venerdì 13 marzo 2009

Memorie al confine 26

Noi scrittori siamo portavoce della coscienza delle masse, dell’amore del popolo per la giustizia, perché se non lo fossimo non meriteremmo di essere chiamati scrittori

La crisi delle cavallette storpie!

Nel nostro sistema, l’èlite del partito è contemporaneamente èlite governativa: le decisioni del potere vengono prese da questa èlite e al vertice della scala gerarchica del partito si nota generalmente il cumulo delle cariche



di Romano Pesavento

Siamo, oggi, in un momento storico particolare: si parla sempre più spesso di crisi della politica e della perdita di valori etici e morali. Sicuramente, osservando sotto la lente d’ingrandimento la comunità crotonese, ci sembra automatico sostenere con più vigore tale affermazione. Conveniamo ormai tutti che siamo lontani da quel dicembre del 1958 in cui Chruscev davanti al plenum del Comitato centrale sosteneva: “Compagni, il nostro peggiore nemico è la spontaneità”.

Foto: Chruscev

Tuttavia, oggi la crisi ha radici più profonde. Il male sta, infatti, nella natura stessa dell’uomo moderno. Noi, in quanto testimoni di questi tempi, non possiamo far altro che osservare e descrivere quanto accade nel modo più semplice e al tempo stesso veritiero possibile. A tal proposito, ho trovato - in un articolo dello scrittore Gyula Hay - un importante passaggio contenente alcuni concetti che vale la pena ricordare: “Noi scrittori siamo portavoce della coscienza delle masse, dell’amore del popolo per la giustizia, perché se non lo fossimo non meriteremmo di essere chiamati scrittori. Eppure essere scrittori del popolo, accettare dal popolo forma e contenuto, rifletterne la sorte senza falsificarla, senza attendere direttive che ci indichino che cosa dobbiamo scrivere, come dobbiamo scriverlo, per che cosa dobbiamo rallegrarci e che cosa dobbiamo condannare, simile comportamento è per certuni incompatibile con la direzione dell’attività letteraria da parte del partito e dello stato. Ma una direzione che sia intesa in senso leninista non può considerare scrittore quel letterato che non desideri esprimere la coscienza e la volontà di giustizia del popolo, ma per principio veda quando è cieco, oda quando è sordo e senta quando non ha anima” (Gyula Hay, Il trionfo della dignità umana, sta in Gazzetta Letteraria di Budapest 5 maggio 1956)
Indubbiamente, Hay non è il solo studioso a fornire preziosi elementi su cui riflettere al fine di effettuare accurate analisi circa la realtà odierna; anche Goldman aveva tra l’altro affermato:“ il ricercatore deve sempre sforzarsi di ritrovare la realtà totale e concreta, anche se sa di potervi riuscire in modo parziale e limitato e quindi integrare, con lo studio dei fatti sociali, la storia delle teorie su questi fatti e d’altra parte, collegare lo studio dei fatti di coscienza con la loro localizzazione storica e con la loro infrastruttura economica e sociale” (L. Goldmann, Scienze umane e filosofia, Feltrinelli, 1961, p. 25)
Detto questo, quali sono le conclusioni che oggi possiamo trarre dalla nostra crisi politica? Certamente, la principale riflessione, che ci sentiamo subito in dovere di evidenziare, riguarda il tenue, “agonizzante”, legame ancora esistente tra politici e cittadinanza. Tale stato di cose cela ,a monte, una profonda diffidenza e, diciamolo, un insopprimibile fastidio quasi fisico da parte degli elettori nei confronti di rappresentanti politici sempre meno “presentabili” e, quindi, “rappresentativi” soltanto di se stessi, dei propri interessi e lobby. Tutto un insieme di valori, di condizioni, di priorità ormai risulta completamente sovvertito in nome del dio denaro.
Eppure, il buon senso ci porta ad affrontare tale argomento, ricordando che il dividendo cittadino-amministratore non è poi tanto diverso dal rapporto amministratore-cittadino. Tanto è che lo stesso Jean Jacques Rousseau aveva, nel Settecento, affrontato tale materia arrivando alla seguente considerazione: “Molti hanno preteso che l’atto che stabilisce questo rapporto tra popolo e governo fosse un contratto tra il popolo e i capi che esso si dà; contratto per mezzo del quale si stipulavano fra le due parti le condizioni sotto le quali una si impegnava a comandare e l’altra ad obbedire (…) l’atto che istituisce il governo non è un contratto, ma una legge; (…) i depositari del potere esecutivo non sono i padroni del popolo, ma suoi funzionari; (…) (il popolo) può designarli e destituirli quando gli piace; (…) essi non devono contrattare, ma obbedire; (…) assumendo le funzioni che lo Stato loro impone, essi non fanno che adempiere al loro dovere di cittadini …” (Rousseau J. J., Il contratto sociale, pag. 106 e 109)
Come interpretare, se non in questa chiave, l’indifferenza nei confronti della politica, “l’assenteismo” e la diserzione in massa delle cabine elettorali? Quando si perde totalmente fiducia nelle istituzioni politiche perché “ Tanto rubano tutti” e “Ognuno si fa gli affari suoi”, il divario tra politica ed elettorato è stato “consumato” per intero e si attesta ai suoi massimi livelli d’allarme: anche il valore di una nuova scelta, da questo momento in poi , non assume più alcun valore agli occhi di chi si è sentito perennemente sfruttato e tradito dal proprio partito, dai propri uomini.
Mettendo da parte, per il momento, una possibile discussione di tali temi,passiamo ad altro. Proviamo ad immaginare, per gioco, cosa abbiano mai pensato i tanti parenti, o amici, magari disoccupati, degli attuali amministratori, quando, all’indomani del felice esito politico dei loro beniamini, si sono accorti che a migliorare non era la propria condizione di vita ma solo il conto corrente dell’,ormai, illustre congiunto. Già, a quanto pare, non c’è più da meravigliarsi se progetti e programmi sono solo uno specchietto per allodole.
Ebbene, il nostro “navigare in tali acque” ci conduce ad analizzare l’argomento attraverso i principi del socialismo filosofico e quindi a proporre anche oggi una lettura marxista degli eventi in esame. Facciamo tutto ciò perché siamo convinti che l’ideologia marxista abbia in sé quegli elementi capaci di rendere chiaro e semplificato i concetti e le idee che stanno alla base della nostra “questione”. Tali considerazioni ci impongono di ripensare a Sartre quando scrisse:“Quel che voglio dire è che la ideologia marxista è l’ideologia richiesta dai fatti; è la più semplice e la più globale: a partire dal momento in cui si è capito che alla base sta il bisogno, e le tecniche che permettono di esaudirlo, e che partendo da questo siamo in grado di comprendere dialetticamente tutte le relazioni umane nell’ordine della loro apparizione, a partire da questo momento si può sperare di rendere conto della totalità.” (Sartre J.P, Il filosofo e la politica, Edizione Riuniti, 1964)
Credo che la definizione che meglio si avvicini al nostro contesto sia quella riflessa nel concetto, forse un po’ esasperato, di uomo crotonese “disumanizzato”. Disumanizzato perché privato di tutte quelle prerogative proprie di cittadino ed essere umano meritevole : fiducia nell’avvenire,autonomia economica,consapevolezza e fierezza del proprio ruolo di cittadino. In questo modo entriamo, senza quasi accorgercene, in un nuovo ordine d’idee, ossia in un’impostazione politica o per lo meno sociale dei problemi. Per tal motivo, tutto ad un tratto, l’uomo crotonese disumanizzato non è più il singolo perduto in un mondo di sogni speculativi o religiosi, ma il membro di una società imperfetta mutilato nella sua dignità di uomo. In merito ai rapporti di fratellanza e di solidarietà tra uomini, siamo,quindi, dell’idea che nella nostra realtà si possa adattare l’analisi operata da Karl Marx:“Ogni uomo spera di creare all’altro un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo in una nuova dipendenza e indurlo a un nuovo modo di godimento e però di rovina economica…. Con la nascita degli oggetti cresce, quindi il regno degli enti estranei cui l’uomo è sottomesso, e ogni nuovo prodotto è una nuova potenza di reciproco inganno e reciproco spogliamento. L’uomo diventa sempre più povero come uomo, egli abbisogna sempre più di denaro per impossessarsi di un ente ostile, e la forza del suo denaro cade precisamente in ragione inversa della massa della produzione, cioè cresce la sua indigenza col crescere della potenza del denaro…. Sotto l’aspetto soggettivo ciò si presenta come segue. Da un lato, l’espansione dei prodotti e dei bisogni diventa schiava ingegnosa e sempre calcolatrice di appetiti disumani, raffinati, innaturali, e immaginari.” (K. Marx, Manoscritti economici- filosofici del 1844 cit., p. 236)
La nostra è quindi una società dominata da pochi intoccabili. È facile constatare che a tale èlite appartengono tutti coloro che, seduti sulle proprie, comode, poltrone impostano e gestiscono sia le azioni politiche che quelle sociali esclusivamente a proprio vantaggio. D’altronde, siamo ricaduti, purtroppo, nella stessa tipologia di critica mossa da Kuron alla classe politica dei suoi tempi : “Nei suoi eventuali tentativi di influire sulle decisioni dei “vertici”, la massa degli iscritti al partito è priva di organizzazione, è atomizzata e quindi impotente. L’unica fonte di iniziativa politica risiede, dunque, per forza di cose, nelle istanze del partito, nell’apparato.

