martedì 10 marzo 2009

Memorie dal confine 17

“La nostra è un’epoca di malafede, cioè di credenze mantenute a forza, in odio ad altre e, soprattutto, in mancanza di altre genuine”

Le rane chiedono un re


“Oggi la moneta cattiva scaccia la buona. Le “menzogne utili” corrodono le verità “inutili”, quelle che non servono a orientarsi decisamente nelle circostanze presenti, a dominarle e, più ancora, a adattarvisi”


di Romano Pesavento

Si avvicinano le feste pasquali: molte colombe bianche, farcite di crema, cioccolata o canditi, tornano a volare sulle tavole gioiose dei crotonesi -sempre per chi può far ancora onore come si conviene a tale ricorrenza- e su quelle, ancora più fastosamente imbandite, dei nostri onorevoli, che, invece di sicuro, adempieranno con zelante scrupolo al dovere di “rispettare” le tradizioni della festa “adeguatamente”, anche –e soprattutto!- per conto e in rappresentanza di chi non può. In questo periodo, però, intercorrono altre “scadenze” e “riti” di una sacrosanta rilevanza, dal momento che proprio la fine di marzo ci consegnerà un importante avvenimento: il congresso provinciale del PDS. Non si poteva scegliere periodo migliore, considerato il proverbio che etichetta questo mese: Marzo pazzerello, esci con il sole ma porta l’ombrello. Già, bastasse un buon ombrello in una simile epoca di transizioni meteorologiche e non! In realtà,a parte lazzi e frizzi, la sfida politica che si gioca sarà molto importante, sia per il presente che per il futuro della nostra città. Certamente, chi mi segue su questa rubrica da più tempo, avrà avuto modo di rilevare le critiche e le opinioni espresse, anche in relazione a questo argomento, nei miei articoli. Semplicemente, su, tale, ultima questione faccio mia la considerazione di Maurice Dobb, che così argomentava sulle ragioni di una svolta socialista: “A volte è utile prima di prendere in esame i principali argomenti a favore di qualche cosa, cominciare con il domandarsi quali siano le ragioni che vengono addotte a sostegno dell’opposto, e perché tali ragioni debbano essere respinte. Chiaramente sarebbe assurdo pretendere che demolendo le ragioni di un avversario si affermino automaticamente le proprie. Tuttavia se due sistemi, o due ideologie alternative sono considerati giustamente come opposti, i motivi che portano a rifiutarne uno sono legati molto strettamente con i motivi che portano ad accettare l’altro. Ciò che è più importante, tuttavia, non sono i risultati economici in se stessi, ma gli obiettivi sociali che essi esprimono. In altre parole, il problema della direzione che si sceglie, come si è tentato di dimostrare, è molto più politico che economico: esso infatti coinvolge il grado di democrazia che si intende raggiungere e il grado di partecipazione da un lato dei singoli lavoratori e dall’altro dei consumatori, nella decisione del modo in cui il sistema di produzione deve operare e dei fini a cui esso deve tendere.” (Dobb Maurice, Le ragioni del socialismo, 1973)
Marx, in merito ad alcuni meccanismi che presiedono alla vita associativa e, quindi, politica riferisce già nelle prime pagine dell’L’ideologia tedesca: “I presupposti da cui muoviamo non sono arbitrari, non sono dogmi: sono presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell’immaginazione…I nostri presupposti sono gli uomini (…) nel processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate.” (K. Marx – F. Engels, L’ideologia tedesca, p.17 e 23)
Il dato è, quindi, tratto! Occorre, pertanto, che ognuno di noi, responsabilmente, possa realmente accendere la “propria lampadina” e cominciare a ragionare, sia nel bene che nel male, sulle cose che accadono, sui problemi che esistono e sulle persone che ci guidano. Bisogna concretamente convincersi ad interiorizzare, in maniera definitiva, una verità tanto scontata quanto ignorata : sono gli uomini gli autentici artefici delle situazioni in ogni contesto, per cui è criminale andare a ripetere stolidamente lo squallido e piuttosto “italiota” proverbio: L’occasione fa l’uomo ladro. In senso generale, concordo con l’idea espressa da Scoccimarro, quando sostiene che: “Il marxismo ci insegna che per arrivare alla conoscenza concreta bisogna esaminare quella situazione o quei problemi in tutti i loro aspetti: particolari e generali, locali e nazionali, si devono inoltre considerare in relazione con l’ambiente e quindi con la situazione nazionale; si devono infine concepire nell’unità di tutti i loro elementi, nel loro movimento e sviluppo; cioè in relazione all’indirizzo della politica generale (…) La sostanza del controllo è l’esame critico.

