mercoledì 11 marzo 2009

Memorie dal confine 23

L’ignoranza è sempre stata un’ottima alleata nella strategia dei “PAPAVERI”


I cannibali della verità!


Nell’appassionata ricerca della verità, nell’evocazione e nella diffusione della verità risiede il segreto della vita


di Romano Pesavento


“Quando si dice la verità, non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi.” (Aldo Moro, Il Memoriale)
Abbiamo più volte, dalle colonne di questo giornale, ribadito l’importanza della verità in quanto valore assoluto da difendere ad ogni costo. Anche in questa occasione vogliamo spendere due parole in proposito, sottolineando come la verità non andrebbe mai nascosta in nessuna circostanza e per nessuna motivazione. In questo rigore, apparentemente eccessivo, è racchiuso il segreto della trasformazione in positivo di un popolo, o di una società, che voglia aspirare al conseguimento di una piena maturità e al consolidamento della propria dimensione democratica. Proprio in funzione di questo, bisognerebbe diventare “intransigenti”: dimostrarsi “tolleranti” con le ”piccole bugie” può creare un “precedente” e innescare un meccanismo ad “effetto domino”, con l’elevato rischio di addivenire ad una sorta di ipnotica narcotizzazione collettiva delle coscienze - demonio sottile, invece, da debellare, estirpare e sconfiggere con determinazione e fierezza - così, senza esserne consapevoli.

