sabato 1 maggio 2010

Lo Stato di diritto nell’esperienza americana: il ruolo della Corte Suprema nel controllo della costituzionalità delle leggi


Romano Pesavento
giornalista pubblicista



Nel mondo occidentale, in ordine ai sistemi giuridici, esiste una grande divisione: all’area di tradizione romanistica si contrappone l’area del common law dei paesi di lingua inglese.
Nel primo il diritto è stato concepito quale sistema di norme giuridiche promanante dal legislatore (dapprima qual sistema sarà il corpus iuris di Giustiniano, poi verrà il momento delle codificazioni).
Molto diversa l’esperienza giuridica del mondo anglofono, dove la costruzione della norma avverrà sostanzialmente a partire dalla singola controversia: il dato principale non è il contenuto della norma astratta e generale, ma la soluzione del caso concreto.
Da qui la configurazione del common law come case-law, diritto evidentemente giurisprudenziale.
Negli Stati Uniti d’America, da questo dato di partenza, si sviluppa una originale esperienza giuridica.
Infatti, l’esistenza di una Costituzione scritta è ciò che distingue profondamente il diritto americano da quello inglese.
Interprete qualificata della Costituzione è, fin dai primi anni di vita dell’Unione, la Corte Suprema alla quale la Costituzione affida il potere giudiziario insieme alle corti di grado inferiori.
La Corte Suprema è stata profondamente segnata dalla personalità dei suoi presidenti a partire da John Marshall, il quale ha praticamente “inventato” con la soluzione del caso Marbury v. Madison la funzione di custode della Costituzione che la Corte assumerà.
Fondamentale, sarà il ruolo della Corte nella costruzione dello Stato federale: essa ebbe gran parte nell’opporsi alle pretese dei singoli Stati che si consideravano depositari della sovranità. Accanto alla difesa della sovranità dello Stato Federale, gli altri pilastri della Corte nel XIX secolo saranno la difesa della proprietà privata e del contratto.
Tuttavia, questo secondo aspetto a partire dagli novanta dell’Ottocento porterà la Corte a dichiarare l’incostituzionalità di molte leggi che la questione sociale imporrà al Congresso, in tema di orario di lavoro, minimi retributivi etc..
In quest’epoca, che durerà fino agli anni Quaranta, non di rado il sindacato di Costituzionalità sconfinerà in valutazioni di opportunità di tipo politico, fino a giungere allo scontro tra la Corte ed il Presidente Roosevelt.
A partire dalla metà degli anni cinquanta, il protagonismo della Corte muterà di segno, determinando l’adozione di sentenze di carattere progressista in materia di discriminazione razziale, libertà di manifestazione del pensiero, diritto e procedura penale e risolvendo il contrasto tra autorità e libertà a vantaggio del primo termine.
Benché questa fase appaia conclusa, indiscusso appare il ruolo della Corte Suprema quale massima interprete della Costituzione e l’architrave del sistema istituzionale. “Nelle mani dei giudici federali stanno la pace, la prosperità, l’insistenza stessa della nazione. Senza di loro, la Costituzione sarebbe lettera morta.” (Alexis de Tocheville)
La nascita della Costituzione americana nel 1787

1.1 – La rivoluzione americana

Il dibattito storico che, nel corso degli anni, si è sviluppato intorno ai temi e agli eventi della rivoluzione americana è piuttosto vario e ricco di contenuti. Si potrebbe sostenere che essa fosse una rivoluzione limitata, decorosa, addirittura prosaica, con pochi movimenti sociali o conflitti di classe, nessuna riorganizzazione radicale del governo o dell’economia, nessuna sfida alle credenza religiose esistenti, niente masse assetate di sangue, niente saccheggi e razzie, nessun cedimento nell’anarchia o nella dittatura. Venne guidata non da visionisti fanatici come Robespierre, Lenin o Mao Tse-tung, ma da un gruppo di gentiluomini conservatori e perlopiù benestanti. Gli uomini che la fecero non vennero a loro volta rovesciati, ma continuarono a guidare la Nazione con fermezza e serenità. Si potrebbe perciò essere perdonati se si traesse la conclusione, come fece Burke a quel tempo, che non ci fu affatto una rivoluzione in America, ma semplicemente una guerra d’indipendenza vittoriosa che pose fine al governo britannico, ma che per il resto lasciò le cose press’a poco com’erano prima. E invece la rivoluzione americana fu davvero un avvenimento rivoluzionario.
Come prima guerra per l’indipendenza nazionale dei tempi moderni conclusasi con la rottura dei vincoli imperiali, sarebbe servita da modello ad altri popoli coloniali. La guerra creò poi una nuova nazione basata su un insieme di idee che differivano da quelle del Vecchio Mondo quando addirittura non le respingevano consapevolmente. Queste idee non solo condizionarono convinzioni e atteggiamenti dell’epoca, ma sarebbero diventate stimolo costante per le successive generazioni americane.
All’inizio del XVII secolo la Compagnia della Virginia, nata da un’associazione di mercanti londinesi, dopo aver ottenuto dalla Corona i privilegi per lo sfruttamento della costa atlantica dell’America del Nord, stabilì alla foce del fiume James, nella baia di Chesapeake, il primo insediamento stabile, Jamestown.
Pressoché contemporaneamente esploratori francesi procedettero alla ricognizione del territorio che includeva l’intera valle del fiume Mississippi, ponendo le premesse per il controllo della vasta area compresa tra la regione dei Grandi Laghi e il golfo del Messico, mentre coloni olandesi si stanziarono sulla costa, fondando nel 1624 la città di Nuova Amsterdam (l’attuale New York). Nel secondo decennio del XVII secolo la colonizzazione inglese venne favorita dall’emigrazione di persone appartenenti a sette religiose, perlopiù di orientamento puritano, che cercavano un luogo in cui poter liberamente professare il proprio culto e costruire una società a misura dei loro ideali. Nel 1620 venne fondata la colonia del Massachusetts ad opera dei Padri Pellegrini, membri di una congregazione calvinista, partiti da Plymouth a bordo della Mayflower.
