Intervista esclusiva a Antonio NavarraPresidente del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici,
Affiliate Scientist del National Center for Atmospheric Research in USA, nonchè membro del Scientific Advisory Committee del Asia-Pacific Climate Center in Sud Corea
di Romano Pesavento
“Vedete quel puntino laggiù un
po’ pallido? Quello siamo noi. Tutto ciò che può essere avvenuto nella storia
degli esseri umani è accaduto in quel puntino: tutti i trionfi e tutte le
carestie, tutte le guerre, tutti i maggiori progressi. È la nostra unica casa.
E in gioco c’è questo. La nostra capacità di vivere sul pianeta terra.
Ci sarà un momento in cui le
generazioni future si chiederanno: a cosa pensavano i nostri genitori? Perché
non si sono svegliati quando ne avevano la possibilità? Prepariamoci sin d’ora
a rispondere a questa domanda.” (tratto dal documentario Una scomoda verità,
regia di David Guggenheim, USA 2006)
Come il nostro clima stia mutando
e quali siano gli scenari futuri costituisce un interrogativo che si propone
sempre più spesso nelle discussioni quotidiane e nei servizi giornalistici di
testate / trasmissioni più o meno accreditate. Presso il CMCC (Centro Studi
Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) di Bologna, ho avuto l’opportunità
di intervistare il prof. Antonio Navarra, presidente del Centro, studioso di
fama internazionale, in quanto Affiliate
Scientist del National Center for Atmospheric Research in USA, nonchè membro
del Scientific Advisory Committee del Asia-Pacific Climate Center in Sud Corea,
e dialogare quindi con una delle massime autorità competenti in materia. Prima di incontrarlo, la sua segretaria
mi ha fatto accomodare in una sala d’attesa. Qui ho subito notato che la stanza disponeva di una scaffalatura
contenente un’ampia scelta di riviste straniere e non sul clima. Allora,
incuriosito, mi sono messo a sfogliarne alcune. Il tema era piuttosto comune anche
a tutte quelle che ho avuto modo di visionare successivamente: qualcosa nel
nostro sistema terra sta cambiando; crescita della temperatura globale;
ghiacciai che si ritirano; disgelo del permafrost con un incremento delle
frane; precipitazioni sempre più irregolari; aumento dei fenomeni meteorologi
estremi (uragani, bombe d’acqua, mareggiate, trombe d’area); erosione delle
coste; interruzioni di strade e danni a edifici ed interi paesi; biodiversità a
rischio. Come interpretare tali, inquietanti, avvenimenti? La segretaria mi
strappa alle mie riflessioni e introduce il professore Navarra, che, dopo una
stretta di mano, si presta a “rivelare” alcuni aspetti di un clima
divenuto sostanzialmente incomprensibile.
In questi ultimi anni stiamo assistendo a cambiamenti climatici (global warming) di enorme rilievo che si riflettono in maniera consistente, sia sulla vita quotidiana di ognuno di noi, sia sul sistema economico. In base agli studi in corso nel vostro centro, quali prospettive future ci attendono?
Noi sappiamo che nell’ultimo
secolo, a cominciare soprattutto dalla rivoluzione industriale, l’umanità ha
acquisito la capacità di cambiare le caratteristiche e i componenti
fondamentali del pianeta come l’atmosfera e
l’oceano, ma soprattutto l’atmosfera. Noi abbiamo agito in maniera
drastica sulla composizione dei gas che la costituiscono. Questa modifica,
ovviamente, è misurabile solo attraverso gli strumenti specializzati, quindi
non è che un individuo, ad occhio, si accorge che l’atmosfera è diversa
rispetto a duecento anni fa. Si tratta, infatti, di alterazioni che, in realtà,
sono in termini assoluti molto piccole, ma che assumono un’importanza elevata
dovuta all’impatto che hanno
sull’equilibrio generale del nostro pianeta.
