lunedì 30 marzo 2009

Memorie dal confine 33


Riconquistare le proprie radici e assaporare la Bellezza da un’altra prospettiva, fingendosi estraneo ai propri luoghi. Bel programma, non c’è che dire: poetico, commovente quasi

Le “rovine” del parco archeologico

Vegetazione selvaggia del tutto “ignara” di falciatrici o altre brutture del progresso si staglia con fierezza superiore a quella con cui si erge la Colonna di Hera Lacinia


di Romano Pesavento

Nell’abbacinante pomeriggio del 14 luglio 2007, colto da un improvviso- e insano!- raptus d’immedesimazione nei panni di un ipotetico e ardimentoso turista inglese, mi sono recato al parco archeologico di Capo Colonna con l’intento gioioso di sottopormi al tour completo: visita al museo, nostro recente nonché rinnovato vanto, e poi l’intero tragitto lacinio a ritroso nel tempo, per respirare folate di “eternità”. Entusiasmante, vero? Riconquistare le proprie radici e assaporare la Bellezza da un’altra prospettiva, fingendosi estraneo ai propri luoghi. Bel programma, non c’è che dire:poetico,commovente quasi. Forse, però, non tutti sono davvero consapevoli delle concrete difficoltà e disavventure che possono oggi incorrere ai visitatori – e non solo a quelli di nazionalità inglese!- intenzionati a percorre gli ampi spazi dei nostri siti archeologici. D’altronde, limitandosi a vedere le foto sui siti web o a sfogliare le patinate pubblicità promozionali del nostro territorio, è facile venire fuorviati. Esiste, infatti, nella nostra regione - ed ancor più nella nostra realtà cittadina - un manipolo di nostalgici - e sensibili al fascino del passato!- amministratori, il cui intento principale è platealmente dichiarare guerra, almeno nella nostra città, con ogni mezzo alla tecnologia. Ma sì, non è “cosa nostra”, o, per lo meno, gli interessi che si celano dietro a tali manovre non sono per niente “cosa nostra”: in fondo carrozze e diligenze sono ancora i mezzi di trasporto più utilizzati nel resto del mondo! Infatti, i lungimiranti signori di cui sopra, dopo tanti sforzi bisogna riconoscerlo, oggi sono riusciti perfino a “convincere” dell’utilità di quanto sostengono anche tutti coloro i quali dovrebbero, invece, promuovere i processi d’innovazione.
Ma torniamo più dettagliatamente alla mia esperienza autoptica. Giunto davanti alla bella struttura del museo archeologico e varcatane la soglia d’ingresso, alle mie domande sulle modalità per effettuare la visita dei locali, mi sono sentito rispondere da uno smarrito addetto che non era possibile procedere oltre, perché quel giorno si svolgeva un convegno all’interno del museo. Un po’ deluso ma comunque determinato, ho chiesto quando potessi ritornare sempre per il medesimo motivo. La risposta è stata alquanto nebulosa: non potevano essere fornite date certe sulla riapertura a causa di disguidi tra l’amministrazione provinciale e la Sovrintendenza dei beni culturali.
Che tristezza! Speriamo che simili incomprensioni abbiano presto fine per il benessere e l’interesse dei crotonesi: siamo in alta stagione e s’immagina che questa sia la fase clou del turismo dalle nostre parti, in quanto inscindibilmente connesso con le attività balneari.
Nonostante questo primo negativo impatto, mi dirigo fiducioso verso il parco archeologico.
Inoltratomi lungo la “passerella” in legno che conduce alla colonna, il mio sguardo ha spaziato in tutte le direzioni: intorno al sentiero tracciato l’erba è altissima; immagino che il senso recondito di un simile aspetto assolutamente “vergine” da manutenzione umana sia regalare al turista il brivido della natura incontaminata (?) crotonese. Già, la “macchia mediterranea” in tutto il suo fulgore, a quanto pare. Vegetazione selvaggia del tutto “ignara” di falciatrici o altre brutture del progresso si staglia con fierezza superiore a quella con cui si erge la Colonna di Hera Lacinia. Peccato che con una simile, lussureggiante ma ingovernabile, flora si corra il serio rischio di essere punto da qualche zecca o di incontrare qualche amabile rettilone a spasso per l’impareggiabile campagna lacinia. In fondo anche queste eventualità potrebbero rientrare nell’ambito del cosiddetto colore locale.
