giovedì 26 febbraio 2009

Memorie dal confine 2

Un imperativo – categorico!?! ­– vige nella nostra classe politica: non dimettersi mai

Innocenti o colpevoli, gli stessi equivoci figuri si aggirano per i corridoi del potere

“Tuttavia, sondando le impressioni di crotonesi, “vicini e lontani”, l’idea comune è che tra convegni presieduti da illustri luminari e spesso finanziati da denaro pubblico, fiumi di carta stampata e manifestazioni delle più svariate Pro loco, un unico principio unanimemente e graniticamente condiviso da tutte le forze politiche rimane glorioso vessillo agitato da tutte le correnti e sotto ogni corrente: NON DIMETTERSI MAI!”



di Romano Pesavento

Bene. Siamo alle solite. Buona parte della nostra “elite” politica è, ancora una volta, investita, travolta, sconquassata, ma mai del tutto disarcionata dall’ultimo scandalo.
Piovono avvisi di garanzia, s’intentano processi, si ascoltano centinaia di individui più o meno al corrente dei fatti, ma, sostanzialmente come accade nel Sahara, quando dopo una tormenta violentissima di sabbia il deserto riprende la sua silente e placida imperturbabilità, anche nel nostro Paese, in seguito all’ennesimo cataclisma politico, tutto si riduce a pace e silenzio. Soprattutto silenzio. In Italia vige un imperativo – categorico!?! ­– in quasi tutta la classe politica: non dimettersi mai. Da noi, a differenza di altre nazioni, in cui i personaggi politici coinvolti in qualunque tipo di “scivolone” – dai più gravi concussione o peculato, ai più veniali, per noi italiani scafati ed abituati a ben altro, scaldaletti rosa- sono costretti, per lo meno, a dimettersi finché non venga provata la loro estraneità ai fatti contestati,si passa con incredibile nonchalance da un avviso di garanzia all’altro, da un’inchiesta all’altra, da un servizio giornalistico all’altro con faccia di bronzo, forti dell’abitudine ormai consolidata a convivere con “gli inconvenienti” del mestiere. Tornando all’Europa, a volte, nemmeno l’assoluzione in tribunale basta a recuperare credibilità e quindi impatto politico sugli elettori, quando il sospetto della colpa, reale o presunta, attribuita risulta assolutamente inaccettabile agli occhi di chi, votando, pretende impegno ed integrità dai propri rappresentanti. Qui no. Innocenti, o colpevoli, gli stessi equivoci figuri si aggirano per i corridoi del potere come un’eredità scomoda, o, se preferite, una cambiale salatissima che pende sul capo dei cittadini di generazione in generazione; già, perché bisogna ficcarselo nel cranio: di solito,piuttosto longevi, i politicanti una volta conquistata la poltrona, non la restituiscono più. Per di più, molti, con una finezza da funambolici manigoldi, motivano le mancate dimissioni con la necessità di continuare nella propria indispensabile attività governativa in nome e per conto della collettività, che non può e non deve rimanere “orba” di simili pupille.
Deve essere il fiero orgoglio italico, la dedizione al proprio lavoro, la “dignitosa coscienza e netta” (Dante, III Canto Purgatorio) - perché esente da qualunque pecca- a convincere quella parte di politici collusi e corrotti (dal momento che errori e sviste giudiziari si saranno di certo verificati, ma i magistrati non possono essere tutti incompetenti e qualcuno degli inquisiti dovrà pure aver commesso qualcosa) a perseverare, a resistere caparbiamente al proprio timone di guida, malgrado nessuno richieda un sacrificio così generoso ed encomiabile.
Padre Dante, sommo poeta, aveva già compreso e profeticamente ritratto una realtà politica (soprattutto nei primi due sesti canti della Divina Commedia), squallida e deteriore, non dissimile, anzi fin troppo in linea con quanto accade intorno a noi: antagonismi “malati” finalizzati al potere personale, incapaci sempre pronti ad ergersi a guida degli altri, rancori profondissimi tra compagni di sventura che dovrebbero, invece, sostenersi a vicenda.
“Ai serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donne di provincie ma bordello….è ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode di quei che un muro e una fossa serra. Cerca, misera, intorno dalle prode le tue marine e poi ti guarda in seno, s’alcuna parte in te di pace gode. Che val perché ti racconciasse il freno Iustiniano se la sella è votà.
Sanz’esso fora la vergogna meno…. Chè le città d’Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa ogni villan che parteggiando viene. E se ben ti ricordi e vedi lume, vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma.”
Già, ai tempi di Dante e anche prima, visto che il poeta in realtà accenna al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, esistevano leggi adeguate alle esigenze dei cittadini che, come avviene ai nostri giorni, venivano puntualmente disattese, evase, ignorate, o, peggio, deliberatamente calpestate.
Anche per questo il Medio Evo viene definito comunemente, al di là di qualche sporadica celebrazione di stampo romantico, un’epoca buia e barbarica. Che dire, invece, del luminoso cammino della democrazia e della legalità nel 2006 quasi 2007? Lascio ai lettori ogni commento. Tuttavia, sondando le impressioni di crotonesi, “vicini e lontani”, l’idea comune è che tra convegni presieduti da illustri luminari e spesso finanziati da denaro pubblico, fiumi di carta stampata e manifestazioni delle più svariate Pro loco, un unico principio unanimemente e graniticamente condiviso da tutte le forze politiche rimane glorioso vessillo agitato da tutte le correnti e sotto ogni corrente: NON DIMETTERSI MAI! Se simili titaniche coerenza e perseveranza venissero impiegate nel mettersi realmente al servizio dei cittadini, di certo non si parlerebbe così spesso di arretratezza economica e culturale. Ahinoi, le cose vanno di gran lunga diversamente.
Italia paese di santi, di poeti, di navigatori e di…. poltrone!

Pubblicato sul settimanale La Provincia KR Anno XIII n. 49 del 15/12/2006

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