mercoledì 11 marzo 2009

Memorie dal confine 22

Dev’essere chiamato folle l’ignorante che invidia chi si è distinto per le sue cognizioni, quegli è da contarsi tra i miseri, anzi fra i miserrimi

Nulla si crea, tutto si distrugge e niente si trasforma?


Non è vero che la sovrabbondanza di forza di lavoro sia fonte di miseria. No, gli uomini sono ricchezza e fonte di ricchezza.


di Romano Pesavento

Siamo ormai giunti in Primavera inoltrata: il sole splende, la temperatura sale e le strade della provincia si presentano polverose, “incerottate” e sporche; d’altronde, anche il resto dell’“arredamento” urbano risulta trascurato e opaco. Un simile, invidiabile, aspetto, tra breve, darà il benvenuto ai pochi turisti che quest’estate avventurosamente s’accingeranno a visitare la città, per contemplarne il residuo splendore! Intanto, nella stessa, si organizza con denaro pubblico l’ennesimo convegno. Indovinate su chi? Sulla figura di Pitagora, ovvio. Crotone, vittoriosa sui Sibariti per merito dei consigli dell’insigne filosofo di Samo, Crotone, culla della matematica, Crotone centro del Mediterraneo sono solo alcuni dei tanti temi che i relatori, veramente ispirati da autentica vis oratoria, sciorinano nell’ovale della “corrida” tra gli applausi scroscianti di un pubblico d’elite entusiasta. Peccato che l’uditorio, non ce ne vogliano, fosse in prevalenza piuttosto in là con gli anni, e costituito, per lo più, da amministratori locali, portaborse e loro simpatizzanti.
Eppure, uscito dalla sala respiro il vuoto. Forse se Pitagora oggi fosse qui, a Crotone, emigrerebbe anche lui; magari utilizzando le famose valigie di cartone. Ebbene si! Proprio le valigie di cartone: è questo il destino che la città riserverebbe anche ad un insigne pensatore del suo calibro. In realtà, su un tema drammatico e complesso come quello dell’emigrazione, c’è poco da scherzare. Soprattutto considerando che nessuno ne parla; oppure, quando e se capita, ci si limita a qualche contrita considerazione di circostanza, da “indossare”, insieme al completo migliore, al prossimo intenso e significativo convegno.
In merito a ciò voglio ricordare, ancora una volta, quanto letto in un discorso di Palmiro Togliatti: “Circa le emigrazioni, niente, e si capisce il perché. Noi abbiamo però il diritto e il dovere, in proposito, di sottolineare ancora una volta la nostra posizione. La nostra convinzione è che la questione della disoccupazione permanente, dell’esistente sovrappiù di mano d’opera, e cioè di una massa di uomini capaci di lavorare ma a cui manca il lavoro, sia una questione che deve essere risolta all’interno del Paese.


Non è vero che la sovrabbondanza di forza di lavoro sia fonte di miseria. Se ciò fosse vero il Paese più ricco di tutto il mondo dovrebbe essere la Groenlandia che ha uno o due abitanti per chilometro quadrato. No, gli uomini sono ricchezza e fonte di ricchezza, ma occorre una politica economica che provveda ad assicurare loro il lavoro, mediante una giusta amministrazione degli scambi internazionali e una giusta distribuzione delle ricchezze della nazione. Bisogna che la gente mangi di più, si vesta meglio, abbia più scarpe e alloggi migliori e coltivi meglio i campi, affinché si possa espandere il mercato interno creandosi lavoro per tutti.” (Togliatti P., Dove va l’Italia? – Discorso di Palmiro Togliatti sul viaggio di De Gasperi in America, Camera dei Deputati 09.10.1951)
Come sostiene Togliatti, ed è ribadito dai sociologi e dagli esperti del settore, lo spopolamento di un luogo non è certo l’arma vincente per superare la crisi economica in cui versa una comunità. Crotone potenzialmente è ricca di risorse (territoriali ed umane), anche questo è stato assodato in più di un’occasione; ma nulla di proficuo, di vantaggioso e di risolutivo potrà mai accadere se le forze migliori della città sono costrette ad abbandonarla, se le ricchezze naturali vengono svendute per qualche pugno di euro alla prima occasione utile o per qualche “tornaconto personale”. Parafrasando, a nostro modo, le scienze esatte, alla faccia di Pitagora e della sua celebrata scuola, potremmo dire: Nulla si crea, tutto si distrugge e niente si trasforma. Se non in peggio.
Circa la definizione di lavoro, poiché ovviamente il fenomeno dell’emigrazione si ricollega all’endemica carenza occupazionale che contraddistingue il nostro territorio, rimandiamo ad alcune riflessioni espresse da Marx, permettendoci di ricordare come a causa del lavoro si possa morire, sia nel caso in cui sia svolto in assenza di sicurezza e in condizioni disumane,che nell’eventualità deprecabile in cui,invece, manchi e non sia possibile conservare la propria dignità di esseri umani.