E la critica non è cosa facile: esige conoscenza dei problemi, dottrina ed esperienza, intuizione politica e giusta valutazione della realtà, equilibrio di giudizio ed alto spirito di partito.” (Scoccimarro Mauro, Ideologia e politica, 1960)
Critichiamo,quindi, ma stiamo molto attenti a ciò che critichiamo; operiamo, ma consideriamo l’importanza e le ripercussioni che il nostro fare produce. Questa è il principio che dovrebbe sostanziare tutte le possibili riflessioni. In generale, l’esperienza ci insegna che una giusta politica deve rispondere a due condizioni fondamentali: coerenza con i principi e aderenza alla realtà. Quando si ignora la prima condizione, si cade nell’opportunismo, nella politica senza principi; quando si ignora la seconda condizione, si cade nell’estremismo dottrinario, nella passività politica. Però, non bisogna dimenticare che i nostri principi non sono dogmi; che il legame fra la politica e i principi non è meccanico e immediato; che una giusta valutazione della realtà non dipende soltanto dal metodo, ma anche dal modo come viene impiegato.
Sono anche convinto che, oggi, soprattutto a Crotone, ci troviamo in una situazione simile a quella descritta da Nicola Chiaromonte, intellettuale socialdemocratico, quando avanzava alcune critiche relative alla propria epoca e così scriveva: “La nostra non è un’epoca di fede, né d’incredulità. È un’epoca di malafede, cioè di credenze mantenute a forza, in odio ad altre e, soprattutto, in mancanza di altre genuine. È l’epoca di quelle che un personaggio di Roger Martin du Gard chiama le “menzogne utili”: di finzioni, cioè, perfettamente consapevoli in chi le fabbrica e in chi le accetta, ma che presto prendono il posto della verità semplicemente perché sono utili, facilmente utilizzabili e universalmente usate; sicchè finiscono col costituire, un linguaggio nel quale anche l’uomo veridico si trova fatalmente irretito. La moneta cattiva scaccia la buona. Le “menzogne utili” corrodono le verità “inutili”, quelle che non servono a orientarsi decisamente nelle circostanze presenti, a dominarle e, più ancora, a adattarvisi.

Giacchè c’è un dovere al quale noi non possiamo mancare senza degradarci, ed è di denunziare le finzioni, di non riconoscere alle “menzogne utili” il titolo di verità. Per questo, non è necessario possedere, o credere di possedere, la verità. Anzi. Basta il dubbio, o piuttosto: la facoltà d’interrogare. Il fatto assai grave dell’assenza, oggi, di una credenza comune che sia, al tempo stesso, genuina e efficace, non ci esime dal dovere di resistere alle fedi prefabbricate e ai loro spacciatori. Perché, se la verità splende di rado, la menzogna si denunzia da sé. Basta scrutarla attentamente.” (Chiaromonte Nicola, Il tempo della malafede)
“Verità inutili” e “Menzogne utili” rappresentano, in termini concreti, per definizione, un ossimoro mostruoso,paradossale e contro natura.
La Verità,in generale in ogni aspetto della vita umana e ancor di più in politica, perché campo d’azione degli amministratori della “cosa pubblica”, non deve mai essere accompagnata all’aggettivo “inutile”, così come la Menzogna non può mai generare alcunché di proficuo.
A meno che, non si valutino, volta per volta, gli ipotetici fruitori di questi, eventuali, vantaggi.
La collettività, di certo, non ricaverà alcun tipo di guadagno dall’affermazione di una politica “cerchiobottista”, trasformista nel senso più deleterio del termine, e implacabilmente disonesta,estranea a qualsiasi , più elementare, principio etico.
Infine, voglio proporre al lettore un quesito su cui il mio cervello si arrovella, da più tempo, in questi giorni: Come mai si corre così in fretta verso il partito democratico, quando il risultato politico ottenuto e riscontrato dalla sinistra non è stato, poi, così deludente? I messaggi che il popolo vuole sentire dalla politica sono altri: non un diverso nome, non un nuovo slogan elettorale, ma qualcosa di più concreto, qualcosa che troviamo esemplificato in maniera semplice e trasparente anche nel rapporto di Luigi Longo al congresso del PCI del 1956 e che data l’attualità riportiamo nella sua interezza: “Che cosa ha frenato questo adeguamento degli organismi dirigenti allo sviluppo del partito? A mio avviso tre ordini di ostacoli, di ordine organizzativo e anche psicologico, hanno ostacolato questo sviluppo.