Consiste soprattutto nel fatto che
l’uso estensivo dei combustibili fossili per la produzione dell’energia
necessaria per lo sviluppo della nostra economia ha fatto sì che uno dei
sottoprodotti della combustione dei combustibili fossili, che noi chiamiamo
anidrite carbonica (CO2) e che cioè è il risultato della combustione
di elementi che contengono carbonio, venisse introdotto massicciamente nell’atmosfera.
Il carbone, il petrolio, le benzine, il gas, i combustibili biologici, come la
legna, tutti producono in forma più o meno elevata anidrite carbonica; questa in
parte viene riassorbita dal sistema biologico del pianeta e in parte finisce
nell’atmosfera. Il pianeta non ce la fa ad assorbire tutta l’anidrite carbonica
che noi produciamo, pertanto la concentrazione di questo gas è aumentata del
sessanta percento dall’inizio dell’era industriale.
Perché questo dato è così
importante?
Perché l’anidrite carbonica è il
gas che fa da termoregolatore della temperatura, soprattutto al suolo del
nostro pianeta: più anidrite carbonica
c’è, più è alta la temperatura di equilibrio.
Attualmente vengono proposti alcuni modelli che stimano l’innalzamento
delle future temperature da 2°, la più ottimistica, a 6°, la più catastrofica.
In quest’ultimo caso, saremmo di fronte ad una situazione che ci porterebbe a
cambiare il nostro habitat e stile di vita in modo irreversibile. Cosa ne
pensa?
Guardi, la prima cosa è capire
esattamente cosa fanno questi modelli. Noi siamo tutti abituati alle previsioni
del tempo: sappiamo che ogni giorno in televisione c’è sempre qualcuno che ci illustra
il tempo di domani. Quelle sono previsioni, cioè, sono affermazioni riguardo al
futuro che si realizzerà. Quando andiamo a fare gli studi sugli effetti dei
cambiamenti climatici, parliamo invece di scenari. Gli scenari non sono
previsioni e sono futuri possibili rispetto alle ipotesi generali. Cosa vuol
dire questo? Che gli scenari rispondono alla domanda: “Se nei prossimi
cent’anni la concentrazione di anidrite carbonica è in un certo modo, cosa
succede al clima?” Allora gli scenari rispondono a quella domanda. E’ chiaro
che, se, per un qualunque motivo, l’evoluzione dell’anidrite carbonica anziché
seguire quell’ipotesi di scenario, si
comporta diversamente, si verificherà ben altro rispetto a quanto previsto. I
modelli sono costruzioni in cui noi abbiamo cristallizzato l’insieme delle
nostre conoscenze scientifiche su come funziona il clima; sono, talvolta,
inadeguate, ma rappresentano tutto quello che sappiamo sul clima. L’incertezza
maggiore rimane per noi il fatto che ignoriamo, nei prossimi cent’anni, quale
sarà lo sviluppo della curva dell’anidrite carbonica. Certo, se noi guardiamo
indietro, possiamo notare con una certa facilità che essa ha seguito sempre un certo andamento: non
è mai diminuita.
Il vostro centro è anche specializzato nello studio delle correnti
oceaniche. Dato che gli oceani rappresentano un fattore importante nello studio
dell’andamento climatico, cosa si può dedurre dalla vostre ricerche effettuate?
L’oceano entra in queste
considerazioni per un motivo principale: assorbe calore e, assorbendo calore,
si espande; di conseguenza il livello dell’acqua tende a crescere. Più caldi
sono gli oceani, più cresce il livello. Quindi l’incremento della temperatura
aumenta la quantità di energia che viene intrappolata nella superficie, pertanto,
un effetto proprio naturale è l’aumento del livello del mare. Dunque, in
generale, l’aumento dell’anidrite carbonica provoca un aumento del livello del
mare. Il livello del mare dipende, però, da tantissime altre cose: se si va in
una baia del mar Adriatico, è facile che
l’andamento nel tempo del livello del mare di quella baia non sia lo stesso
rispetto a quello del golfo di Napoli. Benché
a livello generale sia praticamente assodato che questo fenomeno dell’innalzamento delle acque si
realizzerà, fare delle ipotesi su quello che succede localmente al livello del
mare è più complicato.
