Pagine di diario 19
Romano Pesavento
Il fine
settimana sono a Piacenza. A passo veloce osservo le
tante meraviglie nascoste nel cuore della città, le annoto sul mio taccuino: i
Musei Civici di Palazzo Farnese (Botticelli, Brescianino, Spolverini, la
pittura lombarda e genovese, il Fegato etrusco, gli affreschi e le carrozze);
la maestosa Piazza dei Cavalli con il Palazzo del
Governatore, la chiesa di San Francesco, il palazzo Gotico e i monumenti
equestri farnesiani; le mistiche basiliche di Sant'Antonino e di San Savino; l’enorme
cattedrale dell'Assunta e i dipinti di Camillo Procaccini, Ludovico Carracci e
Guercino...
E’ come viaggiare nella
storia alla scoperta di memorie dimenticate. Tra le bancarelle del mercato si sentono gli anziani chiacchierare
in dialetto.
Qualche extracomunitario presenzia la zona in attesa di rendersi
utile. Per pochi spiccioli svolgono per lo più azione di facchinaggio. Da
queste parti, gli immigrati sono efficienti.
Difficilmente ciondolano a nugoli
nell’inerzia, come succede a Crotone davanti all’ospedale o davanti ai
supermercati. Qui ti devi dare da fare o fingere di farlo.
Anche se non mi
rimane molto tempo, decido di fare una breve sosta pomeridiana nella quasi “colonia
del Nord” dei cutresi, Reggio Emilia: in molti negozi e luoghi di incontro
senti risuonare l’accento calabro; perfino sui muri ho ritrovato scritte alcune
espressioni “nostre”.
Cutro, Reggio Emilia, due puntini geografici distanti più
di mille chilometri, oggi sembrano ormai coesistere armonicamente. Le distanze
che un tempo le separavano, oggi, dopo due o tre generazioni e orde di africani
veri, sembrano essere svanite.
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