Pagine di diario 2
Romano Pesavento
E’ sabato 12. Decido
di esplorare l’antica Felsina degli Etruschi. Bologna è veramente la dotta.
Ogni angolo racconta momenti di storia, di arte, di valore universale. Le leggende saturano l’aria di mistero e
poesia.
Nelle stanze gloriose di Palazzo Fava, oggi denominato
Palazzo delle Esposizioni, alzo gli occhi e vedo i soffitti in legno intarsiati,
che compongono, insieme alle immagini affrescate dai Carracci, molteplici
prospettive aeree di armonia ancestrale. I miti di Giasone e Medea sembrano rivivere
nelle varie scene. I personaggi con i loro volti espressivi, i paesaggi strutturati
in modo accurato, seppur rarefatto, dipanano il mito della storia umana.
Sparse qua e là le statue di Arturo Martini, scultore
del Novecento, presenziano una mostra dagli aspetti peculiari. L’idea di
intitolarla “Creature, il sogno della
terracotta - Armonie, figure tra mito e realtà” oltre ad essere
esplicativa, esprime anche un lucido desiderio di far rivivere ogni ambiente
attraverso le forme e il codice estetico del tempo.
Qualche passo e il portone del museo medievale si
spalanca davanti al mio naso. C’è un passato nobile da riscoprire in ogni
angolo; nella penombra appaiono sotto i miei occhi i famosi codici miniati e corali:
l’oro, gli smalti, le figure delicate costituiscono un autentico momento di tripudio
per l’anima. L’addetto mi accende le luci soft e con aria compiaciuta mi fa capire
che quelli sono i pezzi più importanti del complesso museale, ma è implicito.
Sempre nelle vicinanze si erge l’oratorio di San
Colombano con la collezione Tagliavini.
Immagini sacre e strumenti musicali antichi formano un tutt’uno con l’armonia
del suono proveniente da un clavicembalo sfiorato sapientemente dalle dita di
un musicista.
A parte i musei, la città offre tante possibilità di autentico
incanto. I portici, da sempre considerati il suo stendardo nel mondo, il centro
storico, con i vicoli e i negozietti ben curati, da cui la mortadella, i
formaggi e i tortellini troneggiano protagonisti
indiscussi delle vetrine espositive, le vie cittadine popolate da un’umanità
multietnica e provinciale ne delineano l’anima segreta con tratto distintivo inimitabile.
Bologna è così: cuccagna perenne e purezza di spirito (anche alcolico, magari).
Il Nord bolognese è fatto, nonostante la crisi, di un
benessere, di un’operosità e di una sensuale bonomia ignota al resto dei “Padani”,
tendenzialmente più grigi, scostanti e ostili. A Piazza Maggiore Nettuno sta lì
a sorvegliare amorevolmente i passanti. A sinistra il Palazzo di Re Enzo, luogo
in cui la leggenda e il dramma storico si intersecano inestricabilmente; a
destra, la Sala Borsa ,
zona di contemplazione e di studio, dove è possibile ammirare gli scavi
archeologici. Uscendo lungo il muro laterale, rimango vivamente impressionato
dalle tantissime fotografie in bianco e nero formato tessera di chi, durante la Resistenza , ha perso la
vita per rendere possibile la nostra democrazia. E, proprio davanti a me, si
erge la maestosa cattedrale di San Petronio. L’esterno è in restauro e così, a
passo sostenuto, mi dirigo al suo interno. Non si può non rimanere affascinati
dalle tante meraviglie presenti: la cappella dei re magi, realizzata da
Giovanni da Modena, su cui campeggiano l’immagine dantesca del diavolo divoratore
di peccatori e Maometto con la sua barba bianca fustigato crudelmente.
Il bene e il male raffigurati in quest’opera mi suscitano
una bizzarra riflessione: a Crotone, pochi decidono del destino di molti
subalterni, sfogliando nelle loro rubriche i nominativi giusti, come il playboy
cerca la ragazza facile di turno. Se per caso qualcuno degli eletti si dimostra
“serio”, suscita ilarità e scherno. Con la complicità di tutti. A Crotone, i
diavoli si mangiano i buoni.
Mentre le ore, i minuti corrono in fretta lungo le
lancette del mio orologio da polso e la luce pomeridiana si addentra in ogni
spazio della città, decido di recarmi presso Palazzo Pepoli.
Lungo la strada una breve sosta in via Clavature, dove,
nel santuario di Santa Maria della Vita, sono
collocati il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell'Arca e il Transito
della Vergine di Alfonso Lombardi, due fulgidi esempi di come attraverso l’uso
della pietra si possa dare forma alla vita. Tra novità tecnologiche
ultramoderne, ambientazioni storiche riprodotte in scala e raffigurate in sale
multimediali, reperti storici, eccomi a Palazzo Pepoli, certamente tra le mete
più suggestive d’Italia. L’incontro con Apa, divertente cartoon
tridimensionale, frutto della fantasia e della collaborazione di Giosuè Boetto Cohen e di Lucio Dalla, mi
conduce in dieci minuti a scoprire i punti più salienti della storia di
Bologna.
