lunedì 13 ottobre 2014

Piacenza, Reggio Emilia e le memorie dimenticate

Pagine di diario 19



Romano Pesavento


Il fine settimana sono a Piacenza. A passo veloce osservo le tante meraviglie nascoste nel cuore della città, le annoto sul mio taccuino: i Musei Civici di Palazzo Farnese (Botticelli, Brescianino, Spolverini, la pittura lombarda e genovese, il Fegato etrusco, gli affreschi e le carrozze); la maestosa Piazza dei Cavalli con il Palazzo del Governatore, la chiesa di San Francesco, il palazzo Gotico e i monumenti equestri farnesiani; le mistiche basiliche di Sant'Antonino e di San Savino; l’enorme cattedrale dell'Assunta e i dipinti di Camillo Procaccini, Ludovico Carracci e Guercino...
E’ come viaggiare nella storia alla scoperta di memorie dimenticate. Tra le bancarelle del mercato si sentono gli anziani chiacchierare in dialetto. 

Qualche extracomunitario presenzia la zona in attesa di rendersi utile. Per pochi spiccioli svolgono per lo più azione di facchinaggio. Da queste parti, gli immigrati sono efficienti. 
Difficilmente ciondolano a nugoli nell’inerzia, come succede a Crotone davanti all’ospedale o davanti ai supermercati. Qui ti devi dare da fare o fingere di farlo.

Anche se non mi rimane molto tempo, decido di fare una breve sosta pomeridiana nella quasi “colonia del Nord” dei cutresi, Reggio Emilia: in molti negozi e luoghi di incontro senti risuonare l’accento calabro; perfino sui muri ho ritrovato scritte alcune espressioni “nostre”. 
Cutro, Reggio Emilia, due puntini geografici distanti più di mille chilometri, oggi sembrano ormai coesistere armonicamente. Le distanze che un tempo le separavano, oggi, dopo due o tre generazioni e orde di africani veri, sembrano essere svanite.

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