giovedì 26 febbraio 2009

Memorie dal confine 6

Nella nostra terra gli sconfitti sono sempre gli stessi: i deboli, i sognatori, chi non si adegua e, naturalmente, la Virtù, l’Onore, l’Onestà e l’Ideale


Un ritratto al vetriolo della nostra realtà firmato Trilussa




“Te ricordi de Checco er communista che voleva ammazzà de prepotenza tutta la borghesia capitalista? Invece mò, la pensa all’incontrario: e dopo qualche crisi di coscenza s’è comprato un villino a Monte Mario”


di Romano Pesavento

“Una bella matina er direttore/ d’un Giardino Zoologico vestì/ le scimmie, le scimmiette e gli scimmioni/ co’ li carzoni de tela cachi./ Una vecchietta disse: - Meno male!/ Che ar meno nun vedremo certe scene…/ Er direttore l’ha pensata bene: se vede che je preme la morale…./Una Scimmia che stava ne la gabbia/ tutta occupata a rosicà una mela,/ intese e disse: Ammenochè nun ciabbia un parente che fabbrica la tela….”
Attuali, anzi attualissimi, questi versi scritti dal poeta Trilussa. Molti di noi, chissà quante volte in questi giorni, avranno solo pensato, di fronte alle molteplici truffe pubbliche che si sono verificate nella nostra regione, a quanta poca moralità si annidi sotto i cappelli dei politici nostrani.
Pertanto, questa settimana vogliamo proporre alcune considerazioni sul nostro “contesto”, utilizzando come spunto di riflessione alcune poesie di Trilussa, autore, per il contenuto a tratti corrosivo dei suoi scritti, piuttosto “moderno”. Egli, di certo, non è mai stato considerato dalla critica, da annoverare tra i poeti sommi, probabilmente, perché non lo era: da qualcuno (Pier Paolo Pasolini) la sua ideologia è stata definita piccolo-borghese, non di ampio respiro. Eppure, rileggendolo, ci si accorge che la cronaca da cui sono nati i suoi sfoghi è un fatto permanente, contemporaneo, molto vicino al nostro agire sociale: la vita degli uomini, l’immutabilità delle leggi che segnano le vicende umane sono sempre le stesse. Si tratta di un mondo cupo, con, scarsa, fioca luce dove i bisogni primitivi sbeffeggiano e dileggiano ogni ideale, ogni principio, ogni slancio di generosa solidarietà.
A questa logica, terribile, “primordiale” non sfugge nessuno; anzi le categorie che, per ricchezza e prestigio conseguiti, potrebbero districarsi dai ferrei meccanismi della bestialità insita nell’uomo sono proprio le più disgustosamente schiave di impulsi, soprafazioni e meschinità completamente estranee a qualunque forma di nobiltà di pensiero o azione.
La legge della giungla, quella del più forte, retaggio del nostro passato, opera segretamente nell’istinto di ogni uomo e si unisce ai trabocchetti, alle ipocrisie, alle astuzie meschine, sviluppati in secoli di presunta civiltà.
Gli sconfitti sono sempre quelli: i deboli, i sognatori, chi non si adegua e, naturalmente, la Virtù, l’Onore, l’Onestà e l’Ideale.
“Raji e grugniti: Quanno er somaro canta arza l’orecchio,/ slarga le froce ride e guarda er sole./ Tutti sanno la musica, che è vecchia/ ma nessuno conosce le parole./ Che ce sarà anniscosto in quer motivo?/ Un ritornello de rassegnazione/ o un inno sovversivo? Ringrazia forse Iddio che l’ha creato/ per esser bastonato/ o se la pija co’ la Providenza/ perché nun glje fa perde la pazzienza?/ certo, che quando rajia/ se vede che se stacca e s’allontana/ da le miserie de la vita umana: e nun guarda nemmeno ne la paja ne er fieno.
Ner porco, invece, quando fa il grugnito/ ce e se sente lo sfogo materiale:/ perché rifà quel verso sempre eguale/ come un’affermazione de partito./ Ma non pensa e non crede/ che a la roba che vede aricca pezza/ fra mezzo a la monnezza./ Quando ha ficcato er muso/ drento lo scudellone della bobba/ lo scopo della vita è bell’è chiuso./ Chi sarà più felice e più contento? Quello che vive a stento,/ ma c’ha in core una fede e una speranza,/ o quello che ragiona co’ la panza e se ne frega d’ogni sentimento.”
Ebbene, questa breve poesia andrebbe letta ogni mattina a tutti coloro, che, senza nessun titolo o esperienza, si affollano dietro porte, finestre e portoni in cerca di raccomandazioni, favoritismi e via discorrendo.
Lo sferzante sarcasmo di Trilussa colpisce con virulenza comportamenti e fisionomie nauseanti: il porco, privo d’ideali e di sogni, che vive chiuso in un’ottica angusta e materiale, di certo è l’emblema di grettezza mentale e pochezza di spirito: anche il grugnito che, sonoramente, per potenza e “autorevolezza”, ricorda certe affermazioni di partito, testimonia, ulteriormente, la limitatezza di tale, misera, visuale.
L’asino, dolente ma libero, rappresenta una scelta di vita solitaria, ma fiera. In questo caso, si adombra il concetto positivo che sia migliore la vita di chi, affrancato da ogni compromesso, (“pur vivendo a stento, c’ha in core una fede e una speranza”).
La maggior parte delle volte, però, è proprio la coerenza ideologica a risultare sconfitta, perlomeno a giudicare dai risultati più appariscenti del “trasformismo” (in realtà dovremo dire “voltagabbanismo”) in politica e altrove. Infatti, lo stato delle cose nel nostro territorio, purtroppo, non può minimamente smentire questa sgradevole verità.
“La crisi de coscenza po’ succede/ da un dubbio che te rode internamente/ come rià la fede a un miscredente/ po’ rilevalla a quello che e crede./ In politica è uguale. Quanta gente,/ che ciaveva un principio in bona fede,/ s’accorge piano piano che je cede/ e je viè fora tutto diferente?/ Te ricordi de Checco er communista/ che voleva ammazzà de prepotenza/ tutta la borghesia capitalista?/ Invece mò, la pensa all’incontrario: e doppo qualche crisi di coscenza/ s’è comprato un villino a Monte Mario.”
Con ineguagliabile ironia, Trilussa dipinge il ritratto di un comunista implacabile e – a dir poco – incendiario, già pronto a stragi politiche e alla giustizia proletaria. Tanto “impeto” però, si spegne prudentemente di fronte agli agi di una comoda villetta a Monte Mario. Quanti demagoghi, danzando allegramente sulle note di qualche festoso motivetto, intrecciano quadriglie, saltellando freneticamente dagli opposti schieramenti politici?
Questo sonetto, scritto tra il 1921-27, stupisce forse per le doti da veggente del poeta? Assolutamente, no. Come, già detto, la qualità degli uomini è sempre la stessa nel bene e nel male. Soprattutto nel male.
-------------------------------------------------------------------------------------------------
Foto: 1) Trilussa; 2) Guasta e Trilussa (dal 1927 al 1930 danno vita al teatrino di burattini "Baracca delle Favole"); 3) Trilussa.
-------------------------------------------------------------------------------------------------
Pubblicato su La Provincia KR, settimanale di informazione e cultura, Anno XIV n. 02 del 12/01/2007

Nessun commento:

Posta un commento