domenica 12 ottobre 2014

Bologna, la dotta

Pagine di diario 2


Romano Pesavento



E’ sabato 12. Decido di esplorare l’antica Felsina degli Etruschi. Bologna è veramente la dotta. Ogni angolo racconta momenti di storia, di arte, di valore universale. Le leggende saturano l’aria di mistero e poesia.   
Nelle stanze gloriose di Palazzo Fava, oggi denominato Palazzo delle Esposizioni, alzo gli occhi e vedo i soffitti in legno intarsiati, che compongono, insieme alle immagini affrescate dai Carracci, molteplici prospettive aeree di armonia ancestrale. I miti di Giasone e Medea sembrano rivivere nelle varie scene. I personaggi con i loro volti espressivi, i paesaggi strutturati in modo accurato, seppur rarefatto, dipanano il mito della storia umana.
Sparse qua e là le statue di Arturo Martini, scultore del Novecento, presenziano una mostra dagli aspetti peculiari. L’idea di intitolarla “Creature, il sogno della terracotta - Armonie, figure tra mito e realtà” oltre ad essere esplicativa, esprime anche un lucido desiderio di far rivivere ogni ambiente attraverso le forme e il codice estetico del tempo.
Qualche passo e il portone del museo medievale si spalanca davanti al mio naso. C’è un passato nobile da riscoprire in ogni angolo; nella penombra appaiono sotto i miei occhi i famosi codici miniati e corali: l’oro, gli smalti, le figure delicate costituiscono un autentico momento di tripudio per l’anima. L’addetto mi accende le luci soft e con aria compiaciuta mi fa capire che quelli sono i pezzi più importanti del complesso museale, ma è implicito. 