La frase di Aldo Moro è emblematica e pregnante di significato, pur nella sua asciutta semplicità: la verità apporta “luce” e rappresenta una meta (la meta) di ogni essere umano, proprio perché coincidente, nel modo più autentico, con il reale.
Eppure, la verità per quanto necessaria e, per certi versi paradossalmente, intrinseca alla natura umana è una conquista difficile. Non parliamo delle note, a tutti, menzogne pronunciate “a fin di bene”, sulla cui utilità, peraltro, ci permettiamo di dissentire nella maggior parte dei casi, ma proprio del possesso e della ricerca effettiva della verità stessa. Quanto spesso, nella nostra vita, assistiamo alla mistificazione, all’omissione - altra più subdola forma di alterazione, nella sottrazione, degli elementi a disposizione, finalizzata al travisamento della realtà – o al radicale capovolgimento di fatti, comportamenti e situazioni in atto?
Certamente, spesso. Troppo spesso. A mio avviso, a Crotone il fenomeno assume proporzioni ancora più vistose e inquietanti, suscitando di sicuro assai meno indignazione che altrove.
Molti colti lettori, prontamente, avvalendosi delle proprie conoscenze consolidate negli anni di liceo, ricorderanno perfettamente Gorgia, i sofisti e l’illustre tradizione dell’ eloquenza nel mondo antico, basata su tutta una serie di artefici retorici volti a “impapocchiare” il prossimo, convincendolo di tutto e del contrario di tutto. Come dimenticare il celebre e, per certi versi rivoluzionario, relativismo gnoselogico, su cui tante menti eccelse si sono misurate? Eppure, a volte, si percepisce nettamente la triste sensazione di strumentalizzare e conservare soltanto gli aspetti più ambigui e meno lineari del nostro glorioso passato. Forse, come effetto di un simile, profondamente radicato, retaggio culturale, da noi la verità in ogni campo diventa drammaticamente aleatoria. Una specie di parete bianca, neutra, da dipingere con fantasia, secondo l’estro del momento. Presso altri popoli, invece, la verità possiede una propria sacralità intatta, condivisa e indiscutibile; ciò nondimeno, anche diversi leader politici straneri hanno spacciato per autentiche ignobili menzogne. Tuttavia, una volta scoperti, nei paesi che siamo soliti definire civili, sono andati incontro non solo a pesanti sanzioni penali, ma anche al disprezzo, al ludibrio generale. Cosa che, qui, non si verifica mai. Qui si avanza fieri e con baldanza, consapevoli di suscitare nel prossimo probabilmente più ammirazione e invidia che indignazione. La menzogna è sinonimo di furbizia e di capacità, laddove manchi la giustizia a difesa della verità: così bisogna autoregolamentarsi e stabilire tutta una serie di priorità personali, in barba ad uno Stato percepito lontano e ostile. Un simile sconfortante, ma profondamente sentito, concetto si è sedimentato nella nostra coscienza collettiva a causa di secoli di pessimo governo, assai più che per le reminiscenze culturali di Gorgia & Co.
Indubbiamente, bisognerebbe crescere fin da piccoli nel culto e nel rispetto della verità per poter sperare di veder cambiare determinati comportamenti o censurati contegni, che, allo stato attuale, non producono alcun tipo di sdegnata reazione nei cittadini. Probabilmente, veder applicata e difesa la giustizia porterebbe ad una maggiore aderenza e attaccamento quasi “affettivo” alla verità. Già, perché, ahinoi, davvero troppo di frequente dire la verità significa avere tutto – e tutti- contro. In generale, ma soprattutto in alcuni settori della vita pubblica. In merito a quest’ultima affermazione, mi sembra assai più opportuno, significativo e “terapeutico” lasciare spazio alle illuminanti, perché “vere”, parole dello “scomodo”giornalista Marco Travaglio, che, davvero eloquentemente, ma non in modo retorico(!), spiega e precisa in modo analitico tutta una serie di motivazioni connesse alla censura/omissione della verità:
“C’è chi nasconde i fatti perché non li conosce, è ignorante, impreparato, sciatto e non ha voglia di studiare, di informarsi, di aggiornarsi. C’ è chi nasconde i fatti perché trovare le notizie costa fatica e si rischia persino di sudare. C’è chi nasconde i fatti perché non vuole rogne e tira a campare galleggiando, barcamenandosi, slalomando. C’ è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio o attirano i fulmini dell’editore stufo di pagare gli avvocati per qualche rompicoglioni in redazione. C’è chi nasconde i fatti perché si sente embedded, fa il tifo per un partito o una coalizione, non vuole disturbare il manovratore. C’è chi nasconde i fatti perché se no lo attaccano e lui vuole vivere in pace…C’è chi nasconde i fatti perchè confonde l’equidistanza con l’equivicinanza.C’è chi nasconde i fatti perché contraddicono la linea del giornale. C’è chi nasconde i fatti perchè l’editore preferisce così...C’è chi nasconde i fatti perché quelli che li raccontano se la passano male. C’è chi nasconde i fatti perché certe cose non si possono dire…C’è chi nasconde i fatti anche a se stesso, perché a paura di dover cambiare opinione…C’è chi nasconde i fatti perché il coraggio uno non se lo può dare…C’è chi nasconde i fatti perché nessuno glièl’ha ancora chiesto, ma magari, prima o poi, qualcuno glielo chiede. C’è chi nasconde i fatti perché così poi qualcuno lo ringrazia… C’è chi nasconde i fatti perché così, poi, magari, ci scappa una consulenza col governo o con la RAI o con la Regione o con il Comune o con la Provincia o con la Camera di Commercio o col sindacato o con la banca dietro l’angolo. C’è chi nasconde i fatti perché deve tutto a quella persona e non vuole deluderla. C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti è più difficile voltare gabbana quando gira il vento. C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti poi la gente capisce tutto. C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, “c’è gente che pagherebbe per vendersi””. (Marco Travaglio, La scomparsa dei fatti)
Ignoranza, pigrizia, quieto vivere, faziosità, miopia mentale, opportunismo, qualunquismo, paura. Ogni aspetto è stato minuziosamente esaminato sotto la lente d’ingrandimento di Travaglio: nel passo proposto, non c’è pulsione umana, il cui effetto produca la cancellazione della verità, che non sia stata definita e motivata con esauriente dovizia di particolari. Tuttavia, su tutto campeggia con squallido grigiore un’unica, profondamente italica, spinta emozionale: il guadagno. Sia ben chiaro, non è nelle nostre intenzioni giustificare le altre “condotte”; tuttavia, il desiderio di vendersi al più caro acquirente è, di sicuro, quanto di meno edificante e “civile” possa esistere. Ancora più spaventoso è il concetto “C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti poi la gente capisce tutto”. In realtà, dietro la censura della verità c’è sempre stata, fin dagli albori delle prime forme istituzionali, la necessità di tenere il popolo allo scuro di quanto accade nelle stanze del potere: l’ignoranza è sempre stata un’ottima alleata nella strategia dei “PAPAVERI”.
Per questo, oggi più che mai, la verità diventa un valore assoluto, un bene dal prezzo inestimabile.

Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 19 del 09/05/2007

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