Quello che invece appare poco giustificabile è la sporcizia di connotazione squisitamente umana: come risulta evidente dalle fotografie che da autentico turista mi sono premurato di scattare,non mancano lattine, fazzoletti e altre sgradevoli “testimonianze del presente” in ordine sparso in tutta l’area. L’insieme (pattume + incuria) comunica un senso di abbandono e di sfascio, purtroppo, ben superiore all’ammirazione che potrebbe essere suscitata dalla bellezza dei luoghi e delle vestigia antiche.
Come più volte è stato ribadito dalle colonne di questo giornale, il senso della denuncia o della critica, lungi dall’essere fine a se stessa, deve – dovrebbe - concretizzarsi nel ribaltamento o nel miglioramento di quanto viene contestato. Duole vedere piovere sulla città depliant, opuscoli e fascicoli incentrati sulle bellezze territoriali - di certo economicamente incisivi sulla voce spese pubbliche - quando manca l’essenziale in termini di corretto funzionamento della macchina turistica.
Che se ne faranno i viaggiatori della seducente immagine dell’ennesima fanciulla in minigonna sull’ennesimo vademecum illustrato di Crotone, quando visitare per intero il parco archeologico diventa più arduo delle mitologiche imprese degli Argonauti? Speriamo non venga abbandonato,in buona compagnia insieme ad altro ciarpame, nei pressi della Colonna. Ahinoi, non si vive di solo sole, mare e sardella. Dobbiamo riconoscere che siamo ancora molto indietro rispetto all’assunzione della cultura come fattore di sviluppo, come una delle molle che acquistano sempre più centralità nella strategia complessiva di progresso di una provincia moderna, una provincia che sa vedere il nuovo. Eppure, abbiamo la fortuna, oltre che la responsabilità, di disporre di uno straordinario patrimonio di beni culturali, di tradizioni, di paesaggi che costituiscono in gran parte la nostra identità. Quella che dovrebbe distinguerci e caratterizzarci come uomini e cittadini. Occorre coltivare dunque un atteggiamento pubblico che consideri la cultura come tessuto connettivo e propulsore della crescita sociale ed economica del territorio, attraverso l’integrazione fra politiche pubbliche e iniziativa privata.
Questa posizione ci spinge oltre la logica meramente mecenatistica e oltre il semplice binomio cultura-turismo, che pure resta importante per creare ricchezza. Tale binomio va però inserito in una rete più larga. In un tessuto più ricco di investimenti culturali, anche le singole istituzioni acquistano maggiore dinamicità e l’intero territorio può crescere economicamente.
Gramsci sosteneva che cultura significa riproporre in modo consapevole e rendere condivisibili “verità già scoperte”: “Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte “originali”, significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, “socializzarle” per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto “filosofico” ben più importante e “originale” che non sia il ritrovamento da parte di un “genio” filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali.” (cit. Gramsci A., Antologia popolare degli scritti e delle lettere, Editori Riuniti, 1957, pag. 276)
Tale concetto è assolutamente illuminante nella sua immediatezza perché risulta alla base della trasmissione del sapere e della collaborazione proficua tra uomini appartenenti ad un medesimo humus territoriale e culturale. La condivisione non è altro che la nota partecipazione cantata da Gaber.
In conclusione, invece, possiamo sconsolatamente affermare che, allo stato attuale, siamo tutti a cavalcioni dello stesso ramo di pero che, con indicibile lena, ci accaniamo a segare. E’ una frase, forse per alcuni, troppo semplice? Non c’è dubbio. Troppo drastica? Non credo. Sostenere senza mezze misure - ed anche un po’ brutalmente - l’urgenza dei problemi connessi al rapporto complesso e conflittuale che corre tra tutela dei beni culturali e gestione politica non ha a che vedere col catastrofismo; d’altronde, basta osservare quanto altri stanno già attuando agevolmente in merito a tale problematica per capire quanto tempo abbiamo perso e quanto tempo stiamo, sfortunatamente, perdendo.



Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 29 del 20/07/2007;

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