sabato 1 maggio 2010

Lo Stato di diritto nell’esperienza americana: il ruolo della Corte Suprema nel controllo della costituzionalità delle leggi

Romano Pesavento
giornalista pubblicista
Reazione popolare e politica contro il ruolo della Corte Suprema


4.1 - Il progetto di Theodore Roosevelt

Nel corso del secondo decennio del XX secolo assistiamo, proprio in virtù della presa di posizione delle Corti sulle questioni di natura sociale ed economica, ad una reazione popolare nei confronti delle Corti. Ben si comprende, come sia proprio la massa lavoratrice a vedere nei giudici che ne fanno parte gli autori responsabili di tutti i difetti dell’organizzazione sociale. Cresce, così, l’ostilità nei confronti della legge, delle costituzioni e dei tribunali. Tali sintomi sono raffigurati, in modo chiaro ed approfondito, dalla stampa specialistica dell’epoca.
D’altronde, non era da eludere che tale situazione portasse verso una svolta. Svolta che si è tradotta in atti concreti presi nei confronti dei giudici.
Come prima reazione nei confronti del potere giudiziario vi è stata la minaccia del recall, ossia il potere degli elettori di rimuovere i giudici, prima della scadenza naturale del suo mandato.
Sull’argomento Lambert scrive: “I giudici – si è detto- esiteranno ad ostacolare le riforme imposte al parlamento da un preminente orientamento dell’opinione pubblica, se sapranno di poter essere perciò tradotti al giudizio di questa, sovranamente espresso mediante la scheda elettorale. E se, per avventura, questo timore non li trattenesse, il popolo avrebbe sempre il modo di spezzare la loro resistenza rimpiazzandoli con magistrati disposti ad inchinarsi dinanzi alla volontà del legislatore.”
Correva l’anno 1908 quando per la prima volta lo Stato dell’Oregon inserì nella propria Carta costituzionale l’espressa previsione del recall. Oltre ai giudici elettivi (c.d. judicial recall), la revoca interessava tutte le cariche pubbliche. Il modello del recall dei giudici fu ripreso anche dalla costituzione della California nel 1910 dove fu importante sia la posizione avuta dal governatore Hiram Johnson appoggiato dai progressisti della Lincoln-Roosevelt League sia la concessione di revisione della sentenza, data da alcuni giudici della Corte suprema californiana, che condannava un boss locale.
Con il passare del tempo le idee progressiste portate avanti dal Progressive Movement avevano trovato sempre più sostenitori in tutta l’America abbattendo i confini statali e arrivando fino a Washington D.C. Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti al tempo dei primi provvedimenti di democrazia diretta.
Egli, come politico progressista, era ben predisposto nei confronti del recall. Nonostante ciò, le sue più significative prese di posizione sulla democrazia diretta avvennero sotto (e contro) la successiva presidenza del suo collega di partito William H. Taft, quando Roosevelt, sebbene esponente di grande spicco dei Repubblicani, si era oramai ritirato dalle pubbliche scene. Taft vinse con molta facilità le elezioni presidenziali del 1908, anche grazie alla scia di successi che lo avevano contraddistinto gli anni precedenti, sotto la presidenza Roosevelt.
Taft era per natura un conservatore e nel corso del suo mandato tentò più volte di osteggiare gli istituti di democrazia diretta e quindi del recall.
Il nuovo Presidente accoglieva la tesi di coloro che sostenevano che il recall non era e non poteva essere la soluzione ai problemi della politica americana, la quale poteva essere migliorata solamente mediante l’elezioni di persone migliori da parte di un elettorato più responsabile. Il difetto di fondo era insito nel popolo, all’interno di questo bisognava operare, come se la reale soluzione alle difficoltà politiche si potesse trovare nella stimolazione dei cittadini.
Il judicial recall era considerato qualcosa di sovversivo, che erodeva alla base uno dei principi dell’America, la quale doveva avere dei «giudici che con coraggio si oppongono alla maggioranza» e non giudici la cui natura si «ridurrebbe a quella di voltagabbana e servitori a contratto, e l’azione giudiziaria indipendente diverrebbe una cosa del passato».
E’ significativo che entrambi gli schieramenti si rifacessero ai Founding Fathers. Come abbiamo già accennato fu proprio durante il suo mandato che Taft ebbe però la concreta opportunità di esercitare il suo “potere” nei confronti del judicial recall. Il caso Arizona del 1910 ne è la testimonianza più viva. In polemica con Taft, Roosevelt ritornò attivamente sul tema della democrazia diretta, fino al punto di candidarsi alle elezioni del 1912.
Egli, oltre ad essere favorevole al recall tout court, lo proponeva nei confronti delle sentenze che dichiaravano l’incostituzionalità di una legge.
L’impegno di Roosevelt non sortì però nessun effetto e il recall in ambito giudiziario rimase sempre con riferimento alla carica, alla persona del giudice tranne in uno Stato, il Colorado, dove si applica(va) anche contro le loro sentenze delle corti, inferiori o suprema che fossero (in particolar modo nei confronti delle sentenze di quest’ultima).