Altri insediamenti in cui si stanziarono comunità religiose furono quelli di Rhode Island (1636), del Connecticut (1639) e di Baltimora (1634). Nel 1664 la colonia di Nuova Amestardam fu strappata agli olandesi e ribattezzata New York, e William Penn fondò la colonia di Pennsylvania (1681). Durante il regno di Giacomo II (1685-1688) le colonie vennero sottoposte a un più stretto controllo da parte della corona. Tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo gli inglesi conquistarono Port Royal, in Nuova Scozia, e l’isola di Terranova. Al termine della guerra di successione spagnola acquisirono importanti privilegi coloniali e proseguirono nella colonizzazione del Nord America: ne derivò un drastico ridimensionamento della presenza francese nel Nuovo Mondo, sia nei Caraibi sia nella valle del San Lorenzo.
La forte impronta religiosa, la libera iniziativa di individui uniti da comuni valori etici, la forma democratica del governo della colonia, una notevole autonomia da Londra che si concretizzava in forme di autogoverno, furono i tratti di fondo sui quali si costruì il modello coloniale nel territorio del New England.
In questo scenario appare spontaneo chiedersi: qual è il diritto che si applica di fatto nell’America del XVII secolo? A parte le disposizioni emanate dalle autorità locali, in pratica si applica un diritto abbastanza primitivo, basato in alcune colonie sulla bibbia, affidato un po’ dovunque alla discrezionalità dei magistrati. Per reazione contro l’arbitrio di questi ultimi, in varie colonie si comincia a “codificare” il diritto; i codici primitivi che vengono allora redatti, dal 1634 (Massachusetts) al 1682 (Pennsylvania), non hanno beninteso nulla a che vedere con la tecnica moderna della codificazione. Il loro interesse principale, più che nel contenuto, sta indubbiamente nell’idea stessa che li ispira: i coloni americani, nel XVII secolo, guardano di buon occhio alla legge scritta, contrariamente agli Inglesi i quali, nello stesso periodo, vedono nella legge scritta una possibilità d’arbitrio e una minaccia alle loro libertà.
Nel corso del XVIII secolo si definirono le peculiarità delle tre grandi aree nordamericane in cui erano inseriti gli stati coloniali inglesi, saliti al numero di tredici: quella meridionale (Virginia, Maryland, South e North Carolina, Georgia), nella quale dominavano i latifondi agricoli riservati alla coltivazione di riso, tabacco e cotone; quella centrale (New York, New Jersey, Delaware e Pennsylvania), in cui cerealicoltura e commercio navale si integravano; quella settentrionale (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire), cuore della prima colonizzazione inglese, anch’essa a economia mista, agricola e manifatturiera, che aveva nel porto di Boston il suo centro propulsore.
Dopo che i primi colonizzatori si erano arricchiti con la tratta degli schiavi, le nuove generazioni misero a profitto i capitali ereditati, investendo nell’industria e nel commercio.
In Pennsylvania venne creata una potente industria metallurgica, basata sulla produzione di ghisa a basso costo, venduta a prezzo inferiore rispetto a quella prodotta in madrepatria.
In Massachusetts, grazie alle sterminate riserve di eccellente legname a buon mercato (larice, pino bianco e quercia virginiana), sorsero numerosi cantieri navali in grado di produrre, tutti insieme, circa 140 vascelli ogni anno, esportati poi in Inghilterra. Sempre in Massachusetts si sviluppò un’intensa produzione di rhum, elemento essenziale d’esportazione per il “commercio triangolare”.
Ben presto i commercianti nordamericani fecero fortuna, a scapito dei loro colleghi britannici. Di seguito la borghesia inglese chiese al governo d’intervenire. Per la prima volta un governo coloniale pose un freno allo sviluppo industriale e commerciale delle sue colonie.
Secondo la logica del colonialismo, le colonie dovevano servire gli interessi della madrepatria, non farle concorrenza.
Per far fronte ad ingenti debiti di guerra e al pericolo di una concorrenza commerciale da parte delle sue stesse colonie, la Gran Bretagna emanò una serie di leggi coloniale:
1. tabacco, legname, riso e pece potevano essere esportate solo verso la madrepatria, che si riservava il diritto di imporre i propri prezzi;
2. le colonie potevano acquistare manufatti solo in Gran Bretagna;
3. venne vietato il libero scambio commerciale tra le colonie;
4. venne vietato lo sviluppo o l’apertura di nuove industrie metallurgiche locali.
È proprio in questo periodo che si avverte anche il bisogno di un diritto più evoluto. La common law, d’altra parte, comincia gradualmente ad essere vista in un modo diverso: essa può essere usata come mezzo di difesa delle libertà pubbliche contro l’assolutismo reale, e da un altro lato viene considerata un legame fra tutto ciò che è inglese in America, contro le minacce provenienti dalla Lousiana e dal Canada francesi. La misura in cui la common law è applicabile e quella in cui viene ad essere effettivamente applicata restano oggetto di discussioni e incertezze; i giuristi continuano a mancare, ed è raro che i magistrati abbiano ricevuto una formazione giuridica. Si produce, tuttavia, un movimento favorevole a un’applicazione più generale della common law; gli organi giudiziari americani manifestano la loro intenzione di applicare diverse leggi inglesi, come lo Statute of Frauds, 1677; i Commentari sulla common law di Blackstone vengono stampati a Filadelfia nel 1771-1772.
