Viaggio nell'arte: l'Espressionismo tedesco in mostra al Palazzo Ducale di Genova
di Romano Pesavento
L’Espressionismo tedesco è una
delle manifestazioni artistiche più significative e graficamente d’impatto del
nostro Novecento. Anzi ne rappresenta presumibilmente l’anima, l’inconscio,
l’inquietudine, gli abissi più profondi.
Non a caso, supremo maestro e probabilmente fondatore
inconsapevole di tale tecnica pittorica
fu proprio il geniale, controverso, visionario Van Gogh; gli artisti che, tra
la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, si raccolsero intorno al nuovo movimento, a Berlino, soprattutto a Dresda e a
Monaco di Baviera, non paghi di raccoglierne l’eredità, approfondirono e
aggiunsero nuove prospettive e tematiche di carattere più contemporaneo: non
solo l’ infelicità o emarginazione
individuale, ma anche la reazione nei confronti della cultura ufficiale
prussiana, austera, monotona; un certo spazio ebbe anche la rappresentazione
della vertiginosa esplosione urbanistica delle città tedesche, raggelante sfondo
di drammi umani, solitudine e alienazione.
La mostra presso il Palazzo
Ducale di Genova, dal 5 marzo al 12 luglio 2015, vuole fornire un percorso
completo delle varie fasi interpretative, degli stili iconografici e ricerche
espressive realizzati con selvaggia determinazione, nonché dubbio cartesiano,
negli atelier dei giovani anticonformisti pittori tedeschi.
Attraverso le tele di Kirchner,
Rottlufdf, Heckel, Pechstein, Nolde, squarci di vite umane spezzate e precarie
proiettano parvenze acide e spigolose, dal segno grafico tagliente e bruciante,
come una stilettata.
La perversione e l’innocenza
violata costituiscono lo scotto, il prezzo da pagare per l’evoluzione dell’uomo
moderno, in viaggio verso una dimensione incognita, un nuovo status, non solo
da conquistare, ma anche da definire: “L’uomo è una corda tesa tra la bestia e
l’uomo nuovo, una corda che attraversa un abisso… la grandezza dell’uomo sta
nel suo essere un ponte, non un fine” (Nietzche).
Il quadro intitolato Artista –
Marcella di Kirchner, manifesto dell’intero evento, ritrae una ragazza accovacciata
su un divano in compagnia di un gatto bianco. Con il suo sguardo pensieroso e
malinconico ci dischiude i meandri tortuosi di uno spazio psichico
inaccessibile agli “altri”.
Fredde sensazioni di disagio
esistenziale incontrano colori saturi in un ambiente domestico disadorno,
spoglio, tipico di abitazioni povere o bohémien, trasmettendo allo spettatore
un vago sentore di malessere e di disorientamento, che costituisce lo stigma,
il significato più profondo dell’essere artista in controtendenza in una
Germania sempre più indecifrabile nelle sue prospettive future. Rottura, voglia
di evadere e sperimentalismo sono gli aspetti più evidenti della corrente, che si
riscontreranno, in quegli anni, anche in altri campi della cultura, come nella produzione
letteraria di August Stramm, Gottfried Benn, Georg Trakl e Alfred Döblin, con l’effetto
conseguenziale di suscitare, ancora una volta, incredula apprensione nei
borghesi benpensanti.
Soffermandoci davanti alle tele “Frontone
rosso” di Karl Schmidt-Rottluff, “Oluf Samson-Gang a Flensburg” e “Cisterna a
torre” di Erich Heckel, “Sentiero in autunno” e “Tronchi bianchi” di Emil Nolde,
ci si addentra in paesaggi intimamente simbolici
e deliranti, in cui la follia risiede sovrana e non c’è traccia di esseri
umani: case sghembe, prive di prospettiva, e dai colori violenti si addossano
l’una con l’altra o si stagliano in solitaria desolazione. Boschi contorti e
intricati sembrano imprigionare l’anima umana in una fitta rete di filo
spinato.
Evadere, vivere follemente,
attimo dopo attimo, diventa il viatico per esorcizzare un futuro drammatico che
incombe sul genere umano e che spaventa. A morte.
Pubblicato sul giornale on line la Provincia kr
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