4.2 – Gli anni del New Deal

Dal 1912 al 1932 si alternarono alla presidenza degli Stati Uniti per due volte Woodrow Wilson, l’ideatore della “teoria della nuova libertà”, e per una volta Warren Harding, Calvin Coolidge, il puritano che coniò la frase: “l’affare dell’America sono gli affari. L’ideale dell’America è l’idealismo, e Herbert Hoover; mentre sempre nello stesso periodo alla guida della Corte Suprema Federale si susseguirono Edward White dal 1910 al 1921, William Taft dal 1921 al 1930 e Charles Hughes dal 1930 al 1941. Il 1932 divenne presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt.
Il cambiamento di Delano Roosevelt rappresentò un mutamento radicale di azione amministrativa, classe di amministratori e mentalità. Il “gruppo di giovanottoni”, come più di qualcuno apostrofava, che Roosevelt aveva condotto, dalle università, entro gli uffici della Casa Bianca rappresentavano il mezzo più efficace ed energico per esplicare la ricostruzione del tessuto connettivo della società Americana.
L’intera esperienza Roosevelt è contraddistinta da una competizione di idee senza precedenti e con pochissime regole, la quale andava ad esempio a riflettersi su un’impalcatura amministrativa confusa e disordinata nella quale, accanto ai tradizionali strumenti dell’esecutivo, si affiancarono istituti specializzati (previsti ad esempio dal Agricultural Adjustment Act -A.A.A-. o dal National Recovery Act –N.R.A. - ). La ripartizione delle competenze era tutt’altro che chiara e i casi di sovrapposizione erano frequenti. Tutta questa situazione stimolava l’impegno dei funzionari che sapevano di dover usare ogni mezzo tecnico e diplomatico per affermare la propria strategia e dipingeva soprattutto l’immagine d’un nuovo spirito Americano in cammino.
I principali atti del New Deal Rooseveltiano ebbero effettivamente una portata politica considerevole. Ben più d’uno parlò del New Deal come dell’esperienza di programmazione statale più audace mai compiuta in una economia capitalistica. E non mancarono degli attacchi feroci o delle prese di distanza in seno allo stesso schieramento democratico. I gruppi conservatori cercarono di costituire associazione per lanciare assieme un’offensiva programmatica o, come molti dicevano, una “controrivoluzione”, una battaglia aperta contro un “Presidente che era riuscito a soffocare la libera parola tanto sulla radio quanto sui giornali quotidiani”.
In verità però lo stesso fatto che questa riorganizzazione conservatrice covasse al di fuori della sfera del partito repubblicano era un segnale del vuoto politico che esisteva attorno al New Deal Rooseveltiano. Quando poi ebbe a costituirsi, la stessa American Liberty League, associazione conservatrice, “schierata a difesa dei principi della Costituzione Americana”, soffocò in breve dentro ai suoi stessi limiti e alle sue inadeguatezze. Gli atti cui abbiamo fatto riferimento sono in primo luogo l’Agricultural adjustment Act, il National Recovery Act e il Tennessey Valley Act. Il primo si confrontò con l’esigenza di portare i prezzi dei prodotti agricoli ad un livello pari a quello dei prodotti industriali. Alla fine la strategia inflattiva fu legata al progetto di assegnazione domestica e dunque all’assegnazione di indennizzi per una limitazione della produzione. Un Agricultural Adjustment Administration si sarebbe curata della gestione del programma e del controllo del mercato in maniera di guidarlo verso una posizione di equilibrio. A ciò venne affiancato un piano di finanziamento degli agricoltori, mirato soprattutto al ricatto delle ipoteche. Il National Recovery Act invece mirò a stabilire una ripianificazione industriale sulla base di una coordinazione forte tra i diversi gruppi industriali. Le associazioni industriali avrebbero concordato regole per un’onesta concorrenza e soprattutto avrebbero accettato e rispettato contratti collettivi con massimo delle ore lavorative, minimo delle paghe e altra condizioni di impiego. Un provvedimento per le licenze federali alle aziende mostrava l’influenza dei pianificatori su di un piano nazionale. L’Art. 2 dell’atto inoltre istituì un piano di lavori pubblici per circa 3.300.000.000 di dollari a sostegno dell’occupazione. L’intero progetto mirò ad incentivare l’occupazione e a restituire piena dignità alla figura del lavoratore, soppesando i rischi potenziali di accordi tra industrie, che avrebbero potuto rappresentare la causa di futuri monopoli lesivi della classe dei consumatori. Bisogna però aggiungere che l’esecutivo, con mezzi e pressioni spesso ai limiti della legalità, spinse le industrie ad accettare gli accordi e a condurli secondo logiche più legate al “public interest”. Il Tennessee Valley Act rappresentò invece un emblematico e significativo esperimento di ripianificazione e rivalorizzazione di un contesto territoriale nel quale nessuno più credeva e che l’intervento specifico federale seppe trasformare in un bacino di energia capace di riscattare l’esistenza di milioni di persone.
L’intero programma Rooseveltiano si scontrò con la tenace resistenza d’una Corte Suprema intimamente legata ai modelli interpretativi della Reconstruction.
