Romano Pesavento
La mostra allestita fino al 14
febbraio, presso Palazzo Boccella, nella sede del Lu.C.C.A – Lucca Center of
Contemporary, dedicata al gruppo les italianes de Paris, offre un limitato
numero di opere, ma dai contenuti assai significativi. Le ambientazioni
metafisiche di De Chirico, desolate e austere, si proiettano nello spazio bianco
delle sale, intessendo variegati e sottili messaggi astratti, inquietanti ed
enigmatici, capaci di incrinare ogni principio di rappresentazione / conoscenza
fenomenica: la ragione, smarrita e disorientata, rimane soggiogata rispetto
all’impenetrabilità del mistero esistenziale.
Classicismo e Surrealismo si
fondono insieme suggerendo visioni oniriche, ipnotiche e senza tempo: colonne spezzate ed elementi
architettonici dell’antichità in studiato ordine sparso fanno da sfondo per
forme e volumi massicci, imponenti e immobili. Il senso del movimento quasi è
bandito dalle prospettive, esasperatamente geometriche; anche i manichini, elemento
distintivo della produzione di De Chirico, richiamano un’idea di “studio
artistico” alle sue prime fasi.
Paesaggi mentali “provvisori”, eppure non
soggetti alla legge del tempo e della vita. Anche il cavallo e la zebra,
ritratti in una sua celebre opera, al galoppo non evocano energia e slancio vitale,
ma tormento e fuga. I cromatismi dissonanti e deliberatamente sgradevoli (preponderanza
notevole di tonalità verde acido, marrone, ocra-brunastre) comunicano angoscia
esistenziale e malessere. Le criniere selvagge degli animali si aggrovigliano
confusamente in spirali indistricabili, mentre il cielo, fosco e plumbeo,
incombe su un paesaggio sterile e opprimente.
Analoghe atmosfere stranianti e
cupe ritroviamo nella Salita al calvario di Gino Severini. Il tema in sé non è
certamente uno dei più lieti dell’arte sacra e nell’arco dei secoli ha trovato
migliaia di declinazioni o variazioni anche più realistiche e impressionanti,
con raccapriccianti primi piani su rivoli di sangue e piaghe aperte.
Qui non
c’è nulla di tutto questo: Cristo in equilibrio precario non rivolge lo sguardo
agli spettatori e il suo corpo, già martoriato, viene celato con una tunica
marrone. La terra su cui si piega, tramortito dal dolore, è dello stesso
colore, come anche gli elementi
circostanti, quasi per ricordare, attraverso una calibrata insistenza
cromatica, la natura umana e quindi “ terrestre” del Redentore. Lontano,
diafano, quasi un miraggio inaccessibile, si profila uno spiraglio di azzurro:
promessa vacillante di salvezza e riscatto per l’umanità.
Il bizzarro squarcio colorato su
una vallata di Renato Paresce, l’alchemica composizione di De Pisis dal titolo
Omaggio a Morandi, le metafisiche navi di Savinio e i volti profondi di
Campigli concludono l’interessante e sorprendente itinerario nel mondo dei les
italianes de Paris a Lucca. Pubblicato sulla testata la Provincia kr online
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