sabato 1 maggio 2010

Lo Stato di diritto nell’esperienza americana: il ruolo della Corte Suprema nel controllo della costituzionalità delle leggi

Romano Pesavento
giornalista pubblicista


Riflessioni conclusive


Oliver Wendell Holmes (1841-1935), grande giurista e giudice della Corte Suprema, disse:”il diritto è la profezia di ciò che faranno i tribunali.”
Il realismo giuridico nordamericano di cui Holmes è stato uno degli antesignani considera il diritto reale soltanto nel momento della sua applicazione; il processo non è già uno strumento del quale viene applicata la norma giuridica, ma il momento senza il quale il comando legislativo rimarrebbe formula morta.
Tale concezione del diritto trova nella vita giuridica degli Stati Uniti D’America e segnatamente nell’attività della Corte Suprema la sua premessa ideale e la sua conferma.
Nei suoi altri due secoli di vita, la Corte Suprema è stata la massima creatrice di diritto.Dagli esordi relativamente modesti (si pensi che il suo primo presidente John Jay si dimise per andare a negoziare un trattato) alla grande età di Marshall e Story è diventata non solo la custode della Costituzione, ma l’istituzione che più di ogni altra ha adattato l’esperienza giuridica al mutare delle esigenze sociali. Conclusa la grande età dei Warren e Burger la Corte Suprema sembrerebbe aver esaurito il suo ruolo rivoluzionario. In realtà anch’essa ne riflette le grandi trasformazioni della composizione etnica degli USA. Negli anni sessanta venne nominato il primo giudice nero Thurgood Marshall. La Corte Suprema si è arricchita di giudici provenienti da altre importanti minoranze; si pensi al giudice Anthony Scalia. In questo senso, di maggiore importanza appare la nomina da parte del presidente Obama del giudice Sony Sotomayor. Una lettura interessante e al tempo stesso riflessiva è ascrivibile al pensiero di Robert Dahl, nel suo libro Quanto è democratica la Costituzione Americana?, che, ponendo all’attenzione del lettore alcune considerazioni sulla Corte Suprema Federale, affronta il dilemma tra natura del potere legislativo e ruolo del potere giudiziario. In particolare, egli afferma che: “Non possiamo porre l’autorità di fare le leggi e decidere le politiche esclusivamente nelle mani di funzionari eletti che siano, almeno in linea teorica, responsabili verso i cittadini attraverso l’elezione e dare contemporaneamente al potere giudiziario l’autorità, in pratica, di decidere importanti misure politiche.[1][64]” Certamente, Dahl esprime un giudizio positivo sulla funzione della Corte Suprema Federale nel momento in cui essa svolge i compiti legati al suo ruolo istituzionale. Vi è così la convinzione che in un sistema democratico il potere di revisione della costituzionalità di misure legislative e amministrative spetti esclusivamente alla Corte Suprema. Il dubbio appare dal momento che la Corte assume il ruolo di corpo legislativo non eletto cioè quando come scrive Dahl “Con l’intento di interpretare la Costituzione – o, ancor più discutibile, di indovinare le intenzioni oscure e spesso insondabili dei Costituenti- l’Alta Corte promulga leggi e misure politiche rilevanti che sarebbero appannaggio delle cariche elettive. Anche nel campo dei diritti democratici fondamentali, le decisioni della Corte possono sollevare controversie. Che divengono sempre più probabili via via che la nostra concezione dei diritti democratici si evolve, com’è logico sia.” Anche se oggi gli obiettivi della Cote Suprema Federale non sono sempre ben definibili e sono spesso suscettibili di controversie nel mondo del diritto costituzionale americano, molti costituzionalisti sostengono che il vero obiettivo della giustizia costituzionale americana debba essere la giurisprudenza del giusto procedimento sostanziale. In particolare, occorre verificare se vi siano spazi per un’individuazione di nuovi diritti fondamentali all’interno della Due Process Clause racchiusi nel Quattordicesimo Emendamento. La Corte Suprema Federale e gli accademici del diritto statunitensi hanno, quindi, di fronte a loro il problema dell’interpretazione delle norme costituzionali e della clausola del giusto procedimento. Da una parte la discussione costituzionalistica ha generato modelli interpretativi[2][65] volti a considerare la qualità “politica-giuridica” e, dall’altra parte, il diritto costituzionale si è raffrontato con tali pareri teorici e in tanti casi ne è stato condizionato, secondo una logica di “reciprocità” costante tra percorsi giurisprudenziali e teorici che oggi è evidente e significativa.
Malgrado la presenza di molte teorie in materia di lettura ed applicazione della Due Process Clause le principali oggi sono l’originalismo e il metodo razionale o del giudizio ragionato. Con la sentenza Lawrence v. Texas del 26 giugno 2003 emessa dalla Corte Suprema Federale guidata da Rehnquist si afferma nella giurisprudenza americana del giusto procedimento sostanziale la soluzione interpretativa del “giudizio ragionato” che per molto tempo era stata offuscata da modello originalista. Alla luce di quanto esposto, la Corte Suprema continuerà, comunque, ad esercitare un ruolo fondamentale non solo nella “costruzione del diritto ma anche nell’interpretazione dei cambiamenti sociali degli Stati Uniti d’America.
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