Sempre nelle vicinanze si erge l’oratorio di San Colombano con la  collezione Tagliavini. Immagini sacre e strumenti musicali antichi formano un tutt’uno con l’armonia del suono proveniente da un clavicembalo sfiorato sapientemente dalle dita di un musicista.  
A parte i musei, la città offre tante possibilità di autentico incanto. I portici, da sempre considerati il suo stendardo nel mondo, il centro storico, con i vicoli e i negozietti ben curati, da cui la mortadella, i formaggi e i tortellini  troneggiano protagonisti indiscussi delle vetrine espositive, le vie cittadine popolate da un’umanità multietnica e provinciale ne delineano l’anima segreta con tratto distintivo inimitabile. Bologna è così: cuccagna perenne e purezza di spirito (anche alcolico, magari).
Il Nord bolognese è fatto, nonostante la crisi, di un benessere, di un’operosità e di una sensuale bonomia ignota al resto dei “Padani”, tendenzialmente più grigi, scostanti e ostili. A Piazza Maggiore Nettuno sta lì a sorvegliare amorevolmente i passanti. A sinistra il Palazzo di Re Enzo, luogo in cui la leggenda e il dramma storico si intersecano inestricabilmente; a destra, la Sala Borsa, zona di contemplazione e di studio, dove è possibile ammirare gli scavi archeologici. Uscendo lungo il muro laterale, rimango vivamente impressionato dalle tantissime fotografie in bianco e nero formato tessera di chi, durante la Resistenza, ha perso la vita per rendere possibile la nostra democrazia. E, proprio davanti a me, si erge la maestosa cattedrale di San Petronio. L’esterno è in restauro e così, a passo sostenuto, mi dirigo al suo interno. Non si può non rimanere affascinati dalle tante meraviglie presenti: la cappella dei re magi, realizzata da Giovanni da Modena, su cui campeggiano l’immagine dantesca del diavolo divoratore di peccatori e Maometto con la sua barba bianca fustigato crudelmente.
Il bene e il male raffigurati in quest’opera mi suscitano una bizzarra riflessione: a Crotone, pochi decidono del destino di molti subalterni, sfogliando nelle loro rubriche i nominativi giusti, come il playboy cerca la ragazza facile di turno. Se per caso qualcuno degli eletti si dimostra “serio”, suscita ilarità e scherno. Con la complicità di tutti. A Crotone, i diavoli si mangiano i buoni.
Mentre le ore, i minuti corrono in fretta lungo le lancette del mio orologio da polso e la luce pomeridiana si addentra in ogni spazio della città, decido di recarmi presso Palazzo Pepoli.
Lungo la strada una breve sosta in via Clavature, dove, nel santuario di Santa Maria della Vita, sono collocati il Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell'Arca e il Transito della Vergine di Alfonso Lombardi, due fulgidi esempi di come attraverso l’uso della pietra si possa dare forma alla vita. Tra novità tecnologiche ultramoderne, ambientazioni storiche riprodotte in scala e raffigurate in sale multimediali, reperti storici, eccomi a Palazzo Pepoli, certamente tra le mete più suggestive d’Italia. L’incontro con Apa, divertente cartoon tridimensionale, frutto della fantasia e della collaborazione  di Giosuè Boetto Cohen e di Lucio Dalla, mi conduce in dieci minuti a scoprire i punti più salienti della storia di Bologna. 
Stordito da tanta bellezza, torno al paesello che già, come dice Virgilio, le ombre si proiettano più lunghe sulla strada e la foschia si propaga ovunque, fuligginosa, con ostinata insistenza, sfocando i contorni delle cose.
Giungo che è già buio e non mi rimane altro, data la movida loianese, che riscaldarmi velocemente una minestra precotta e sulle pagine del libro “Le città invisibili” di Italo Calvino sognare un po’, prima di abbandonarmi a Morfeo. Fuori la temperatura scende e fa molto freddo; a Crotone invece molti vanno ancora al mare e passeggiano disoccupati sul lungomare vivacchiando con i soldi di papà, in attesa del solito contentino da parte di chi, abile venditore di fumo, vive sontuosamente con le promesse e gli inganni. “Vissi d’arte, vissi d’amore”….
La vita, intanto, trascorre pigramente in attesa della pioggia autunnale, che, puntualmente, si presenta ogni sera; i colleghi quotidianamente a scuola mi “rincuorano pietosamente” su come l’inverno cupo e freddo colorerà di bianco tutto ciò che a perdita di vista si scorge per almeno quattro mesi. Non è una scuola grande la nostra. Tranne quattro colleghi il resto è costituito da pendolari con percentuale vistosissima di sfigatissimi precari. C’è qualche calabrese, siciliano e napoletano. Anche qui costituiscono la maggioranza del personale in servizio. Mauro, l’ingegnere napoletano doc, mi racconta che è il suo primo incarico di lavoro nella scuola, non è abilitato ed è stato appena licenziato da un’azienda di call  center in cui operava con turni da ilota per una paga misera; Antonella, la calabrese, lavora nel sostegno e sta dietro ad alcuni casi veramente critici; durante le lezioni ha sviluppato una resistenza pneumatica da mezzofondista per assicurare la sua presenza tempestivamente e fornire il suo aiuto a chi ha bisogno. Anche lei è una precaria, dopo anni passati ai confini della Svizzera, ha dovuto optare per questa soluzione di vita, perché successivamente all’ultima riforma è stata eliminata la sua classe di concorso. Paola e Roberta, due ricercatrici senza più contratto, che, con un curriculum pluridecorato e pubblicazioni scientifiche internazionali alle spalle, sono dovute ricorrere all’insegnamento per fuggire al dramma della disoccupazione.
C’è Margherita, messinese, sposata, ma senza figli un po’ per scelta, un po’ per sacrificio. Quest’anno è entrata di ruolo dopo vent’anni. La sua sopportazione è ormai al limite ed ha deciso che appena possibile chiederà subito il part time.    
Infine, Sandro, professore siciliano di cinquant’anni, invece, è sposato con figli e sua moglie vive a Palermo. Tre lustri di precariato al Nord e finalmente è entrato di ruolo; ma le novità normative introdotte dal ministro Profumo hanno innalzato da tre a cinque anni il periodo di permanenza nella sede di designazione, prima di poter fare domanda di trasferimento costringendolo a un periodo supplementare di lontananza dai propri cari e di danni notevoli al portafoglio. Si dimentica troppo spesso che la vita di quelli come noi è difficile non solo per la solitudine affettiva, dal momento che ogni anno ti può capitare di finire in un comune diverso di una regione che non è la tua, ma anche che i quattrini spesi per galleggiare nella tua maledetta graduatoria sono un vero e proprio salasso. Cosa ti rimane di settecento o ottocento euro se ti va bene?
Queste vite, compresa la mia, sono state stravolte, gettate all’aria, storpiate dalla riforma che si è abbattuta sulle nostre esistenze misere con la stessa violenza e ragionevolezza di un grosso sasso scagliato all’entrata di un formicaio.
La scuola non può diventare un ammortizzatore sociale? La professionalità generosa degli insegnanti e il futuro di giovani, sempre più criminalmente penalizzati nella formazione da scelte dettate dal mero risparmio, meriterebbero qualche sforzo in più…. Soprattutto quando privilegi feudali, stipendi astronomici, immunità varie permangono. Je acuse! 

L’Appennino è molto bello in questa stagione, bisogna ammetterlo; il giallo che avvolge come una fiammella ogni albero, l’atmosfera frizzantina e la nebbia che proietta nella vallata evanescenze lattiginose rendono il paesaggio fiabesco senza tempo. Goethe è stato qua insieme ad altri ed ha scritto: “Per me l’Appennino è un pezzo meraviglioso del creato”; ha dormito nella locanda Corona. Oggi, quella locanda non esiste più, ma in ricordo del passaggio dell’illustre poeta tedesco, è stata sbalzata nella parete antistante l’ex ingresso una scultura in pietra con la riproduzione dell’immagine del poeta pensieroso con in mano il pennino, affacciato alla finestra della sua stanza. Io, per l’ennesima sera, davanti agli appunti di lavoro, scruto l’orizzonte con in mano un più prosaico cucchiaio, pronto ad immergersi nella solita minestra senza sale e con a fianco un’insalatina verde.          

Nessun commento:

Posta un commento