Quindi, se noi oggi osserviamo alcuni fenomeni meteorologici estremi
(trombe d’aria, bombe d’acque, violente mareggiate), come quelli verificatisi a
Crotone, nella Calabria ionica, non dobbiamo necessariamente collegarli al
surriscaldamento della terra, come sostengono alcuni scienziati, spesso
tacciati di allarmismo?
Il problema è sempre quello
dell’attribuzione. Siccome qui parliamo di fenomeni statistici che quindi
coinvolgono affermazioni su insiemi di fenomeni, il problema è sempre quello
che si verifica quando c’è un fenomeno e
si vuole capire se può essere
attribuito a qualche causa precisa. Questo è più complicato e soprattutto è sempre
un’operazione delicata dal punto di vista statistico. In generale dire che un
fenomeno particolare dipende da una questione statistica non è corretto, però è
chiaro che un andamento generale può creare situazioni che sono più o meno
favorevoli. Il discorso più serio che si può fare sui cambiamenti climatici è precisare
che il cambiamento climatico non crea
nuovi fenomeni, quindi la tromba d’aria ci poteva essere con e senza il
cambiamento climatico, quindi, in tal senso non è causata dal cambiamento climatico.
Però il cambiamento climatico può creare delle situazioni in cui fenomeni
estremi sono più probabili.
L’estate torrida del 2003 e l’inverno eccessivamente mite del 2007 sono
stati collegati in qualche maniera allo scioglimento della calotta artica e
antartica. Qual è la sua opinione in merito?
Prima parlavo dei fenomeni
statistici e allora il clima è come un ragazzino che salta su un tappeto
elastico; mentre lui salta, i salti sono tutti diversi: uno è più alto, uno più
basso, eccetera. Se si alza il tappeto elastico mentre lui salta, allora,
improvvisamente, quelle altezze che vengono raggiunte raramente, vengono
raggiunte con maggiore facilità; eppure lui salta allo stesso modo, ma qualcuno
gli ha alzato il tappeto sotto. Questo è uno dei meccanismi che potrebbe innescarsi
anche nel clima: esso varia sempre allo stesso modo, però, se, complessivamente,
il clima si sposta verso una situazione più calda, allora quelle punte che
prima venivano raggiunte solo raramente improvvisamente vengono raggiunte molto
facilmente. Quindi quello che si nota è
che un fenomeno che prima succedeva una, due volte, ogni cent’anni, adesso
capita dieci volte ogni cent’anni. In questo senso si parla di aumento degli
eventi estremi.
L’uomo può intervenire per eliminare o moderare tali eventi nel tempo?
Dipende dal fenomeno,
naturalmente, ma è chiaro che, se parliamo di fenomeni atmosferici, c’è poco
che possiamo fare. Possiamo fare due cose: possiamo realizzare innanzitutto una
politica di mitigazione, cioè ridurre la quantità di anidrite carbonica che
immettiamo nell’atmosfera e questo è lo sforzo delle negoziazioni internazionali sui cambiamenti climatici (la Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici delle Nazioni Unite ecc.) In secondo luogo, si possono mettere in campo
delle strategie di adattamento. Consapevoli della probabilità di alcuni
fenomeni, ci si prepara a fronteggiarli in modo che i danni causati vengano ridotti, contenuti e diciamo
alleviati. Questa è la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. Entrambi
i metodi sono in gioco adesso: l’Italia sta
approntando la strategia nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici.
E quindi penso che ne sentiremo parlare
molto nei prossimi anni.
Consigli per le future generazioni.
Il consiglio è molto semplice: studiate,
l’ignoranza ha un prezzo. Spaventoso.
Pubblicato sulla rivista la Provincia Kr n.3-4 ANNO XXI /Aprile-Maggio 2014