Al termine della guerra dei sette anni, un conflitto commerciale fra Gran Bretagna e Francia (e i loro alleati), nel 1763, la Gran Bretagna aumentò i suoi possedimenti in America settentrionale e, alle tredici colonie che si erano costituite a partire dal 1607, si aggiunsero il Canada e la Florida.
Dal 1764 al 1768 il governo inglese, per aumentare le entrate fiscali impose la Legge sul bollo (Stamp Act): ogni documento legale, contratto, giornale, pamphlet, calendario, sino alle carte da gioco, veniva gravato di una tassa di bollo.
Lo Stamp Act provocò forte opposizione tra i coloni americani, che non volevano accettare di essere tassati dal governo britannico senza per giunta avere una propria rappresentanza nel Parlamento.
La protesta culminò nella convocazione dello Stamp Act Congress, assemblea di delegati di nove colonie americane, tenutasi nell'ottobre 1765, nella quale i commercianti decisero di bloccare le importazioni dalla Gran Bretagna finché non fosse abolita la legge contestata.
Lo scontro scatenato da questa legge rappresentò uno dei principali episodi che portarono alla guerra d'indipendenza americana.
La causa scatenante che porto alla fase acuta della crisi fu la ribellione di Boston. Il Boston Tea Party fu un atto di protesta compiuto da parte degli abitanti di Boston contro il governo inglese che aveva affidato il monopolio del commercio del tè alla Compagnia britannica delle Indie orientali.
Il 5 marzo del 1770 alcuni reparti inglesi fecero fuoco a Boston sui dimostranti, uccidendone alcuni. Spaventati da possibili conseguenze di questo atto provocatorio, la Gran Bretagna ritirò tutti i dazi previsti dalla legge Townshend, tranne quello sul tè. Ne derivò che nelle colonie il consumo del tè finì col cessare, con conseguente danno finanziario per la Compagnia delle Indie orientali. Per venir in aiuto di quest’ultima, il governo le consentì, nel 1773, d’inviare tè in America a condizioni per cui poteva essere venduto molto a buon mercato; ma Lord Frederick North continuò ad insistere sul mantenimento nelle colonie della tassa di tre pence a libbra, sostenendo che il re la considerava un’affermazione di autorità. Ma fu proprio questa affermazione a dare origine alla rivolta, perché gli americani erano vivamente indignati di una misura che sembrava loro un raggiro.
La Compagnia inviò un certo numero di navi, ma in ogni porto il popolo era risoluto a resistere. A Charleston il tè fu rinchiuso in sotterranei; a Filadelfia e a New York venne subito ricaricato sulle stesse navi con le quali era giunto.
A Boston, la notte del 16 dicembre 1773, un gruppo di popolani travestiti da Indiani Mohawk, guidato da Sam Adams, gettò a mare un carico di tè senza che nessun funzionario locale tentasse di opporvisi.
Con quest’atto di violenza, che venne applaudito dal Maine sino alla Georgia, Boston gettò il suo guanto di sfida alla Corona, e il governo inglese non esitò a raccoglierlo.
Alcuni mesi dopo per contrastare queste proteste il Parlamento inglese approvò cinque ordinanze, di cui molte repressive (Coercive Acts), che le colonie soprannominarono "Leggi intollerabili" (Intolerable Acts): la prima legge, promulgata il 31 marzo 1774 (Boston Port Act), stabiliva che il porto di Boston dovesse rimanere chiuso al traffico fintanto che la città di Boston non avesse rifuso la East India Company del danno subito con il Boston Tea Party; la seconda cambiava la Carta del Massachusetts in modo da accrescere i poteri dell’esecutivo; la terza nominava governatore del Massachusetts il comandante militare inglese in America, generale Gage, mettendo a sua disposizione quattro reggimenti ed autorizzando inoltre le truppe a prendere alloggio nelle case dei civili; la quarta disponeva il trasferimento in Inghilterra dei casi di omicidio perpetrati su che cercasse di imporre la legge; la quinta, infine, la “legge di Quebec” estendeva i confini del Canada in modo da includervi tutto il territorio a nord dell’Ohio e a ovest degli Allegani. Quest’ultima non aveva un carattere punitivo ma mirava a un miglior regolamento del commercio delle pellicce nel Nord-Ovest e a mettere gli abitanti francesi cattolici del Michigan e dell’Illinois alla dipendenza di un’autorità che si confacesse a loro.
Gli animi divennero roventi e, su proposta dell’assemblea della Virginia, il 5 settembre del 1774 si riunì un Congresso “continentale” (cioè aperto solo ai rappresentanti delle colonie) a Filadelfia. Al Congresso di Filadelfia veniva confermato il blocco della merce proveniente dall’Inghilterra e lanciato un appello al sovrano inglese affinché intervenisse contro il Parlamento a favore delle colonie.
Intanto nel febbraio del 1775 cominciarono i primi scontri tra esercito britannico e i soldati della colonia del Massachusetts di stanza a Boston. L’Inghilterra iniziò i preparativi per un invio di un esercito.
Il 23 marzo dello stesso anno Patrick Henry, in un nuovo discorso a Richmond (Virginia) lanciò il grido: “libertà o morte” (give me liberty or give me death).
