Romano
Pesavento
Fino al 1° maggio sarà possibile visitare la mostra
- spettacolo multimediale dedicata a Klimt, presso Santo Stefano al Ponte a
Firenze. L’evento costituisce certamente un momento di sinestesia estrema di
matrice wagneriana: le principali opere e disegni dell'artista austriaco, le
sue fotografie, i luoghi, vengono proiettati su enormi pannelli a ritmo di
musica classica / lirica ed evocano uno scenario incantevole e nel contempo tenebroso.
La scelta audace dell’evento è stata quella di “stordire” gli spettatori
mediante il suggerimento di atmosfere oniriche, cangianti e seducenti, che
ricreassero il mondo interiore di Klimt e restituissero totalmente intatto
tutto il fascino della “Belle Époque”. La malia di sguardi innocenti o perturbanti,
incorniciati da chiome scomposte e avvolgenti, si sprigiona dai maxischermi,
atti a centuplicarne il fascino immortale. Klimt incarna, come pochi altri, il
mito dell’ “eterno femminino”; riesce a rappresentare la grazia, il mistero e
la sensualità femminili in modo incomparabile; in tutte le fasi della vita
della donna è capace di captarne, con una sensibilità ineguagliabile, l’essenza
più pura: occhiate lascive, altere o il bagliore dell’autentico candore si
avvicendano senza posa, alternandosi ad esplosioni di luce o a fantasmagorie di
colori.
Lentamente si compone dall’oscurità, l’immagine
ieratica della dea Hygeia, superba ed enigmatica, particolare presente
nell’opera chiamata “Medicina” (1897), distrutta nel 1945; contemporaneamente il
brano “O Fortuna” dei Carmina Burana di Carl Orff dilata, con i suoi cori
apocalittici e i suoi ritmi ancestrali, il buio, mentre intorno le fiamme si
elevano terrifiche e supreme, lasciando gli avventori annichiliti, sospesi in
una realtà alchemica, in bilico tra la dannazione e la salvezza.
In realtà Mozart e Strauss, illustri concittadini
di Klimt, costituiscono la colonna sonora più appropriata per rappresentare la
visionarietà simbolica del suo immaginario: le note giocose, suadenti, vibranti
e “iridescenti” delineano nell’aria arabeschi guizzanti, serpentiformi,
esoterici e inebrianti come i tocchi pittorici dell’artista.
Pertanto, la seconda aria della Regina della Notte “Der
Hölle Rache kocht in meinem Herzen” (La vendetta dell'Inferno ribolle nel mio
cuore) nel “Flauto magico” (Die Zauberflöte) di Mozart si sposa perfettamente con
i temi rappresentati nei due dipinti “La speranza” (1903)e “Hope II” (1907),
entrambi caratterizzati da un susseguirsi di richiami alle molteplici coppie di
dicotomie proprie dell’esistenza umana: luce e tenebre; vita e morte; bene e
male; redenzione e peccato.
Sugli enormi pannelli laterali si crea un corridoio
di altissime fontane pirotecniche, scintillanti, multimediali, che, con
l’irresistibile impulso ritmico del
brano di Mozart “La serenata in
Sol maggiore K 525”, nota come “Eine kleine Nachtmusik” ("piccola
serenata"), imprimono un movimento gioioso e ludico all’ambientazione
festosa del palcoscenico dedicata alla
tela più nota di Klimt: Il Bacio
La figura della biblica Giuditta viene celebrata attraverso
l’accostamento dei due dipinti incentrati su tale figura, la cui evoluzione,
nella percezione personale dell’artista, è evidente. La “dark lady”, la “femme
fatale”, di tanta letteratura decadente trova una perfetta esplicitazione nelle
forme sinuose e inquietanti delle due versioni; la prima, del 1901, sensuale e
vagamente beffarda, espone all’occhio dello spettatore tutta la sfrontatezza di
un corpo irresistibile, trappola mortale per Oloferne, emergendo dall’oro
prezioso, altera regina della vita e della morte altrui. La seconda, del 1909,
presenta i tratti quasi deformati, vicini all’Espressionismo, crudeli, di una
megera in fuga; la testa di Oloferne, in questo caso, pende da mani quasi convulsamente
“artigliate”, come quelle di Papa Innocenzo X di Velázquez. Le sinfonia n.9,
secondo movimento, di Ludwig van Beethoven si diffonde in tutta la sua solenne
grandiosità, promettendo delitto e castigo.
Sulle note del “Danubio Blu” di Strauss, si apre il
sipario della briosa ed elegante Vienna; tutti i luoghi più importanti del
periodo appaiono e scompaiono: il tempo scorre a ritroso, lasciandoci nella
memoria antiche cartoline in bianco e nero.
L’Inno alla Gioia di Ludwig van Beethoven, contenuto
nel quarto movimento della Sinfonia n. 9, introduce con maestà e grazia le
immagini allegoriche / filosofiche e mitologiche del pannello di Gustav Klimt, “L’ostilità
delle forze avverse (Malattia, Follia e Morte e le tre Gorgoni)”, Fregio di
Beethoven, 1902, presente al Palazzo della Secessione (“Wiener
Secessionsgebäude”). La spinta
vitalistica è fortissima: l’orrore delle debolezze umane può essere superato
solo attraverso l’espressione creativa, che sconfigge perfino la morte e
consegna all’eternità. “II mio regno non è di questo mondo” citava da Wagner
Klimt in modo sentenzioso ed efficace. Nella sua concezione del mondo è
ravvisabile un percorso culturale, fitto di riferimenti e condensato, che parte
dal mito greco, passando dalla filosofia di Arthur Schopenhauer e Nietzsche,
per approdare alla psicologia freudiana.
E così, nel tempo che trascorre tra melodie solenni,
cori medievali e sublimazione siderale dei suoni, “abbagliati” dal buio
elettrico da milioni di pixell, si assiste, attraverso il trionfo della
tecnologia, all’epifania di un grande artista, che “non aveva niente di
particolare”, se non essere il tedoforo più luminoso della Secessione viennese. Pubblicato su La Provincia KR online del 13/04/2017
Reportage fotografico