Primo: la funzione strumentale di collegamento e di direzione delle principali attività del partito, spesso assegnate agli organismi dirigenti. Da questa concezione è seguita una composizione quasi obbligata degli organismi dirigenti, nella quale prevalgono i compagni responsabili nei vari campi di attività: compagni segretari di camere del lavoro o dei principali sindacati, delle cooperative, del movimento provinciale giovanile, compagni sindaci…Naturalmente, negli organismi dirigenti vi devono essere compagni che portano la conoscenza, l’esperienza, la sensibilità ai problemi di questi vari settori in cui si svolge l’attività nazionale, e nei quali orientare la parte principale della nostra azione. Ma non c’è bisogno che sia proprio il compagno che in ciascuno di questi campi ha la maggiore responsabilità quello che deve venire a far parte dell’organismo dirigente locale o federale del partito. Già nel suo campo per il fatto stesso della carica che ricopre, questo compagno deve occupare, spesso, altre cariche connesse alla stessa organizzazione in cui milita…Spesso si pretende di includere anche questi compagni negli organismi dirigenti di partito, per il fatto, si dice, che non vi può non essere nel comitato direttivo della federazione o nella stessa segreteria, o il compagno segretario della camera del lavoro, o il sindaco, o il compagno dirigente del principale sindacato locale.
In questo modo le cariche occupate da una stessa persona si moltiplicano all’infinito. Credo che se qualche compagno facesse il calcolo delle riunioni a cui dovrebbe partecipare in conseguenza delle cariche occupate, finirebbe col rendersi conto che non gli basterebbero tutte le giornate della sua settimana. E il lavoro nel suo ufficio quando lo fa? Perché il lavoro del dirigente non può esaurirsi solo nella partecipazione alle riunioni. E lo studio delle questioni? E il contatto con i compagni, con la base, con la massa verso cui è rivolta la sua attività? C’è, infine, una terza difficoltà, direi di ordine psicologico, a cambiare, a rinnovare, a ringiovanire nella composizione i nostri organi dirigenti. S’è creata l’impressione che un compagno che occupa un posto di responsabile non può lasciarlo, senza umiliazione, se non per un posto superiore. Ogni altra destinazione farebbe pensare a lui e agli stessi compagni ad un immeritata diminuzione di prestigio, ad una retrocessione, cioè ad una punizione. Si è creata la mentalità che anche per i nostri dirigenti vale la regola militare che il maggiore non può diventare capitano se non per retrocessione, cioè per gravi motivi disciplinari. Bisogna bandire questa mentalità.” (Luigi Longo, Rapporto all’VIII congresso del PCI sullo statuto del partito, 1956)
La lucidità chirurgica, a tratti venata da un’ironia piuttosto maliziosa, di Longo impone nuove – o vecchie? - riflessioni: se l’incarico politico viene gestito come un feudo personale, o come un titolo nobiliare, intoccabile, quasi trasmissibile per via ereditaria e non come espressione di una suprema volontà e designazione popolare, la prevedibile disaffezione per tutto ciò che ruota intorno all’ “arte del governo”diventerà sempre più diffusa e capillarmente generalizzata. Oltre cinquemila tessere elettorali polemicamente riconsegnate ai “mittenti”parlano,in tal senso, da sé.





Pubblicato La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 13 del 30/03/2007

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