Foto: da sinistra a destra: Andrzej Wielowieyski, Jacek Kuron e Alojzy Pietrzyk

Questo apparato, come qualsiasi altro, è organizzato in modo gerarchico. Le informazioni vanno dal basso in alto e le decisioni, le direttive, dall’alto in basso. Come in ogni apparato gerarchico, gli ordini provengono originariamente da una èlite, da un gruppo di persone che occupano nella gerarchia posti di responsabilità ed elaborano insieme le decisioni fondamentali. Nel nostro sistema, l’èlite del partito è contemporaneamente èlite governativa: le decisioni del potere statale vengono prese da questa èlite e al vertice della scala gerarchica del partito e dello Stato si nota generalmente il cumulo delle cariche… Chiameremo questa èlite del potere partito-Stato, libera da qualsiasi controllo della società e in grado di prendere in completa indipendenza tutte le decisioni fondamentali burocrazia politica centrale. (…) In ogni caso, per noi la cosa più importante è conoscere non tanto gli effettivi e l’organizzazione interna della burocrazia quanto la funzione nella società e nel processo di produzione sociale.” (J. Kuron e W. Modzelewski, il marxismo polacco all’opposizione, Samonà e Savelli, 1967)
In conclusione, possiamo soltanto melanconicamente riconoscere che - malgrado tutte le teorie, i moralismi e i proclami politici sbandierati abilmente - la crisi attuale assomiglia semplicemente sempre più ad un povero gatto impazzito, pateticamente impegnato a girare intorno alla sua coda, nel, disperatamente, vano tentativo di afferrarla.


Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 22 del 01/06/2007

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