Nel mese di aprile si verificarono alcuni importanti eventi storici. Il 13 aprile il governo britannico decise restrizioni commerciali a danno di Massachusetts, Virginia, New Jersey, Pennsylvania, Maryland e Caroline del Sud. La sera del 18 aprile il generale Cage si mise in marcia con una colonna di truppe inglesi per disperdere i miliziani ammassati a Concord dove si trovava riunito il congresso provinciale del Massachusetts. Ma i patrioti erano all’erta e segnalazioni luminose fatte dal campanile di North Church avvertirono Paul Revere, sull’altra sponda, e questi partì al galoppo per sollevare il paese. A Lexington, il 19 aprile, avvenne il primo scontro tra ribelli e inglesi; il secondo scontro si verificò al ponte di Concord. Dopo qualche giorno una massa di patrioti, indisciplinati e male armata ma formidabile, assediava in Boston Gage e il suo esercito e in poche settimane gli ultimi governi del re venivano abbattuti in tutto il paese.
In un secondo congresso a Filadelfia, nel maggio del 1775, si stabilì di costituire un esercito nazionale al comando di George Washington. La nomina di Washington era dovuta più alla politica che alla sua esperienza militare, che si era limitata al servizio, seppure svolto con distinzione, come colonnello della milizia della Virginia durante le guerre franco-indiane. Si riteneva che nominare un virginiano al comando di quello che era ancora un esercito soprattutto della Nuova Inghilterra avrebbe cementato l’unità delle colonie; inoltre la scelta di un ricco piantatore conservatore avrebbe dissipato i timori di radicalismo.
Non si arrivò però subito alla guerra, in quanto molti coloni, accanto all’insofferenza nei confronti del Parlamento, nutrivano ancora una forma di lealismo verso la Corona britannica.
Il re non seppe tuttavia approfittare della situazione, ma incitò il parlamento ad irrigidirsi sulle sue posizioni. Tale stato portò il 17 giugno alla sanguinosa battaglia di Bunker Hill. Lo scontro si svolse in realtà sulla vicina collina di Breed, che dominava Boston dalla penisola di Charlestown. Nonostante la sconfitta degli americani, la battaglia dimostrò loro che, anche senza organizzazione ed equipaggiamento adeguati, potevano affrontare le migliori truppe regolari europee, e ispirò loro un’enorme fiducia nelle proprie forze. Howe, che aveva avuto il diretto comando delle truppe britanniche, fu talmente nauseato alla vista di quella carneficina che mai non la dimenticò. Quando sostituì Gage, che, caduto in disgrazia, era stato richiamato in Inghilterra, si mostrò riluttante a costringere gli Americani alla battaglia; e ciò contribuì alla sconfitta britannica.
Il 17 marzo del 1776 gli inglesi evacuarono Boston. Nell’aprile dello stesso anno le colonie aprirono il loro commercio a tutte le altre nazioni e, nel maggio dello stesso anno il Rhode Island proclamò la propria indipendenza, seguito dalle altre colonie.
Il congresso, nuovamente riunito a Filadelfia il 4 luglio del 1776, emanò ad opera soprattutto di Thomas Jefferson, la “Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti”, con la quale si proclamava la nascita del nuovo stato.
La Dichiarazione segnò il vero inizio della Rivoluzione Americana, che 7 anni dopo si sarebbe conclusa con la vittoria dell'"Esercito continentale" di George Washington sulle forze di re Giorgio III d'Inghilterra.
L'originale della dichiarazione è esposto nei National Archives di Washington.
L'inizio della Dichiarazione è molto famoso:
"Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario ad un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato ad un altro ed assumere tra le altre potenze della terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina, un giusto rispetto per le opinioni dell'umanità richiede che esso renda note le cause che lo costringono a tale secessione.
Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono
la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; che allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo, tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo, che ponga le sue fondamenta su tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che al popolo sembri più probabile possa apportare Sicurezza e Felicità.
La Prudenza, anzi, imporrà che i Governi fondati da lungo tempo non andrebbero cambiati per motivi futili e transitori; e di conseguenza ogni esperienza ha dimostrato che l'umanità è più disposta a soffrire, finché i mali sono sopportabili, che a cercare giustizia abolendo le forme alle quali sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di usurpazioni, che perseguono invariabilmente lo stesso obiettivo, evince il disegno di ridurre il popolo a sottomettersi a un dispotismo assoluto, è il loro diritto, è il loro dovere, rovesciare tale governo e affidare la loro sicurezza futura a dei nuovi Guardiani. - Tale è stata la paziente sopportazione di queste Colonie; e tale è oggi la necessità che le costringe ad alterare i loro precedenti Sistemi di Governo. La storia dell'attuale Re di Gran Bretagna è una storia di ripetute ferite ed usurpazioni, tutte aventi l'obiettivo diretto di stabilire una tirannide assoluta su questi stati. Per comprovarlo, sottoponiamo i fatti seguente a un mondo sincero."
Il testo passa poi ad elencare i vari soprusi del re di Gran Bretagna e si conclude con un proclama finale.
"Noi dunque, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso Generale, facendo appello al Supremo Giudice del mondo per la rettitudine delle nostre intenzioni, solennemente pubblichiamo e dichiariamo, in Nome e con l’Autorità del buon Popolo di queste Colonie, Che queste Colonie Unite sono, e hanno diritto di essere, Stati Liberi e Indipendenti; che sono sciolti da ogni fedeltà alla Corona britannica, e che ogni legame politico fra loro e lo Stato della Gran Bretagna è, ed ha diritto di essere, totalmente sciolto; e che in qualità di Stati Liberi e Indipendenti, essi hanno pieno potere di dichiarare la Guerra, concludere la Pace, contrarre Alleanze, stabilire dei Commerci e fare ogni altro Atto e Cosa che gli Stati Indipendenti possono fare di diritto. E a sostegno di questa Dichiarazione, con ferma fiducia nella protezione della divina Provvidenza, ci promettiamo reciprocamente le nostre Vite, le nostre Fortune e il nostro sacro Onore."
