lunedì 16 marzo 2009

Memorie dal confine 29

Riconoscere apertamente un errore, scoprirne le cause analizzare la situazione che l’ha generato, studiare attentamente i mezzi per correggerlo; questo è indizio di serietà di un partito

Un passo avanti e due indietro!

Essere comunista vuol dire essere umano, rinnovare in termini moderni l’esperienza paolina:“sono diventato tutto con tutti per fare salvi”


di Romano Pesavento

Il travaglio critico che mi spinge, ancora una volta, a fare qualche serena riflessione sugli amministratori locali è l’effetto sia del enorme dissesto in cui si trova, oggi, l’ambiente socio-economico crotonese, sia della scadente azione politica esercitata dalla classe dirigente. Certamente, da un lato è positivo che a gestire la cosa pubblica nella nostra città è una coalizione di centro-sinistra; tuttavia i fatti, le promesse che tutti noi ci aspettavamo all’indomani delle elezioni purtroppo rimangono disattese. Naturalmente, sono dell’idea che a Crotone non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca. O meglio, quando si vogliono queste due cose si ottiene soltanto una deformazione della realtà, destinata sempre più a diventare caricaturale, e una politica democratica su cui grava nella società l’ombra del sospetto e che in fondo è affetta da “doppiezza”, “equivoco”, etc. fra gli stessi dirigenti politici.
A questo punto, partendo dalla considerazione che un concetto deve essere sempre esplicitamente chiarito e, soprattutto, massimamente condiviso, credo sia opportuno ricordare e farne tesoro quanto lo stesso Pietro Secchia ribadiva più volte nei suoi discorsi: “Riconoscere apertamente un errore, scoprirne le cause analizzare la situazione che l’ha generato, studiare attentamente i mezzi per correggerlo; questo è indizio di serietà di un partito; questo si chiama adempiere il proprio dovere, educare e istruire la classe, e quindi le masse” (cit. Lenin sta in Secchia P., Migliorare l’attività del partito per rafforzare l’unità, le lotte e l’organizzazione dei lavoratori, sta in Verso il VII congresso del PCI comitato centrale del PCI 10-12 ottobre 1950)
A Crotone, oggi, non si hanno idee chiare, non c’è una prospettiva, non si fa una scelta, ma ci si abbandona ad una sorta di cauto possibilismo che significa mancanza o logorio di principi. Manca il lavoro teorico che si fondi sull’analisi dell’attuale situazione. Ma in ogni caso, la gente vuole sapere verso che cosa si va, verso che cosa ci si propone di andare: ben s’intende, che le circostanze sono imprevedibili e non ipotecabili, ma la gente oggi ti segue solo se sa quali saranno le linee e le strategie politiche. È, quindi, un problema di scelte, di alternative cui non si sfugge: e mettersi a cavallo delle scelte inevitabili e perentorie non aiuta a restare in sella a lungo senza essere prima o poi disarcionato. Non si tratta solo di imparare ad analizzare la situazione, a dipingere e a fotografare il quadro, ma dobbiamo studiare e mettere in rilievo di più nei rapporti che cosa dobbiamo fare per cambiare un simile quadro.
In merito a ciò ricordo che basta leggere qualche libro di economia recente per capire che nella teoria economica, oggi, assume un ruolo sempre più importante la connessione tra dimensione locale e sviluppo di un area. In particolare, prende piede la necessità, sia a livello economico che empirico, di indagare fenomeni ed esperienze territoriali produttive. Tutto ciò con l’auspicio di poter fornire, naturalmente, al policy maker le informazioni necessarie a disegnare un piano di sviluppo concreto ed efficace. Occorre ribadire che è, certamente, difficile sostenere che oggi si sappia quale o quali fattori siano in grado di avviare un processo di sviluppo che sia in grado di autosostenersi nel tempo. Ciò che si può invece affermare con certezza è che la dimensione geografica e locale ha avuto - e anche oggi ha - un ruolo decisivo nell’individuazione di alcuni di questi fattori.
In altre e più semplici parole, si è riconosciuto a livello teorico oltre che empirico la necessità di indagare fenomeni ed esperienze territorialmente ben definite in una ricognizione dell’esistente che dia informazioni utili al policy maker per disegnare un piano di sviluppo che parta appunto dalle particolari caratteristiche di una area ben definita.