L’avversione si verificò soprattutto nei confronti del National Recovery Act. Gli anni in cui lo scontro si fece più serrato e nei quali Henry J. Abraham individua delle tendenze al dominio giudiziale sono il 1935 e il 1936. La presidenza di Hughes ed una Corte d’ispirazione conservatrice bocciano infatti 13 “New Deal Acts”. Nel 1937 fallisce il tentativo di “packing” del Presidente ma tra 1937 e 1941 morti e dimissioni eliminano dalla contesa quattro giudici ultraconservatori, consentendo a Roosevelt di ridisegnare a suo favore la composizione della Corte. Il repentino cambio dell’indirizzo giurisprudenziale,che riabilitò il New Deal Rooseveltiano entro il bacino di principi della Costituzione e fissò un self-restraint della Corte a proposito della “legislative polcy-making, fu comunque legato tanto alla longa manus presidenziale sulla composizione della Corte quanto al successo e dunque ad una accettazione generalizzata dei principi del New Deal (diremmo dunque per effetto di quella “lived experience”, che penetra le valutazioni della Corte). Così il giudice Black commenterà più tardi: “Whether the legislature takes for its textbook Adam Smith, Herbert Spencer, Lord Keynes, or some other is no concern of ours”.
Bruce Ackerman mette a capo del processo di trasformazione dell’indirizzo della Corte il “Carolene products case” del 1938 e la “footnote” nella quale si negava che ogni intervento attivo dello Stato nell’economia ledesse i principi costituzionali Statunitensi e che “only if the regulatory intervention lacked all “rational basis” would the Court consider its constitutional invalidation”. Si parlò non a caso della “Carolene’s rational basis doctrine”. Il caso rappresenta l’emblema del cammino giuridico della rivoluzione Rooseveltiana, che non procederà attraverso emendamenti formali alla Costituzione, bensì attraverso pronunce giurisprudenziali. La Carolene’s footnote sarà considerata, al pari degli emendamenti (V° e XIV°), uno dei punti fondamentali per la moderna coscienza giuridica Americana. Tutto ciò denota una rivoluzione di valori e principi che si attua all’interno della Costituzione o meglio ancora dentro il sistema politico fissato dalla stessa. D’altronde uno degli obiettivi della “post New Deal Supreme Court” sarà quello di reperire una sintesi tra “Founding, Republican and New Deal principles”. La strategia utilizzata viene definita da Ackerman come una “rhetoric of specificity”. In concreto il corpo del “Bill of rights” viene suddiviso in 2 “liste specifiche” di diritti in maniera tale da fissare, accanto ad una serie di diritti sacri superati o meglio ridefiniti dal tempo (la “property” e altri diritti ad essa connessi), un’altra serie di diritti che, nella loro attualità e giovinezza, segnano la permanenza d’un’indistruttibile linea di continuità tra il Founding Time ed il New Deal. Ad esempio vengono valorizzati nelle pronunce il “due process of law”, la “freedom of speech”, la “religious freedom”. La Carolene’s footnote, in un altro passo , è illuminante: “It is also unnecessary to consider now whether legislation which restricts those political processes which can ordinarily be expected to bring about repeal of undesiderable legislation, is to be subjected to more exacting judicial scrutiny under the general prohibitions of the Fourteenth amendment than are most types of legislation. On restrictions upon the right to vote, the dissemination of information, interferences with political organizations, prohibition of peaceable assembly”. Risulta chiaro da queste righe che le tutele costituzionali stanno volgendo verso uno spiraglio interpretativo ben preciso che è quello della partecipazione politica. Gli stessi principi del XIV° emendamento vengono ora convogliati in un direzione di tutela delle minoranze contro i “prejudices of the majority”.
Gli eventi di questi anni riassumono il passaggio tipicamente Americano, o meglio la risposta del sistema Americano all’avvento della “egalitarian democracy”. E’ lecito parlare di tipicamente Americana perché le connessioni esistenti con il passaggio costituzionale che caratterizza la guerra civile sono abbastanza evidenti e legittimano una storia costituzionale che si evolve senza rotture. Esiste un organo del sistema che raccoglie le esigenze di cambiamento (il Congresso nel caso della guerra civile e il Presidente nel caso del New Deal) e che deve affrontare le frizioni mosse dal sistema. La Corte Suprema Federale in questi due casi emblematici interpreta quella funzione preservazionista assegnatale da Ackerman ma è giusto rilevare che forse una delle debolezze del “We the people- Foundations” è proprio una prospettiva restrittiva del ruolo della Corte Suprema, la quale partecipa ai processi innovativi del sistema anche con ruolo ben differente, a volte anche di stimolo. Ad ogni modo le vicende che contraddistinguono la “constitutional revolution” del New Deal rappresentano un passo significativo per calarsi all’interno delle dinamiche evolutive d’un sistema politico-giuridico di common law così peculiare quale quello statunitense.

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