È interessante notare in questa prima parte alcuni chiari riferimenti ai principi illuministici e giusnaturalisti: basti pensare al riferimento alla "Legge naturale e divina..." oppure il principio dell'uguaglianza: "Tutti gli uomini sono stati creati uguali...", e subito dopo il riferimento ai "Diritti
inalienabili...".
È importante notare, infine, un riferimento al diritto del popolo di ribellarsi all'autorità costituita teorizzato da Locke: "è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo...".
Il conflitto tra le colonie e la madrepatria ebbe le caratteristiche di una guerra civile: le posizioni non erano unanimi, né tra gli Americani, né tra gli inglesi. Molti dei coloni offrirono aiuti all’Inghilterra. La guerra all’inizio ebbe alterne vicende.
Poi l’esercito americano, in cui erano arruolati anche stranieri come il generale francese La Fayette, ottenne il 17 ottobre del 1777 una grande vittoria a Saratoga, successo che ebbe soprattutto l’effetto di convincere le grandi potenze europee a schierarsi contro l’Inghilterra. Il 6 febbraio 1778 Francia e Stati Uniti firmavano un trattato di alleanza. Secondo i termini di tale accordo, i due stati si garantivano reciprocamente le rispettive proprietà nel Nuovo Mondo, promettevano di continuare la guerra fino a quando l’indipendenza americana non fosse stata “formalmente o tacitamente assicurata” e si impegnavano a non firmare una pace separata. Nel 1779 la Spagna entrò in guerra contro la Gran Bretagna, sia pure per ragioni sue e come alleata non degli Stati Uniti ma della Francia. L’anno successivo gli olandesi fecero altrettanto, e la costituzione della Lega della neutralità armata da parte di Russia, Svezia e Danimarca, significò che quasi tutta l’Europa era schierata contro la Gran Bretagna.
La sconfitta del generale Lord Cornwallis a Yorktown il 19 ottobre 1781 segnò la resa per l’Inghilterra.
Nel 1783 si concluse il trattato di Versailles, con il quale veniva riconosciuta l’indipendenza delle 13 colonie americane.
La Spagna non ottenne, come sperava, Gibilterra, ma le Baleari e la Florida; la Francia si teneva la Lousiana e recuperava Tobago nelle Antille e il Senegal. Gli Inglesi confermavano il loro possesso sul Canada.
Naturalmente, l’indipendenza americana crea nelle ex colonie inglesi condizioni sociali, giuridiche e politiche del tutto nuove.
Infatti, ancor prima dell’approvazione della Dichiarazione d’Indipendenza, il Congresso continentale per evitare disordini civili e dare una base legale ai governi improvvisati raccomandò di insediare i nuovi governi “sotto l’autorità del popolo”. Fra il 1776 e il 1780 tutti gli stati, tranne due (Rhode Island e Connecticut), adottarono una nuova costituzione. La maggior parte delle nuove costituzioni di stato vennero stese e poste in vigore da assemblee legislative statali senza specifica autorizzazione da parte dell’elettorato. Alcune furono redatte da convenzioni appositamente elette. In tutti i casi si preferì, quindi, adottare una costituzione formale e scritta. La vaghezza della costituzione non scritta britannica era stata la principale responsabile della vertenza con gli inglesi dopo il 1763. In ogni caso gli americani si erano da tempo abituati a fare riferimento a un insieme di regole scritte: carte coloniali, documenti dei governatori, istruzione da parte del ministero del commercio e dell’industria. Le nuove costituzioni, anche se diverse nei dettagli, si rassomigliavano tutte sotto molti aspetti. Esse delineavano uno schema di governo costruito, grosso modo, sul vecchio modello coloniale: la norma era una legislatura composta da due camere e un unico capo esecutivo, il governatore.
I governatori non venivano più designati dalla Corona ma dal popolo; le Camere alte delle varie assemblee legislative non erano più nominate d’autorità, ma elettive; le leggi reclamate dal popolo non erano più soggette a eventuale veto. Pari importanza ebbero le riforme che allargarono e resero più equo l’istituto parlamentare e il diritto di voto.
L’esperienza aveva anche insegnato agli estensori delle costituzioni a diffidare del principio di un potere giudiziario indipendente; di conseguenza, nella maggior parte degli stati i giudici furono nominati dalle assemblee elettive e soltanto per brevi periodi. E anche se parecchie costituzioni affermarono il principio della separazione dei poteri, che avrebbe avuto in seguito una grande importanza, l’autorità era in pratica concentrata nelle mani del potere legislativo, soprattutto delle camere basse. Ma anche i poteri delle assemblee vennero limitati, primo, dalla regola di indire lezioni annuali e, secondo, dall’inclusione di dichiarazione dei diritti.
Un altro elemento favorevole alla democrazia fu la dispersione dei lealisti. In conseguenza di tale evento si sviluppo un nuovo status sociale: tutti erano considerati eguali; tutti erano indaffarati quasi tutti incominciarono a pensare al denaro con maggiore intensità. Un altro forte impulso verso la democrazia fu dato dal riuscito attacco a tre bastioni del privilegio: l’abolizione del maggiorascato e del fidecommesso, la ripartizione delle grandi tenute dei tories e il rovesciamento della Chiesa anglicana dovunque esistesse.
Ma la rivoluzione ebbe, anche, come conseguenza positiva di suscitare un movimento generale per l’istruzione popolare, per la scuola pubblica libera a tutti.

1.2 - La Confederazione e sua debolezza

La definizione di “stati” ribadiva l’autonomia di ciascuna ex-colonia: era tuttavia necessario che ci fosse un organo centrale, il Congresso, in grado di coordinare la politica estera, di stabilire delle leggi per il commercio e per i contributi finanziari necessari alle spese comuni.