Detto questo, passo adesso all’azione politica. È importante, oggi, rafforzare e sviluppare l’unità della sinistra, per fare sì che essa costituisca una forza sempre più efficiente di influenza e di attrazione nei confronti della popolazione democratica e degli altri strati sociali. Certamente, se si vuole costruire anche nella nostra realtà l’unità delle sinistre, occorre non formalizzarsi su degli schemi astratti e sulle divisioni politiche, ma lavorare sulle azioni comuni. A tal proposito, è importante ricordare quanto lo stesso Secchia scriveva in una lettera indirizzata a De Martino: “Il primo passo verso la concretezza è quello di operare per difendere quell’unità che già è realizzata, ma che occorre rinsaldare, consolidare, in un certo senso rifare ogni giorno perché ogni giorno la vita ci pone problemi sui quali è possibile non soltanto lo scontro, ma soprattutto l’incontro. Per ogni due questioni su cu possiamo non trovarci d’accordo, ve ne sono sempre dieci sulle quali socialisti e comunisti dobbiamo e possiamo essere uniti. E sulle questioni sulle quali non ci troviamo d’accordo dobbiamo discutere pazientemente, fraternamente, con il pieno diritto reciproco di sostenere le nostre opinioni, senza la pretesa di imporle agli altri, con la convinzione legittima che ognuno ha di essere nel giusto, ma senza pretendere di possedere, noi o loro, la verità assoluta. In ogni caso, la nostra verità dobbiamo saperla dimostrare ai compagni socialisti, ai lavoratori di altre correnti politiche. Il ragionamento, naturalmente, vale anche per i compagni socialisti nei nostri confronti. Dobbiamo discutere e persuadere con la convinzione che fra uomini i quali vogliono sul serio realizzare il socialismo deve essere sempre possibile intendersi. L’intesa sarà sempre possibile e con i lavoratori socialisti e con i lavoratori d’ispirazione socialista e con i lavoratori di altre correnti politiche sul terreno delle lotte che dobbiamo condurre, non fuori dalla lotta perché al socialismo non si arriva senza le lotte economiche e politiche delle grandi masse popolari.” (lettera di Pietro Secchia a Ernesto de Martino,18 dicembre 1956 sta in Di Donato Riccardo, Compagni e amici, La nuova Italia, 1993, pg. 21 e seg.)
D’altronde, anche Togliatti in alcuni suoi discorsi e articoli aveva posto in essere tale questione. Ricordiamo, infatti, che in un articolo su Rinascita così scriveva: “Noi manteniamo, per lo sviluppo del movimento delle classi lavoratrici del nostro paese, la prospettiva che abbiamo senza equivoci indicata nelle nostre più recenti decisioni. Vediamo, vogliamo mantenere aperta in tutte le direzioni e tendiamo a realizzare la possibilità di un incontro, di una comprensione reciproca e di una intesa tra tutte le forze organizzate che si muovono per avanzare verso il socialismo attraverso un rinnovamento democratico e una riforma delle strutture economiche e politiche del nostro paese. Questa non è, per noi, una frase da inserire, allo scopo di aver applauso, in un comizio orientato, per il suo contenuto, in senso precisamente opposto. È una prospettiva reale, che vogliamo attuare con un grande lavoro, di elaborazione politica e di critica (…) Da tutta la storia nostra, dai dibattiti interni, dagli insuccessi, dai successi e dalle vittorie che abbiamo riportato esce una vocazione unitaria, alla quale restiamo e resteremo fedeli.” (Togliatti, P., Dialettica unitari, Rinascita, 1964)
Che cosa si deve concludere da tutto questo? Si deve concludere che bisogna al più presto mettere da parte qualsiasi astio, ostilità e cominciare a lavorare seriamente sulle azioni politiche e i programmi. Un esame sereno e oggettivo dei fatti ci porta, infatti, a ritenere che nel periodo in cui oggi viviamo è necessario se non essenziale stare uniti per gestire e governare i processi.
A questo punto, possiamo anche questa settimana trarre le nostre conclusioni. Ai nostri lettori proponiamo un breve testo di Ernesto De Martino, il quale spiega, con parole semplici e ricche di saggezza un modo di essere, che per lo scrittore dovrebbe costituire l’essenza dell’agire politico di tutti coloro che si riconoscono nei valori del socialismo e del comunismo. Purtroppo, raramente, oggi, specie nel nostra realtà, possiamo ritrovare una tale potenza di significato così evocativa e suggestiva. “Essere comunista vuol dire essere umano, rinnovare in termini moderni l’esperienza paolina: “sono diventato tutto con tutti per fare salvi”.
Essere comunisti vuol dire volgersi al mondo dei poveri e dei semplici, a quella parte dell’umanità che gli uomini cercano di mantenere fuori della storia e che vive orfana nella nostalgia di una cultura che sta come un al di là vago e misterioso.
Essere comunisti significa sentire la vergogna, anzi la colpa, di tutto lo spirito che potrebbe essere e che non è, di tutta la bellezza deviata, di tutta la verità rimasta a bella strada (sic), di tutta la vita morale soffocata, di tutta l’umanità e la cultura insidiata a cagione del modo di esistenza e della società.” (Ernesto de Martino, pensieri, 25 maggio 1961)
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 25 del 22/06/2007

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