giovedì 26 febbraio 2009

Memorie dal confine 5

I “ggiovani”, categoria amatissima e riveritissima soltanto in campagna elettorale, vengono spremuti come limoni e sfruttati con contrattini – capestro, che, spesso, non garantiscono o tutelano neanche i diritti più basilari del lavoratore.

Lo “spettro” di Karl Marx s’aggira tra le rovine della città di Crotone


“Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di pluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici.” (K. Marx, il capitale, libro I)

di Romano Pesavento

Crotone, come sanciscono ufficialmente, e per l’ennesima volta, le diverse classifiche d’inizio, fine o metà anno, risulta, tra le province italiane, all’ultimo posto per ricchezza individuale e possibilità occupazionale. A dire il vero, non è che non fosse evidente per tutti la miseria o lo stato di disfacimento generale in cui versa la città: in realtà, ogni anno, si ribadisce tale concetto con i vari dati e sondaggi – perennemente negativi – di rito; tuttavia, però, sono soprattutto la qualità della vita, le reazioni che si stabiliscono tra le persone, la fiducia, ormai, irrimediabilmente compromessa nelle istituzioni e nel futuro, a denunciare la lenta,ma inesorabile agonia della provincia.
Il lavoro manca; questo non è una novità e fior di storici, economisti e sociologi potrebbero versare fiumi d’inchiostro per spiegarne meticolosamente le cause, da quelle più remote, alle più elementari.
Ci limitiamo a registrare un fenomeno tristissimo, sotto gli occhi di tutti, ed aggiungiamo qualche altra postilla. Certo, l’occupazione, da noi, ha toccato i livelli minimi storici; ma ciò che, forse, dovrebbe indignare di più è la proliferazione del lavoro nero. I “ggiovani”, categoria amatissima e riveritissima soltanto in campagna elettorale, vengono spremuti come limoni e sfruttati con contrattini – capestro, che, spesso, non garantiscono o tutelano neanche i diritti più basilari del lavoratore.
Per tal motivo, vogliamo brevemente ricordare quanto già il buon, vecchio, Carletto Marx scriveva in merito al salario: “Alla superficie della società borghese il compenso dell’operaio appare quale prezzo del lavoro: una determinata quantità di denaro che viene pagata per una determinata quantità di lavoro. Qui si parla di valore del lavoro e si chiama l’espressione monetaria di quest’ultimo prezzo necessario o naturale del lavoro…. Ma che cos’è il valore di una merce? È la forma oggettiva del lavoro sociale speso per la sua produzione. E mediante che cosa misuriamo la grandezza del suo valore? Mediante la grandezza del lavoro in essa contenuto. Da che cosa sarebbe dunque determinato p. es. il valore di una giornata lavorativa di dodici ore? Dalle dodici ore lavorative contenute nella giornata lavorative di dodici ore; il che non è che un’insulsa tautologia.” (K. Marx, il capitale, libro I)
Molti lettori, per esperienza personale, si saranno imbattuti, a causa di un figlio o un nipote, in una esperienza – assai poco edificante - del genere: il neoassunto, in prova, deve sgobbare come un dannato, con stipendi da fame, per due o tre mesi, nella speranza di veder consolidate le proprie posizione e retribuzione. Di solito, alla fine dei tre mesi, il poveretto viene, invece, congedato in modo, a dir poco, sbrigativo: avanti un altro volenteroso e vantaggioso(!)“melone” (visto che si parla di “prove”) da affettare per qualche altra settimana,fin quando convenga.
Il mondo del lavoro appare, oggi, brutale, amorale e spietatissimo; in questo, come era prevedibile, la nostra città si segnala per i propri straordinariamente invidiabili primati.
Infatti, a Crotone, il lavoro non conta. Si pretende tanto e si dà molto poco: anzi, il giovane al quale viene, magnanimamente, “elargita” l’opportunità di sudare – e impratichirsi! – con lauto guadagno altrui, dovrebbe essere pazzamente felice di contribuire alla propria crescita professionale, senza mai ricavarci il becco di un quattrino. Che dannate pretese: imparano e pretendono pure di essere remunerati!
Già il nostro herr doctor Karl Marx, un pò di tempo fa, ricordiamo a chi l’avesse dimenticato, aveva aperto gli occhi ai suoi contemporanei circa i pericoli di rapporti contrattuali non regolamentati.
“Che cos’è una giornata lavorativa? Qual è la quantità del tempo durante il quale il capitale può consumare la forza-lavoro della quale esso paga il valore d’una giornata? Fino a che punto la giornata lavorativa può essere prolungata al di là del tempo di lavoro necessario per la riproduzione della forza-lavoro stessa? S’è visto che a queste domande il capitale risponde: la giornata lavorativa conta ventiquattro ore complete al giorno, detratte le poche ore di riposo senza le quali forza lavoro ricusa assolutamente di rinnovare il suo servizio…Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di pluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali ella giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici.” (K. Marx, il capitale, libro I) In tutto il meridione, invece, e particolarmente qui, si è ostinatamente e pericolosamente radicato nelle teste dei datori di lavoro di tutte le estrazioni sociali il concetto che l’aspirazione massima di ogni giovane commesso, addetto, operaio, tirocinante, impiegato etc. sia quella, ci si perdoni l’espressione greve, di “buttare sangue” “gratis et amore”, così, per sport. Si approfitta con vigliacca ingordigia della terribile crisi economica che attanaglia l’Italia, per ingrassarsi, senza limite o pudore, alle spalle delle categorie più deboli, costrette, dalle circostanze e dal contesto ostili, ad abbandonare stima e dignità personali alle ortiche, pur di recuperare qualche euro. Purtroppo, tale situazione non riguarda soltanto i lavoratori che non abbiano raggiunto un grado d’istruzione superiore, ma si verifica, anche e soprattutto, nel caso dei giovani laureati. Frotte di ragazzi, magari dopo anni di studi e sacrifici dei genitori, vengono adescati con promesse da sirene, per poi venir torchiati ben bene e scaricati,senza alcuna forma di tutela,dai vari padroni. Il “Padrone”- figura quasi biblica come il Leviatano - direbbe qualcuno, sorridendo bonariamente – “Non esiste più!”. Oh, no, esiste ancora. Dietro altri nomi, con altri panni, difeso da altri maneggi, da altre collusioni, ma è sempre lì. Non scordatelo.

Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 01 del 05/01/2007

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