Nonostante tale esigenza mancava, però, un vero governo nazionale ed era assente un’organizzazione nazionale del potere giudiziario. I tredici Stati non erano riusciti ancora a creare tale autorità nazionale. Nel marzo 1781 avevano adottato certi “Articoli confederali”; ma questo sistema, che si traduceva in una semplice “lega di amicizia”, era debole ed inadeguato. Inoltre, il Congresso continentale, composto di una Camera in cui ogni stato disponeva di un solo voto, era troppo debole per essere efficiente; non poteva né imporre tasse, né reclutare truppe, né punire i violatori delle leggi da esso promulgate, né costringere i vari stati ad osservare i trattati conclusi con altri paesi. Mancavano, per di più, le strutture pubbliche per il corretto funzionamento dell’amministrazione e, inoltre, spesso gli stati omettevano di inviare i propri rappresentanti al Congresso. Quel che è peggio, non riusciva neppure a racimolare i fondi necessari per esercitare le funzioni di governo o per pagare gli interessi del debito nazionale.
Le tensioni sociali tra il nord e il sud, tra commercianti e proprietari terrieri, tra est e ovest, tra grandi finanzieri e coloni desiderosi di nuovi spazi, crebbero dopo che fu firmato il trattato di Versailles (1783).
A tutto ciò si aggiunse anche il fatto che nel 1786 i tredici stati erano in tale disordine che si parlava di possibili conflitti tra di essi.
Le polemiche dei governi di diversi stati, inoltre, avevano recato severi fastidi a coloro che, per vivere, avevano bisogno di un minimo di coordinazione. I mali peggiori derivarono dalle difficoltà deliberatamente opposte agli scambi commerciali tra i singoli Stati della Confederazione. Alcuni di essi, per impedire il dumping di merci europee e aumentare le loro entrate, misero dazi su tutte le importazioni. Tuttavia, la confederazione ebbe al proprio attivo un grosso successo: la regolamentazione della colonizzazione del West.
Malgrado tale successo la regolamentazione portò anche a degli attriti di natura politica con Gran Bretagna e Spagna. Quest’ultima, infatti, dimostrò ostilità all’espansione americana. Infatti, consolidati i legami con gli indiani del sudovest, gli spagnoli tentarono di costituire uno stato indiano che facesse da cuscinetto per proteggere i loro possedimenti.
La Spagna occupò addirittura Natchez, sulla sponda orientale del Mississippi, e chiuse il fiume alla navigazione americana, togliendo così ai coloni del West uno sbocco vitale per le loro merci.
Altrettanto minacciosa era la situazione della valuta. Alla fine della guerra la carta moneta emessa dal Congresso, il cosiddetto “continentale”, era deprezzata al punto che non era più in circolazione. Anche la valuta di Stato aveva perso molto del suo valore; usciti dalla guerra carichi di debiti gli Stati imposero tasse elevatissime per pagarli.
Lungo tutte le frontiere il danaro era quindi scarso e i mercati depressi, mentre i raccolti marcivano nei campi per mancanza di compratori. La gente ricorreva al baratto. Gruppi di debitori chiedevano che i governi dei vari stati emettessero carta moneta per poter provvedere al raccolto e pagare le obbligazioni; chiedevano una moratoria sui debiti e disposizioni che ammettessero il bestiame e il grano come mezzi di pagamento legali. Le controversie politiche prendevano la forma di lotte tra creditori e debitori.
Scoppiarono così le prime rivolte di coloro (contadini e artigiani) che per motivi puramente economici, si vedevano esclusi da ogni possibilità decisionali, sempre nelle mani di un ceto ristretto di possessore di grandi fortune.

1.3 – La convenzione, la sua opera e i Bill of Rights

La convenzione federale si riunì nella State House di Filadelfia dal 25 maggio al 17 settembre del 1787. Washington fu scelto ad unanimità come presidente. E proprio in quest’ultima data, dopo lunghi dibattiti, il progetto di costituzione federale, composto da sette articoli, venne sottoposto all’approvazione di tutti gli stati. Successivamente venne ratificata da speciali "Convenzioni" convocate a tale proposito in ognuno dei tredici stati. La carta costituzionale entrò in vigore nel 1789. In seguito tale documento venne ampliato con ventisette emendamenti, volti a garantire diritti che sono stati ritenuti importanti nel corso della storia di questo grande Paese.
Sono pochissimi se si pensa che sono passati più di due secoli dalla sua nascita e i tredici Stati che avevano appena ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra sono ora cinquanta e rappresentano una grandissima potenza politica ed economica.
Ad ogni modo ci troviamo di fronte ad un documento molto antico, il più antico documento costituzionale ancora oggi in vigore, che ha fatto da modello a molte nazioni che successivamente a tale data hanno voluto dotarsi di una “Carta”, garanzia di diritti fondamentali. Dei vari emendamenti, i primi dieci costituiscono il cosiddetto “Bill of Rights”, ossia la carta dei diritti fondamentali, e sono stati adottati nel 1791, l’ultimo emendamento invece è stato ratificato nel 1992. Tra gli emendamenti che si collocano fra i due estremi temporali ora richiamati, sono molto importanti quelli adottati a seguito della guerra civile, volti ad abolire la schiavitù e ad estendere la tutela dei diritti fondamentali rispetto all’attività dei singoli Stati.
Punti fondamentali all’interno della Costituzione erano i seguenti:
· il potere legislativo fu affidato al Congresso, composto dal Senato (Senate) e dalla Camera dei Rappresentanti (House of Representatives). Il Senato eletto su base statale, ossia ciascuno Stato, indipendentemente dalla sua popolazione, ha diritto ad eleggere un certo numero di senatori (lo stesso quasi ovunque), che vengono rinnovati per un terzo ogni due anni.