“In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l’uomo e la natura, nel quale l’uomo regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura. Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità, braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in forma usabile per la propria vita. Operando mediante tale moto sulla natura fuori di sé e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura sua propria. Sviluppa la facoltà che in questa sono assopite e assoggetta il giuco delle loro forze al proprio potere. Qui non abbiamo da trattare delle prime forme di lavoro, di tipo animalesco e istintive. Lo stadio nel quale il lavoro umano non s’era ancora spogliato della sua prima forma di tipo istintivo si ritira nello sfondo lontano delle età primeve, per chi vive nello stadio nel quale il lavoratore si presenta sul mercato come venditore della propria forza lavoro. Noi supponiamo il lavoro in una forma nella quale esso appartenga esclusivamente all’uomo.” (K.Marx, Il capitale, libro I, pag. 211-212, Editori Riuniti, 1974)
Il lavoro rappresenta da sempre uno strumento di realizzazione personale e professionale, oltre che un potentissimo mezzo di affrancamento. In merito a questo argomento, segnaliamo che il poeta Virgilio, nel suo poema didascalico le Georgiche, considerava il lavoro come un momento fondamentale di valorizzazione della persona e non come una sorta di castigo divino, come in precedenza, nell’età antica, si reputava. Attualizzando tale problematica, dire che il denaro non produca libertà, non è del tutto corretto. Produce autonomia e ciò rappresenta la prima tappa verso il proprio personale concetto di emancipazione. La mancanza di lavoro rende deboli, schiavi e ricattabili. Ecco perché, dal mio modesto punto di vista, si dovrebbe parlare molto più spesso, rispetto a quanto non avvenga attualmente, di occupazione, strategie, piani di sviluppo. Occorre, in poche parole, costruire l’architettura del nostro futuro mercato del lavoro.
È importante, indubbiamente, la collaborazione di tutte le forze sociali, anche se la concordia, quando si parla di lavoro e implicitamente del potere che esso conferisce a chi lo dispensa, è veramente difficile meta da raggiungere. Spesso si creano piccoli e grandi egoismi, pettegolezzi e meschinità di ordinaria amministrazione tra gli aspiranti ad un ruolo, ad una carica, ad un semplice posto di lavoro. Il merito non basta; spesso, anzi, dalle nostre parti, costituisce un insormontabile ostacolo. I privilegi dell’elite non vanno mai intaccati: chi non vanti spalle coperte, diviene agli occhi dei più un insopportabile parvenù. Non dovrebbe funzionare in questa maniera. A tal proposito riportiamo le parole di Urich von Hutten:“E così ti confesso di non invidiare coloro che provenendo dalle classi più umili si sono sollevati anche al disopra delle mie condizioni; e qui non condivido l’opinione degli uomini del mio rango, i quali sogliono disprezzare persone di bassa origine che siano affermate per la loro capacità. Si ha pienamente ragione, infatti, di anteporre a noi coloro che hanno preso per sé e fatto proprio possesso la materia della fama che noi abbiamo trascurato; siano costoro anche figli di gualchierai e conciatori, hanno tuttavia saputo raggiungere un tal fine a prezzo di difficoltà ben maggiori di quante ne avremmo incontrate noialtri. Non soltanto dev’essere chiamato folle l’ignorante che invidia chi si è distinto per le sue cognizioni, ma quegli è da contarsi tra i miseri, anzi fra i miserrimi; e da questo errore è affetta in particolar maniera la nostra nobiltà.” (Lettera di Urich von Hutten a Wilibald Pirkheimer, 25 ottobre 1518, sta in J. W. Goethe, Dalla mia vita poesia e verità, vol. II)
Ritornando al tema del lavoro, il mese in corso inizia con una importante ricorrenza per tutti: il primo maggio; a Crotone tale celebrazione assume scarso rilievo e importanza; pochi in città possono vantarsi di godere con serenità di tale occasione di meritato riposo: la disoccupazione “forzata” lascia la bocca amara in una giornata del genere. Sarebbe bello che la provincia di Pitagora potesse segnalarsi finalmente per una inversione di rotta, su tale questione, che non tardi troppo a venire.

Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 18 del 04/05/2007;

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