Stordito da tanta bellezza, torno al paesello che già,
come dice Virgilio, le ombre si proiettano più lunghe sulla strada e la foschia
si propaga ovunque, fuligginosa, con ostinata insistenza, sfocando i contorni
delle cose.
Giungo che è già
buio e non mi rimane altro, data la movida loianese, che riscaldarmi
velocemente una minestra precotta e sulle pagine del libro “Le città
invisibili” di Italo Calvino sognare un po’, prima di abbandonarmi a Morfeo.
Fuori la temperatura scende e fa molto freddo; a Crotone invece molti vanno
ancora al mare e passeggiano disoccupati sul lungomare vivacchiando con i soldi
di papà, in attesa del solito contentino da parte di chi, abile venditore di
fumo, vive sontuosamente con le promesse e gli inganni. “Vissi d’arte, vissi
d’amore”….
La vita, intanto,
trascorre pigramente in attesa della pioggia autunnale, che, puntualmente, si
presenta ogni sera; i colleghi quotidianamente a scuola mi “rincuorano
pietosamente” su come l’inverno cupo e freddo colorerà di bianco tutto ciò che
a perdita di vista si scorge per almeno quattro mesi. Non è una scuola grande
la nostra. Tranne quattro colleghi il resto è costituito da pendolari con
percentuale vistosissima di sfigatissimi precari. C’è qualche calabrese,
siciliano e napoletano. Anche qui costituiscono la maggioranza del personale in
servizio. Mauro, l’ingegnere napoletano doc, mi racconta che è il suo primo
incarico di lavoro nella scuola, non è abilitato ed è stato appena licenziato
da un’azienda di call center in cui operava
con turni da ilota per una paga misera; Antonella, la calabrese, lavora nel
sostegno e sta dietro ad alcuni casi veramente critici; durante le lezioni ha
sviluppato una resistenza pneumatica da mezzofondista per assicurare la sua
presenza tempestivamente e fornire il suo aiuto a chi ha bisogno. Anche lei è
una precaria, dopo anni passati ai confini della Svizzera, ha dovuto optare per
questa soluzione di vita, perché successivamente all’ultima riforma è stata
eliminata la sua classe di concorso. Paola
e Roberta, due ricercatrici senza più contratto, che, con un curriculum
pluridecorato e pubblicazioni scientifiche internazionali alle spalle, sono
dovute ricorrere all’insegnamento per fuggire al dramma della disoccupazione.
C’è Margherita,
messinese, sposata, ma senza figli un po’ per scelta, un po’ per sacrificio. Quest’anno
è entrata di ruolo dopo vent’anni. La sua sopportazione è ormai al limite ed ha
deciso che appena possibile chiederà subito il part time.
Infine, Sandro,
professore siciliano di cinquant’anni, invece, è sposato con figli e sua moglie
vive a Palermo. Tre lustri di precariato al Nord e finalmente è entrato di
ruolo; ma le novità normative introdotte dal ministro Profumo hanno innalzato da
tre a cinque anni il periodo di permanenza nella sede di designazione, prima di
poter fare domanda di trasferimento costringendolo a un periodo supplementare
di lontananza dai propri cari e di danni notevoli al portafoglio. Si dimentica troppo spesso che la vita
di quelli come noi è difficile non solo per la solitudine affettiva, dal
momento che ogni anno ti può capitare di finire in un comune diverso di una
regione che non è la tua, ma anche che i quattrini spesi per galleggiare nella
tua maledetta graduatoria sono un vero e proprio salasso. Cosa ti rimane di
settecento o ottocento euro se ti va bene?
Queste vite,
compresa la mia, sono state stravolte, gettate all’aria, storpiate dalla
riforma che si è abbattuta sulle nostre esistenze misere con la stessa violenza
e ragionevolezza di un grosso sasso scagliato all’entrata di un formicaio.
La scuola non può
diventare un ammortizzatore sociale? La professionalità generosa degli
insegnanti e il futuro di giovani, sempre più criminalmente penalizzati nella
formazione da scelte dettate dal mero risparmio, meriterebbero qualche sforzo
in più…. Soprattutto quando privilegi feudali, stipendi astronomici, immunità
varie permangono. Je acuse!
L’Appennino è molto
bello in questa stagione, bisogna ammetterlo; il giallo che avvolge come una
fiammella ogni albero, l’atmosfera frizzantina e la nebbia che proietta nella
vallata evanescenze lattiginose rendono il paesaggio fiabesco senza tempo.
Goethe è stato qua insieme ad altri ed ha scritto: “Per me l’Appennino è un
pezzo meraviglioso del creato”; ha dormito nella locanda Corona. Oggi, quella
locanda non esiste più, ma in ricordo del passaggio dell’illustre poeta
tedesco, è stata sbalzata nella parete antistante l’ex ingresso una scultura in
pietra con la riproduzione dell’immagine del poeta pensieroso con in mano il
pennino, affacciato alla finestra della sua stanza. Io, per l’ennesima sera,
davanti agli appunti di lavoro, scruto l’orizzonte con in mano un più prosaico
cucchiaio, pronto ad immergersi nella solita minestra senza sale e con a fianco
un’insalatina verde.
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