La Camera invece eletta sul piano nazionale, quindi dagli stessi cittadini in modo proporzionale alla popolazione degli Stati membri, con mandato biennale. Il Congresso aveva il potere di imporre i tributi in ambito nazionale, di provvedere alla difesa e dichiarare guerra, di regolare i rapporti commerciali interni e con l’estero e di fissare ed emettere la moneta;
· Il potere esecutivo fu concentrato nelle mani del Presidente degli Stati Uniti, formalmente eletto attraverso un sistema di votazione indiretta: i cittadini di una zona eleggono un grande elettore, il quale, assieme ai grandi elettori eletti nelle altre zone in cui è stato previamente suddiviso il paese, provvede a votare il Presidente; egli deve votare sulla base della legittimazione precedentemente avuta dagli stessi cittadini che lo hanno votato, in sostanza riceve un’investitura largamente popolare. Il Presidente eletto per quattro anni, rinnovabili una sola volta, ha ampi poteri nella determinazione dell’indirizzo di governo: il comando delle forze armate, la facoltà di nominare i giudici con il consiglio e il consenso del Senato e di firmare i trattati internazionali. Il Presidente può essere rimosso dall’incarico solamente per gravi motivi attraverso un procedimento di “impeachement”, che prevede la messa in stato di accusa da parte della Camera dei rappresentanti e il giudizio di condanna del Senato presieduto in tale occasione dal “Chief Justice” della Corte Suprema federale.
Il sistema Statunitense rappresenta il modello della forma di governo presidenziale. Bisogna poi dire che l’organizzazione dei singoli Stati riproduce in larga misura il modello federale: il potere legislativo dei singoli Stati è esercitato a sua volta da un’assemblea bicamerale, quello esecutivo è nelle mani di un Governatore; questo in generale, poi in alcuni Stati ci possono essere alcune varianti;
· Il potere giudiziario era affidato alla Corte suprema e ad altri tribunali minori nominati dal congresso.
Ciascuno dei tre poteri era indipendente, ma coordinato con gli altri e da essi controllato. Gli Enactments del Congresso non diventavano legge se non erano approvati dal presidente; a sua volta, questi doveva sottomettere al Senato molte delle sue decisioni e tutti i trattati con l’estero e poteva, da esso, venir posto sotto accusa e destituito. Il potere giudiziario doveva esaminare tutti i casi controversi che potessero sorgere dall’applicazione delle leggi e della Costituzione, e aveva pertanto il diritto d’interpretare sia la legge fondamentale sia lo statuto. Ma i giudici erano nominati dal presidente e confermati dal Senato, e potevano esser posti anch’essi in stato d’accusa dal Congresso. Poiché i senatori venivano eletti dalle assemblee legislative dei singoli stati per un periodo di sei anni e il Presidente da un apposito collegio elettorale, mentre per i giudici si provvedeva con nomine, nessun organo del governo era direttamente esposto alla pressione popolare, tranne la Camera dei rappresentanti. Inoltre i funzionari del governo erano scelti per durate talmente variabili, da due anni a vita, che un cambiamento radicale del personale avrebbe potuto compiersi soltanto se fosse intervenuta una rivoluzione.
Proprio in merito alla separazione Edouard Lambert così scrive: “
La Costituzione federale è stata scritta in un’epoca in cui, in America, la voga dell’Esprit des Lois era al suo culmine. I costituenti hanno attinto da questo libro alcune delle loro concezioni di filosofia politica, traendone soprattutto il dogma della separazione dei poteri, sul quale Montesquieu aveva edificato la sua città ideale; e si sono sforzati di applicarlo in tutta la sua logica e il suo rigore, assicurando la reciproca indipendenza e l’eguaglianza dei tre poteri non tanto con un sistema di freni e di contrappesi, quanto mediante la clausura di ciascun potere in un ambito ben circoscritto dell’attività di governo nel quale esso operi senza alcuna interferenza con gli altri due, in modo da evitare, finché ciò risulti materialmente possibile, contatti tra poteri concorrenti che potrebbero degenerare in conflitti e dar pretesto ad usurpazione dell’uno sul’altro.”
Ma la caratteristica più importante della Costituzione fu la sua nuova e geniale divisione della sovranità fra i due poteri, quello di stato e quello federale. Completamente sovrani nella propria sfera, ciascuno doveva agire direttamente sulla stessa comunità politica. Il documento costituzionale fu il risultato infatti di un “compromesso” che rifletteva le notevoli tensioni tra i federalisti (i quali sostenevano uno Stato unitario forte e dotato di ampi poteri) e gli antifederalisti (i quali temevano che un’unione troppo solida sacrificasse i diritti e la sovranità dei singoli Stati).
Tale compromesso, riscontrabile in tutto il testo, è ben visibile per esempio già dal primo articolo con riguardo sia alla composizione del Congresso, che vede, a fianco di una camera dove sono rappresentati gli Stati in considerazione della loro grandezza, una camera dove sono invece rappresentati in modo paritario sia nel principio dei poteri enumerati (enumerated poker): la federazione può legiferare solo sulle materie elencate sez. VIII di tale articolo; sono visibili inoltre dei contrasti nel terzo articolo, in cui, nel disciplinare il potere giudiziario, si prevede una sola Corte Suprema lasciando invece al Congresso il potere di istituire solo eventualmente una struttura più articolata, tant’é che le corti federali inferiori verranno create con il Judiciary Act del 1789.
