Nell’imponente architettura rinascimentale di Palazzo Strozzi a
Firenze, dal 21 settembre al 21 gennaio, è stata allestita la mostra “Cinquecento
a Firenze - Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna”. L’evento, estremamente significativo
e rappresentativo per il prestigio delle opere presentate, richiama numerosi
visitatori.
Di grande impatto visivo è il Dio fluviale di Michelangelo, la cui
rilassata tensione muscolare, marchio distintivo dell’artista, lo accomuna a
tante altre sue opere (David, Prigioni e altri) e non cessa mai di
meravigliare. Continuando nel percorso espositivo, in un unico luogo si
radunano tre imponenti opere: Deposizione dalla Croce di Rosso Fiorentino;
Cristo deposto del Bronzino; Deposizione del Pontormo. Apparentemente i temi
sembrano simili; i pittori sono contemporanei, ma la resa artistica è
profondamente differente e denota personalità, senso del colore e lettura degli
episodi biblici del tutto originali.
Rosso Fiorentino, con il suo cromatismo deciso,
le linee nette e l’espressionismo realistico di alcuni personaggi, sarà stato
sicuramente fonte d’ispirazione per i pittori moderni del Novecento (Gaudì,
Guttuso, per citarne qualcuno); Pontormo nella sua pala visionaria, leggera,
“danzante”, le cui figure sembrano
ruotare aggraziatamente intorno al corpo perlaceo del Cristo deposto, realizza
una raffigurazione che oltrepassa i confini delle definizioni e delle
categorie, per assurgere ad una dimensione sempiterna e assoluta. Il Bronzino,
raffinato ed elegante, riveste tutti i personaggi, anche quelli più umili, di
una regalità indiscutibile, dovuta non solo agli accessori (gioielli preziosi;
acconciature elaborate; abiti sontuosi), ma anche alla nobiltà dei lineamenti e
alla compostezza della gestualità, che il dolore non altera, anzi
impreziosisce.
Posto in mezzo alla stanza, un monumentale crocefisso del Giambologna
dalle membra affusolate esprime sacralità, fermezza e spiritualità. L’arte dello
scultore fiammingo è al tempo stesso vibrante, commovente e stilizzata.
Anche le altre sculture costituiscono
un saggio di talento impareggiabile; in particolare il Ratto della Sabine del
1579 circa e la Venere Anadiomene del 1571 – 1572.
Nella prima opera, l’artista,
attraverso un’impostazione quasi elicoidale, riesce a fare elevare fino al
cielo l’energia espressa dai due corpi, ricorrendo anche a un gioco di pesi e
contrappesi il cui esito finale è il miracolo del movimento nella fissità del
bronzo. La Venere, aggraziata e leggiadra come si addice alla dea della
bellezza, viene colta in tutta la naturalezza di un gesto quotidiano eppure
estremamente femminile: tergersi la chioma dopo un bagno. Semplicità, eleganza
e armonia delle proporzioni allo stato puro.
Meritano attenzione tutti gli altri pezzi esposti, tra i quali
segnaliamo: Venere e Amore di Alessandro Allori; Visione di San Tommaso D’Aquino
di Santi di Tito e Annunciazione di Andrea Boscoli.
La scena dipinta dall’Allori si apre prospetticamente su più elementi,
consegnando però in primo piano i due protagonisti Cupido e Venere: ludico e
giocoso il furto dell’arco da parte della dea; soavi e delicate le espressioni
dei volti. Tutto l’insieme restituisce un’atmosfera trasognata, idillica e
luminosa: il classico locus amoenus.
Giambologna, Crocifisso, 1598
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