-mail dalla città di Bologna. Trascorsa qualche ora di riflessione/consultazione frenetica  e bruciata ogni effimera illusione , scoprendo di non essere predestinato per la città dei tortellini, ma per un piccolo paesino di nome Loiano, posizionato sulla cima degli Appennini romagnoli, stabilisco di accettare la nomina e di preparare i bagagli. Scarponi, maglioni, abbigliamento da alpinista coperte di lana spesse più di un centimetro riempiono l’enorme involucro fedele da trascinare per più di mille chilometri. Tutankhamon aveva decisamente un sarcofago più piccolo della mia valigia media.
Ogni nomina è una storia a sé e suscita sentimenti ambivalenti: ti serve partire, ma non sai cosa troverai, come verrai accolto, che tipo di esperienze umane gradevoli o meno incontrerai. Dopo il Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, tocca così alla godereccia Emilia Romagna. A Loiano è localizzato l’istituto per l’agricoltura e l’ambiente “Luigi Noè”, presso il quale insegnerò Diritto ed Economia per un anno intero. Arrivo la sera del 09 ottobre, c’è una nebbia fitta e violacea; un ragazzino sulla corriera proveniente da Bologna mi indica la fermata per scendere. Anche se di martedì non si può pretendere tanto movimento neanche a Roma, l’atmosfera desolata  è irrimediabilmente troppo spettrale. Nessun essere umano all’orizzonte e nemmeno animale. I lampioni  illuminano di giallo iridescente il selciato umidiccio dell’unica strada che attraversa il paese da parte a parte. Come in un vecchio western di Sergio Leone, i miei passi, meridiane nerastre, scandiscono i minuti di una solitudine interminabile. I negozi sono chiusi. Tutt’intorno è silenzio e ordine. Dopo qualche istante arriva il mio futuro padrone di casa, che mi conduce alla mia prossima dimora: un pianterreno in una villetta appena fuori dal centro urbano. Si chiama Paolo ed è il classico ex professore cordiale e amante della cultura. Anche lui, come me, è un “ragazzo venuto dal Sud”. Anche lui, fatti tanti sacrifici e sogni, ha deciso di lasciare la sua terra per darsi una possibilità. Anzi, proprio chi ha studiato e costruito una sua coscienza civile ha ancora più obblighi verso se stesso e quelli che lo amano. Non è facile però rispettare il proprio imperativo categorico. Soprattutto in tempi poveri di ideali, di possibilità, di fiducia come questi. Sarà per questo motivo, l’esperienza umana che affratella, che fin dal primo approccio mi accoglie con simpatia, spiegandomi in pochi istanti le caratteristiche specifiche del posto in cui sono arrivato: riservatezza estrema e laboriosità.
Arrivato a casa, dopo aver preso una pizza presso la locanda storica dell’Antico stradello, cado in un sonno catatonico. Mi sveglio alle 08.00, mi vesto ed esco. La giornata è fresca e nuvolosa. Mi reco presso la mia nuova sede di lavoro. Cammino speditamente e giungo a scuola. Qui tutti mi aspettano e sembrano chiedersi quanto riuscirò a resistere nel pacato e gelido eremo da -14° durante l’inverno. Incontro gli studenti, vivaci ma affabili, con i quali dialogo e faccio conoscenza. C’è un mescolanza incredibile di caratteri che compongono un quadro eterogeneo, bizzarro e interessante di  giovani coscienze in divenire; alcuni sono semplici e dimessi, altri un po’ guasconi. C’è perfino chi si atteggia a consigliere nei confronti del “forestiero” poco pratico del posto. Suonata la campanella e terminate le lezioni, posto su facebook la mia attuale destinazione. Gli amici della rete mi sostengono, ciascuno a suo modo, direbbe Pirandello: Mimmo, Buon lavoro prof; Ugo, Preparati ad un inverno piuttosto rigido. A Loiano la neve e il ghiaccio la fanno da padrone; Valentina, In bocca al lupo!; Angelo, Romano, noi comunque ti aspettiamo a Lucca! Non vorrai mica lasciarci così?!; Amodio, Meglio Lucca che Bologna; Elena, Magari fosse Bologna! Ti verremmo a trovare; Lucio, In bocca al lupo….. ma capiterai a Lucca vero??; Antonio, Sembra la Sila (Camigliatello); Stefano, Buon lavoro professore, l'anno prossimo tocca a me e ti raggiungo!; Tanja, Sei stato chiamato a Bologna????; Francesco, Ciao romà ...in bocca al lupo e a presto; Laura, Quindi quest'anno lavorerai in Emilia? Buon anno scolastico!.....  
L’impatto non è malvagio; malgrado tutto, sento che questa esperienza contribuirà a costruire un mio precorso di vita ancora più intenso, se “sopravvivo”.
Passano le ore, i momenti sempre ripetitivi e privi di sorprese cadenzano il tempo e il cervello si affretta a cercare soluzioni immediate al proprio benessere spirituale in pericolo. Così mosso dalla voglia di conoscenza e da una spinta interiore, quasi compulsiva, verso luoghi, fatti, personaggi di rilevanza storica o culturale, mi precipito al primo pullman, sapendo che sarà solo l’inizio di un viaggio -  mosaico, intessuto da mille sfaccettature colorate, giustapposte con caotico metodo. Il metodo è tutto; la curiosità va oltre il metodo stesso.     

Il viaggio è esercizio, contemplazione, incontro, possibilità. Ricerca di se stessi e dell’altro. Ognuno potrebbe elencare 2 o 3 motivi validi per farlo. Posso dire che non riesco a concepire la mia esistenza se non in funzione dello scambio continuo che solo tale esperienza può regalare. Se stai fermo, semplicemente ti spegni, ti rapprendi e muori. Io non voglio farlo. Non voglio essere sempre  quello che ci si aspetta da me; desidero  essere libero: non esiste libertà all’infuori dello spostamento, dell’incontro col mondo intero, che inequivocabilmente attesta la vita pulsante nelle tue vene. E’ un’esigenza dello spirito o fisiologica come la necessità di ossigenare i polmoni? Poco conta. So che quando chiuderò gli occhi, non mi pentirò della mia vita.     

Nessun commento:

Posta un commento