Ed è proprio su questo attuale aspetto che è importante adesso soffermarci. Il decimo emendamento alla Costituzione del 1791 (c.d. residual powers) ha precisato le materie in cui può legiferare il Congresso degli Stati Uniti e le materie in cui le autorità federali possono emanare regolamenti. Esso sostiene: “I poteri che
la Costituzione
non delega agli Stati Uniti e che non vieta agli Stati di esercitare sono riservati a ciascuno degli Stati rispettivamente, o al popolo”. La competenza legislativa degli Stati è la regola; la competenza delle autorità federali è l’eccezione, e questa eccezione deve sempre fondarsi su una data disposizione della Costituzione. È essenziale notare che, anche nelle materie in cui il Congresso può legiferare, la competenza degli Stati non è esclusa. Ciò che è loro vietato, è di emanare disposizioni contrarie a quelle del diritto federale. Esistono alcuni limiti nel principio di competenza residua degli Stati. Anche in assenza di leggi federali non è consentito agli Stati di legiferare contro lo spirito della Costituzione o di creare ostacoli al commercio interstatale. In altre occasioni, è stato parimenti deciso che una legge dello Stato, anche se non incompatibile con le disposizioni di diritto federale, poteva essere incostituzionale, perché il campo in cui essa era intervenuta doveva ritenersi coperto, in modo esauriente, dal diritto federale in vigore. A questo punto, risulta importante ricordare nuovamente il Judiciary Act del 1789. Tale legge in effetti prescrive agli organi giudiziari federali, per le materie non coperte da una legge federale, di applicare le leggi (the laws) di uno Stato determinato, quello cioè designato dalle norme sui conflitti di legge vigenti nel luogo in cui ha sede l’organo giudiziario federale investito. Nonostante la chiarezza della norma la Judiciary Act del 1789 lascia dei dubbi sul significato delle parole “the laws”. È certo che questa espressione copre le leggi (statutes) emanati dall’organo legislativo di quel certo Stato: ci si chiede però se essa comprenda il diritto dichiarato, in assenza di leggi, dalle Corti di tale Stato. Su questo problema, si può far riferimento alle sentenze emesse dalla Corte suprema degli Stati Uniti nei casi Swift contro Tyson (1842) e di Erie Railroad Company contro Tompkins (1938). Nella prima si affermò l’esistenza di una consideration in base alla general common law. Tale soluzione conduceva a risultati inaccettabili, sul piano pratico (ingiustificabile dualismo tra organo giudiziario dello Stato e organo federale) come sul piano costituzionale (supremazia delle autorità federali nelle materie che la Costituzione aveva voluto riservare agli Stati). Per tal motivo, a questa sentenza non è mai stato riconosciuto un valore generale. Nella seconda sentenza si sostiene, invece, che non esiste una common law federale generale. In particolare, si è ritenuto che le giurisdizioni federali non sono autorizzate a forgiare un proprio sistema di diritto; se non esiste una legge federale, esse devono sempre giudicare applicando il diritto di uno Stato. Esistono però delle eccezioni, cioè delle materie riservate alla common law federale e quindi di competenza legislativa delle autorità federali. È il caso della legge federale sui brevetti e di quella sui marchi di fabbrica. Tuttavia occorre ribadire che per quanta importanza abbia assunto il diritto federale, è il diritto degli Stati che, nella vita quotidiana, resta quello più importante per i cittadini e per i giuristi americani. Nell’ambito di queste considerazioni è opportuno anche sottolineare che, nonostante le possibili divergenze fra il diritto dei diversi Stati, esiste una profonda e fondamentale unità nel diritto degli Stati Uniti (Restatements e leggi uniformi). Questa unità dipende da un certo numero di fattori istituzionali. Il primo è rappresentato dalla possibilità d’intervento del diritto federale. In apparenza, sono ben pochi i cambiamenti intervenuti nella ripartizione delle competenze che
la Costituzione degli Stati Uniti ha stabilito nel 1787. Questa Costituzione che limitava strettamente i poteri delle autorità federali, come abbiamo affermato inizialmente, è stata di fatto modificata assai raramente. Anche se per quanto ci riguarda gli unici emendamenti importanti per la nostra discussione sono i primi dieci ed il 13° (1865), 14° (1868) e 15° (1870). Infatti i primi dieci emendamenti condividono il tema della limitazione del potere del governo federale; mentre il 13° , 14° e 15° (cd. civil war amendments) emendamento vietano la schiavitù, riconoscono alla popolazione di colore il diritto di voto e a tutti i cittadini la garanzia del due process of law, ma soprattutto pongono la responsabilità della tutela dei diritti nelle mani del governo federale.
Al di fuori di questi emendamenti, le divisioni di poteri fra autorità federali e statali è stata profondamente modificata, soprattutto dall’ampiezza con cui la Corte suprema degli Stati Uniti ha interpretato alcune formule, contenute nella Costituzione e nei suoi emendamenti. Questa interpretazione ha l’effetto di imporre agli Stati il rispetto di certi principi generali, si tratti del diritto giurisprudenziale oppure delle leggi degli Stati medesimi.
Nonostante ciò, negli Stati Uniti ad avere la meglio è la common law che diventa diritto di Stato; benché vada evidenziato come tale conflitto non rimanga sterile. In quanto, ha potentemente contribuito a dare alla common law americana certi caratteri peculiari, rispetto la common law inglese.
La cosa più importante da notare è la seguente: il diritto inglese che è stato recepito in America è il diritto che era in vigore in Inghilterra all’epoca in cui l’America era sotto la dominazione inglese.
È sempre stata fuori discussione la possibilità di applicare agli Stati Uniti le leggi inglesi posteriori al 1776. D’altronde, gli sviluppi che hanno avuto luogo nella common law in Inghilterra dopo il 1776 non sono mai stati considerati come destinati ad aver luogo inevitabilmente anche negli Stati Uniti. Lo sviluppo del diritto nei due paesi è indipendente dal momento che esiste una sovranità americana. Tuttavia una certa influenza inglese ha continuato a manifestarsi dopo l’indipendenza.

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