martedì 14 ottobre 2014

Una passeggiata lungo le vie di Padova tra ricordi e arte

Caro Diario 33



Romano Pesavento

07 marzo. Padova occupa un posto speciale nella mia storia personale: da una parte mi ricorda la figura di Berlinguer, dall’altra i miei primi viaggi. Eventi emotivamente coinvolgenti legati alla mia infanzia. Quando avevo circa dodici anni, in televisione vidi scorrere le immagini dell’ultimo drammatico comizio del Segretario del PCI. A casa tutti ne parlavano. 
Mi avevano spiegato che era un uomo giusto, onesto, dai grandi ideali. Era il 7 giugno e rimasi per tutto il periodo sintonizzato sull’evoluzione della sua sorte. 
Alla sua morte, provai quel dispiacere che si avverte nel momento in cui scompare un parente caro, un nonno, uno zio. 

A quei tempi ero un piccolo simpatizzante della sinistra; spesso andavo alla festa dell’Unità con i miei genitori. Per l’occasione veniva chiusa al traffico tutta via Regina Margherita. Tanta gente affollava i viali brulicanti di bancherelle e bandiere rosse. 
Mi piaceva tanto. Alcuni giochi attiravano l’attenzione sia di grandi che piccini, come quello del coniglio. Era un continuo gridare, incitare per far sì che l’animale entrasse in una delle tante scatole. Probabilmente il roditore non apprezzava tutto quel trambusto, ma io all’epoca non lo capivo.
Oggi la festa non c’è più e neanche il partito. 
Gli uomini sono diventati conigli e spontaneamente corrono in cerca di una propria scatola. L’eredità morale è stata tradita completamente.
Da piccolo, partivo insieme alla mia famiglia con il treno da Crotone, per recarmi a Bassano del Grappa, paese d’origine di mio padre, emigrato negli anni ’70 per motivi di lavoro, paradossalmente, dal Nord al Sud. Dopo una notte passata in cuccetta si cambiava, prima a Bologna e poi Padova. Questa meta per me significava già assaporare l’aria della mia destinazione finale. 
Aspettavo con tanta gioia quel viaggio, perché mi affascinava la possibilità, attraverso quel magico sentiero ferrato, di raggiungere paesi lontani, suggestivi, straordinari. Bastava una notte di sonno, e i paesaggi, e gli accenti e i visi magicamente cambiavano. Cavalcando la locomotiva, pensavo di arrivare ovunque e acciuffare quel sogno di estrema libertà, mi entusiasmava già allora.
Uscito dalla Cappella degli Scrovegni, mi persuado che Giotto abbia oscurato in espressività, perfino Dante e Cimabue.

Errabondo giro per le meraviglie di questo luogo riscoprendo e assaporando frammenti del mio passato.
Il telefonino squilla. È mia moglie. Chiacchieriamo un po’: le racconto quello che ho visto e le sensazioni che ho provato. Viaggiare è un’esperienza da comunicare, da raccontare, da condividere. Un po’ come succede quando un libro ti colpisce e lo passi al tuo migliore amico; cercare di rivivere le tue emozioni attraverso le parole è un modo efficace per fissare i ricordi e per farti conoscere meglio dagli altri.  
I viaggi dicono di noi, delle nostre inclinazioni, dei nostri valori più di mille vuote conversazioni. Spenderei fino all’ultimo euro pur di partire in compagnia delle persone care. 
A Ferrara c’è la mostra di Matisse. Ho poco tempo, ma farò l’impossibile per vederla. Rientro a Loiano stanco morto ma soddisfatto.    



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